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Roma, 1 mar. (askanews) – La Commissione europea ha presentato il 26 febbraio il suo primo pacchetto (“Omnibus”) con una serie di proposte di modifica legislativa che mirano a ridurre e semplificare gli oneri burocratici delle imprese sottoposte agli obblighi di rendicontazione previsti da quattro normative del Green Deal: la direttiva sulla sostenibilità ambientale (Csrd), il regolamento sulla Tassonomia (ovvero i criteri di classificazione) degli investimenti “verdi”, la direttiva sulla “diligenza dovuta” (Csddd) nel controllo del rispetto delle norme socio-ambientali lungo tutta la catena del valore, e infine il regolamento Cbam sui dazi climatici (“Carbon Border Adjustment Mechanism”), che riguarda in particolare le importazioni di acciaio, ferro e alluminio, cemento e fertilizzanti. Il Cbam impone il pagamento di un dazio compensativo alle imprese che importano prodotti da paesi terzi in cui non ci sono normative equivalenti alla “borsa” europea (Ets) dei permessi di emissioni di CO2. L’obiettivo è evitare di sottoporre a una concorrenza sleale le imprese europee nei settori implicati, e prevenire il “carbon leakage”, ovvero la delocalizzazione delle industrie fuori dall’Ue per non pagare le quote di emissione.
Lo stesso giorno, la Commissione ha presentato anche la sua attesa comunicazione sul “Clean Industrial Deal” (“Patto sull’industria pulita”), che delinea un piano strategico con una roadmap per accompagnare la decarbonizzazione dell’industria, in particolare nei settori ad alta intensità energetica e in quelli che utilizzano tecnologie pulite (“clean tech”), con l’obiettivo di mantenere e rafforzare allo stesso tempo la competitività dei produttori europei, accompagnata da un “Piano d’azione sull’energia accessibile” per ridurre le bollette energetiche per l’industria, le aziende e le famiglie. Il piano d’azione prevede una accelerazione dell’introduzione di energie pulite (rinnovabili e nucleare), e dell’elettrificazione, il completamento del mercato interno dell’energia interconnesso, un ulteriore miglioramento dell’efficienza energetica e la riduzione della dipendenza dai combustibili fossili importati
La domanda è: c’è stata la marcia indietro sul Green Deal, tanto temuta o auspicata, secondo i punti di vista? Si può rispondere che finora c’è stata solo in parte, e meno del previsto. Non a caso i due pacchetti sono stati approvati e presentati insieme: l’impressione che dietro gli obiettivi di semplificazione si nasconda un proposito di deregolamentazione del Green Deal è mitigata dal fatto che il Clean Industrial Act mantiene comunque gli obiettivi di decarbonizzazione e li porta anche avanti con nuove proposte significative, come quella di introdurre il requisiti di sostenibilità ambientale e la preferenza europea (“made in Europe”) negli appalti pubblici e privati.
In estrema sintesi, si può dire che le misure più importanti prese riguardo alle quattro normative europee modificate dall’Omnibus sono state soprattutto concentrate sulla riduzione, a volte drastica, del loro campo di applicazione, con l’esenzione delle piccole e medie imprese. Nonostante questo, gli effetti sulla riduzione delle emissioni e sugli obiettivi ambientali appaiono molto circoscritti, in qualche caso (soprattutto nel regolamento Cbam) addirittura trascurabili. A questo punto c’è da chiedersi come mai la Commissione si sia resa conto solo ora di questa possibilità di semplificazione degli oneri burocratici delle imprese con poco impatto previsto sui risultati finali attesi da queste normative. Avrebbe potuto prevedere già nell’elaborazione iniziale delle proposte legislative un’attuazione per fasi, cominciando dalle imprese più grandi, per poi magari allargare il campo di applicazione a quelle medie e, se necessario, anche alle piccole imprese, magari in modo più attentamente e calibrato e differenziato.
Un’altra questione è quella dell’opportunità, dal punto di vista della legittimità democratica, di rimettere in discussione con proposte di modifica atti legislativi che sono stati approvati da pochi mesi (come nel caso della direttiva sulla “due diligence”), spesso dopo lunghi e durissimi negoziati tra i co-legislatori, conclusi con compromessi attentamente calibrati e poi approvati dal Parlamento europeo e dai governi. Riaprire il testo e chiedere di modificarlo nel momento in cui la legislazione dovrebbe essere applicata mette in questione la certezza del diritto e il rispetto del processo decisionale democratico.
Sull’energia, resta insoddisfacente la risposta del Piano d’azione alla sfida dei prezzi troppo alti, che sono il principale freno alla competitività dell’Industria Europea, ben più della regole regolamentazione eccessiva e degli oneri burocratici del Green Deal. D’altra parte, la Commissione continua a ignorare le richieste di disaccoppiare, sul mercato europeo dell’elettricità, il prezzo dell’energia prodotta dalle rinnovabili da quello del gas. Perché? C’è dietro una rigidità ideologica da parte dei paesi del nord Europa. I prezzi dell’energia elettrica, ben più alti dei costi di produzione delle rinnovabili, serve a rendere molto remunerativi gli investimenti sulle energie verdi anche se questo significa premiare il settore del gas fossile e gli speculatori, e imporre bollette salatissime alle famiglie e alle imprese europee.
Di Lorenzo Consoli e Alberto Ferrarese
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