Bolognese, classe 1969, sui social racconta come ridare una seconda vita agli oggetti:«Mi piace immaginare una destinazione d’uso differente.Voglio far conoscere alle persone ciò che si nasconde dietro ad acquisti da pochi euro»
Da architetta a designer di borse realizzate con dei rotoli di canapa tessuti dalla sua bisnonna trovati in soffitta, fino a diventare testimonial di economia circolare con il profilo “Vesto responsabile”. «Purtroppo con l’avvento del fast fashion, il reale valore degli abiti si è perso», racconta Giorgia Palmirani, bolognese, classe 1969. «Tutti i percorsi che ho intrapreso, pur sembrando diversi a prima vista, sono in realtà legati da un unico filo conduttore: il desiderio di recuperare, di dare nuova vita alle cose. Dalle case, alle borse, fino alla comunicazione, tutto converge su un unico principio che, in fondo, fa parte del mio dna: immaginare una destinazione d’uso differente. Così le mie borse nascono da tele tessute a mano dalla mia bisnonna, un tempo destinate ai corredi delle figlie. Poi il mio focus si è spostato: dal prodotto al racconto del prodotto, perché senza narrazione il prodotto stesso rischia di non esistere. Soprattutto oggi, dove il racconto spesso precede l’oggetto», racconta al Corriere della Sera. Sui social network, e nelle scuole, Palmirani sensibilizza da anni sui principi di una moda più attenta all’ambiente, promuove pratiche come il riciclo e l’upcycling, e consiglia marchi che siano davvero sostenibili. Perché? «Ogni anno nel mondo vengono buttati o bruciati circa 92 milioni di tonnellate di rifiuti tessili, e in mezzo ci sono tanti capi nuovi di cui ci stanchiamo dopo poco. Dobbiamo invertire la rotta: tutto deve rimanere in circolo ed essere trasformato. È per questo che i social sono stati fondamentali per me: quando creavo prodotti, ingenuamente pensavo che bastasse realizzare qualcosa di bello per avere spazio sul mercato. I social hanno rivoluzionato il modo di percepire le cose e, se usati bene, permettono di raggiungere un pubblico enorme. Un’opportunità preziosa per sensibilizzare persone che altrimenti non avrebbero accesso a certe informazioni», prosegue.
Inevitabile parlare, quindi, dell’upcycling, inteso come riutilizzo creativo, molto diverso dal “semplice” riciclo: «La prima volta che mi sono avvicinata al concetto di upcycling è stata alle elementari, quando mio padre decise di far realizzare una gonna con tutte le sue cravatte inutilizzate, che non aveva mai indossato e mai avrebbe indossato. All’epoca non si parlava di upcycling, ma di creatività e rispetto per le cose. Oggi -prosegue – il concetto di recupero e di ripensare gli oggetti che già possediamo sembra essersi perso, complice la velocità dei tempi, il costo ridotto dei prodotti e forse anche un cambiamento nelle nostre necessità. Se si può trovare tutto a poco prezzo, perché impegnarsi a reinventare?», è la domanda che si fanno in tanti. «Pochi oggi parlano e realizzano capi o prodotti upcycled, ed è proprio per questo che credo sia fondamentale sensibilizzare su questo tema. Rivalutare il valore degli oggetti e mettere in gioco la propria creatività nel ripensarli prima di buttarli può fare la differenza», spiega.
Ma quanto siamo – davvero – consapevoli dei rischi del fast-fashion? «Poco, ancora troppo poco. Ogni volta che apro TikTok e vedo gli haul – pacchi enormi pieni di prodotti a pochi euro provenienti dalle solite piattaforme – spacchettati con entusiasmo da persone di ogni tipo, mi si stringe lo stomaco, ma continuo a parlare degli effetti devastanti di questo modello, che ci hanno abituati a considerare normale, sulle persone e sull’ambiente.
Ovviamente più se ne parla più avremo la possibilità di far conoscere alle persone ciò che si nasconde dietro ad acquisti da pochi euro», ricorda. E conclude con tre consigli utili a scegliere i “capi giusti” da acquistare: «Second hand sempre e comunque; scaricare un app che si chiama “Good on you” che ha un bell’elenco di brand più responsabili e seguire me ovviamente. Perché quando mi trovo di fronte a un capo o un oggetto che vorrei comprare mi faccio queste domande per capire se ne vale davvero la pena: “Ho già qualcosa di simile nel mio guardaroba?”, “Lo metterò almeno 50 volte2, “Se si Romperà lo farò aggiustare”». Senza mai dimenticare di leggere le etichette: «Se un prodotto è fatto di materiali sintetici, realizzato in zone del mondo dove non esistono tutele per il lavoratore e costa poco, non acquistato. Non fa bene a voi, all’ambiente e nemmeno alle persone che sono state pagate pochi centesimi per farlo».
4 marzo 2025
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