LOMBARDIA ECONOMY – Energie rinnovabili: lo scenario di mercato e le previsioni 2030

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Energie rinnovabili: lo scenario di mercato e le previsioni 2030 secondo il rapporto Renewables 2024 dell’Agenzia Internazionale dell’Energia (IEA)

Negli ultimi anni, il mondo ha assistito a un’accelerazione senza precedenti nell’espansione delle energie rinnovabili. Secondo il rapporto Renewables 2024 dell’Agenzia Internazionale dell’Energia (IEA), il 2023 ha segnato un nuovo record con 510 GW di nuova capacità installata a livello globale. E questa crescita non sembra destinata ad arrestarsi: le previsioni indicano un aumento di 2,7 volte entro il 2030, superando del 25% le attuali ambizioni dei governi.

Se il trend sarà confermato, entro la fine del decennio si aggiungeranno altri 5.500 GW di impianti rinnovabili in esercizio, portando le nuove installazioni annue a sfiorare i 940 GW nel 2030. Un balzo del 70% rispetto al record stabilito lo scorso anno. Il motore di questa rivoluzione green sarà il fotovoltaico solare, che insieme all’eolico rappresenterà il 95% della nuova capacità rinnovabile nei prossimi anni.

Di fronte a questa spinta, la comunità internazionale è chiamata ad aggiornare le proprie strategie in materia. Ad oggi, solo 14 paesi hanno fissato obiettivi espliciti sulle rinnovabili nei loro NDC prima della COP28. Tuttavia, lo scenario attuale mostra segnali di superamento delle previsioni: quasi 70 paesi, che insieme rappresentano l’80% della capacità globale, sono sulla buona strada per raggiungere o addirittura superare i propri target al 2030. In prima fila c’è la Cina, leader indiscussa della transizione, seguita da altre grandi economie emergenti come Brasile e India, oltre agli Stati Uniti.

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Tuttavia, la posizione di Pechino solleva un evidente paradosso: se da un lato è il paese che sta investendo di più nelle rinnovabili, dall’altro continua ad aumentare la propria capacità di produzione a carbone, registrando livelli record di emissioni. Secondo i recenti dati di Global Energy Motor e CREA (2024), nel 2023 ha avviato infatti la costruzione di centrali a carbone per una capacità totale di 114 gigawatt, con 70 gigawatt già avviati, segnando un’accelerazione rispetto agli anni precedenti. Dal 2022, il paese ha autorizzato complessivamente 218 gigawatt di nuovi impianti, mettendo in discussione il proprio impegno a raggiungere la riduzione delle emissioni prima del 2030.

Anche negli Stati Uniti, la traiettoria della transizione energetica è tutt’altro che lineare. Se da un lato il paese è tra i principali attori nella crescita delle rinnovabili, dall’altro le recenti posizioni dell’amministrazione Trump – con la sospensione per 90 giorni ai finanziamenti e ai prestiti federali dell’USDA (il Dipartimento Americano per l’Agricoltura) previsti fin dal 2022 dall’Inflation Reduction Act e destinati ai progetti per la produzione di energia pulita – hanno creato incertezza nel settore.

E l’Unione Europea? L’UE ha fissato obiettivi ambiziosi per la transizione energetica, con il Green Deal e il pacchetto Fit for 55, che mirano a ridurre le emissioni del 55% entro il 2030 e a rendere il continente carbon neutral entro il 2050. Tuttavia, la crescita delle rinnovabili non sta procedendo con la rapidità necessaria per raggiungere questi obiettivi. Secondo Ember, a un anno dalla COP28, solo 8 governi – tutti europei – su 96 nel mondo hanno aggiornato i loro obiettivi nazionali per il triplicamento delle rinnovabili entro il 2030.

L’analisi evidenzia una criticità più ampia: la somma complessiva degli obiettivi nazionali al 2030 ammonta attualmente a 7.242 GW, con un incremento minimo di soli 4 GW nell’ultimo anno**. Sebbene ciò rappresenti un raddoppio rispetto alla capacità installata nel 2022 (3.379 GW), rimane un divario significativo di 3.758 GW per raggiungere l’obiettivo globale di triplicare le rinnovabili. Inoltre, a livello regionale, nessuna area del mondo sta colmando il gap necessario, in particolare considerando che alcune regioni dovrebbero contribuire in misura maggiore secondo gli scenari IPCC allineati con l’obiettivo di contenere il riscaldamento globale entro 1,5°C.

I paesi più ricchi e industrializzati portano sulle spalle una doppia responsabilità che va oltre le apparenze; da un lato tali Nazioni hanno beneficiato di uno sviluppo economico e tecnologico alimentato per decenni da fonti energetiche fossili, accumulando così un’enorme quantità di emissioni di gas serra nell’atmosfera. Tale impatto storico non è solo una questione quantitativa, ma rappresenta una forma di “debito climatico” nei confronti dei paesi meno sviluppati, che oggi subiscono le conseguenze del cambiamento climatico pur avendo contribuito in misura marginale al problema.

Dall’altro lato, il loro vantaggio in termini di risorse finanziarie, tecnologie avanzate e capacità di innovazione offre loro strumenti unici per guidare il cambiamento. Non si tratta solo di investire di più in energia rinnovabile, ma anche di creare le condizioni per accelerare la ricerca su soluzioni emergenti, come stoccaggio di energia, idrogeno verde e tecnologie di cattura del carbonio. Inoltre, questa capacità non può essere confinata ai confini nazionali: questi paesi devono assumere un ruolo di leadership anche sul piano internazionale, condividendo risorse e competenze per aiutare altre nazioni nella transizione energetica.

In sintesi, questa doppia responsabilità non è solo morale o politica, ma strutturale: il ruolo storico e la capacità attuale dei paesi più industrializzati li pongono al centro della lotta al cambiamento climatico, con un mandato preciso per guidare il processo verso un futuro più sostenibile.

In questo scenario, sicuramente uno degli ostacoli principali resta la capacità di stoccaggio: solo un terzo dei paesi analizzati sta perseguendo strategie per l’accumulo dell’energia, con una capacità installata di appena 284 GW, ben al di sotto dei 1.500 GW necessari. La carenza di investimenti nei sistemi di accumulo potrebbe rallentare ulteriormente l’integrazione delle rinnovabili nelle reti elettriche, compromettendo la sicurezza energetica europea e l’efficacia della transizione. Un altro elemento critico è la forte dipendenza tecnologica dalla Cina.

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Attualmente, Pechino produce quasi il 60% della nuova capacità rinnovabile installata a livello mondiale. Da un lato, questa leadership ha permesso di ridurre drasticamente i costi delle tecnologie green – grazie a un effetto combinato di economia di scala, incentivi governativi e investimenti nell’intera catena di approvvigionamento -, dall’altro solleva preoccupazioni geopolitiche sull’approvvigionamento di materie prime e componenti essenziali, come pannelli solari e turbine eoliche.

In Italia, il 2024 si è aperto con dati record per le rinnovabili. Secondo Terna, la produzione elettrica da fonti rinnovabili ha superato per la prima volta quella da fonti fossili nei primi sei mesi dell’anno. Nel complesso, la domanda elettrica nazionale è stata di 312.285 GWh, in aumento del 2,2% rispetto al 2023, con le rinnovabili che hanno coperto il 41,2% del fabbisogno totale, il valore più alto mai registrato nel nostro Paese.

Il fotovoltaico ha registrato un incremento del 19,3% nel 2024, raggiungendo un record storico di 36,1 TWh, mentre la produzione idroelettrica è aumentata del 30,4%, attestandosi a 52 TWh. Tuttavia, la capacità installata resta ancora insufficiente per centrare gli obiettivi del Piano Nazionale Integrato per l’Energia e il Clima (PNIEC), che punta a coprire il 72% della generazione elettrica con fonti rinnovabili entro il 2030.

Tra i principali ostacoli alla crescita, la burocrazia complessa che rallenta le autorizzazioni per i nuovi impianti e la mancanza di infrastrutture per l’accumulo di energia, fondamentali per bilanciare la produzione intermittente di fonti come solare ed eolico.

A complicare ulteriormente il quadro è il contesto geopolitico ed economico: la crisi energetica globale degli ultimi anni ha messo in evidenza la fragilità dei sistemi energetici nazionali, spingendo diversi governi a rivalutare il ruolo delle fonti fossili come soluzione tampone. Secondo il rapporto World Energy Outlook 2024 dell’IEA, il calo previsto dei prezzi dell’energia e l’intensificarsi della competizione tra fornitori potrebbero generare fasi di instabilità, con ripercussioni sugli investimenti nelle rinnovabili.

Se da un lato prezzi più bassi potrebbero liberare risorse per accelerare la transizione verso tecnologie pulite, dall’altro c’è il rischio che la minore redditività degli impianti porti alcuni operatori a rallentare o rivedere al ribasso i propri piani di sviluppo.

Nonostante ciò, è evidente che la transizione energetica non può essere lasciata solo alle forze del mercato. Servono politiche chiare e incisive, con una forte volontà politica di superare gli ostacoli burocratici e infrastrutturali. L’Italia, in particolare, ha tutte le potenzialità per essere un leader in questo processo, grazie a condizioni climatiche favorevoli e un elevato potenziale di sviluppo tecnologico. Ma senza una strategia più efficace, rischiamo di restare indietro rispetto agli altri grandi player globali.

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La COP30 di Belém, che si terrà a novembre nel cuore dell’Amazzonia, sarà un appuntamento cruciale per verificare i progressi verso gli obiettivi di decarbonizzazione e rafforzare la cooperazione tra Stati, aziende e società civile. Il 2030 è dietro l’angolo, il tempo per agire è ora.

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