Tanti eventi e mille parole d’ordine
Cento appuntamenti, mille parole d’ordine. È un calderone in cui si mescolano pace, disarmo e riarmo, bollette e fisco, Trump sì e Trump no, von der Leyen sì e no e forse, Zelensky chissà, quello con cui le forze politiche italiane rispondono alla rinfusa all’innesco del cortocircuito partito l’altra settimana alla Casa Bianca, dopo che il vertice tra il presidente degli Stati Uniti e quello dell’Ucraina è finito com’è finito, per giunta in mondovisione.
C’era una volta la guerra, una qualsiasi; e c’era una volta la piazza, che durante la guerra qualsiasi poteva essere di due tipi, a favore o contro il conflitto. E invece, superando l’antico adagio di Pietro Nenni sul nesso tra le manifestazioni ben riuscite e i risultati elettorali, e addirittura surclassando l’antico interrogativo morettiano sul «mi si nota di più?» che spesso è stato legato agli appuntamenti con la folla, i partiti si cuciono su misura una piazza, che sia propria o altrui poco importa.
«Pace in Ucraina, finalmente. E pace fiscale in Italia», è lo slogan con cui Matteo Salvini ha invitato a raccolta il popolo leghista, dandogli appuntamento per sabato e domenica prossimi in mille piazze di tutta Italia. Tutto assieme, insomma: fine del conflitto per gli ucraini e rottamazione delle cartelle esattoriali per gli italiani. E poco importano, anche se rimarranno agli atti, la freddezza con Fratelli d’Italia, il gelo con Forza Italia («Spero che Salvini non vada in piazza contro la difesa comune europea», ha messo a verbale il portavoce azzurro Raffaele Nevi) e quello strano tornante del destino che per una volta, dopo la critica espressa dal ministro dell’Economia Giancarlo Giorgetti nei confronti del piano di Ursula von der Leyen, mette idealmente dalla stessa parte della barricata il Carroccio e lo stato maggiore del Partito democratico.
Già, il Pd. Spaccato in più tronconi e spalmato attraverso mille distinguo sulla proposta di riarmo messa nero su bianco dalla presidente della Commissione europea, il partito di Elly Schlein rinuncia alla convocazione di una piazza in proprio, si palesa con qualche esponente qua e là alle manifestazioni pro-Kiev di Carlo Calenda e aderisce a pieno titolo solo all’adunata promossa da Michele Serra per sabato 15. Che, però, ha nella propria piattaforma un granitico riferimento a quella stessa Europa che il vertice dei Democratici italiani ha stroncato nelle ultime quarantott’ore, anche al prezzo di rimarcare una distanza netta dal resto del Partito socialista europeo. Un alto dirigente del Nazareno, richiesto di un parere su quello che può accadere da qui al giorno della manifestazione di Piazza del Popolo, se la cava con tre lettere: «Boh!». Poi aggiunge: «Non si capisce più nulla».
Perché a rendere complicato il quadro è lo smembramento delle coalizioni. Il Pd, prendendo le distanze da von der Leyen, si era avvicinato alla posizione del Movimento Cinquestelle. Che però, mantenendo dritta la barra critico-europeista, al contrario di Schlein e compagni non prenderà parte dalla manifestazione promossa da Serra. «Non ci saremo in piazza il 15 marzo perché diciamo no all’Europa del riarmo», ha spiegato ieri l’altro Giuseppe Conte. Che però, una sua piazza fatta e finita, si fa per dire, la sta mettendo in piedi in solitaria. «Saremo in piazza il 5 aprile per le bollette e anche per dire non più armi».
E così torna d’attualità, a quasi tre anni di distanza, il quesito che Mario Draghi propose alla sua allora maggioranza all’alba della torrida estate del 2022, quando l’interruzione del gas russo mise gli italiani di fronte al dubbio — così sintetizzato dall’ex presidente del Consiglio — se fosse preferibile «la pace o l’aria condizionata». Forza Italia, intanto, sabato sarà ad Ancona a una manifestazione alla quale prenderà parte anche la presidente del Parlamento europeo Roberta Metsola. Niente bollette, niente guerra, niente pace, niente Trump o Zelensky. Nel menù, a completare il quadro, ci sono «le radici cristiane e il futuro dell’Europa».
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