Pensioni anticipate 2025: Chi ci ha guadagnato e chi ci ha perso? L’analisi di Brambilla sulla riforma

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La riforma previdenziale introdotta dalla Legge di Bilancio 2025 introduce la possibilità di andare in pensione anticipata cumulando la rendita della previdenza complementare con quella pubblica. Secondo l’analisi di Alberto Brambilla in un articolo pubblicato sul Corriere della Sera, la misura presenta diverse criticità e lascia irrisolti molti problemi strutturali del sistema pensionistico.

Pensioni anticipate 2025, Cosa cambia con la riforma?

Dal 1° gennaio 2025, solo i lavoratori interamente contributivi (con primo contributo versato dal 1996) potranno anticipare la pensione se raggiungono una soglia minima di 1.603,23 euro mensili (ridotta per le donne con figli). In alternativa, la pensione di vecchiaia rimane accessibile a 67 anni con almeno 20 anni di contributi, a condizione che l’importo della pensione sia almeno pari all’assegno sociale (534,41 euro). Se questa soglia non viene raggiunta, sarà necessario attendere il compimento dei 70 anni. Dal 2030, per la pensione anticipata serviranno 30 anni di contributi e una soglia pensionistica di 3,2 volte l’assegno sociale.

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Rispetto alla riforma Fornero, questa manovra peggiora la situazione per chi ha versato regolarmente i contributi, aumentando le soglie da 2,8 a 3 (e poi 3,2) volte l’assegno sociale e portando il requisito contributivo da 20 a 25 e infine 30 anni. D’altro canto, favorisce chi ha versato pochi contributi, riducendo il requisito per la pensione di vecchiaia da 1,5 volte l’assegno sociale a 1 volta, lasciando invariato il requisito dei 20 anni di contributi. Questo beneficio riguarda circa il 40% dei pensionati italiani. Secondo Brambilla questa nuova riforma presenta diverse criticità:

Sostenibilità economica: se le richieste di pensione anticipata fossero superiori alle previsioni (attualmente stimate in meno di 100 nel 2025), il governo potrebbe intervenire con riduzioni delle prestazioni o aumentando gli importi soglia.

Snaturamento della previdenza complementare: i fondi pensione non sono stati creati per anticipare l’uscita dal lavoro, ma per garantire un’integrazione economica post-lavorativa.

Incertezza sulla rendita complementare: il decreto attuativo dovrà stabilire i criteri di calcolo della rendita complementare e certificare le proiezioni future, ma attualmente la rendita pensionistica complementare è una soluzione poco conveniente e scarsamente utilizzata.

Aspetti contabili europei: il decreto dovrà considerare le decisioni di Eurostat sulla contabilizzazione delle prestazioni di rendita delle forme di previdenza complementare.

Chi potrà davvero anticipare la pensione? Cosa sarebbe stato meglio fare nella riforma?

Solo chi ha avuto redditi medi di circa 50.000 euro annui per 25 anni potrà beneficiare dell’uscita anticipata, ovvero una piccola minoranza di lavoratori. La Ragioneria generale dello Stato prevede infatti meno di 100 richieste nel 2025. Secondo l’analisi di Alberto Brambilla, invece di introdurre questa misura complessa e poco efficace, sarebbe stato meglio adottare interventi strutturali più mirati, come:

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  • Parificare i requisiti contributivi tra lavoratori contributivi e misti, concedendo anche ai primi l’integrazione al minimo.
  • Bloccare l’indicizzazione dell’anzianità contributiva a 42 anni e 10 mesi (41 e 10 per le donne).
  • Confermare Quota 102, una formula più equilibrata per la pensione anticipata.
  • Migliorare la previdenza complementare, introducendo:
    • Un nuovo semestre di adesione automatica ai fondi pensione.
    • La riduzione del carico fiscale, oggi al 20%.
    • La riforma delle rendite pensionistiche per garantire maggiore protezione dal rischio di longevita.
    • Il ripristino del fondo di garanzia per le micro e piccole imprese, eliminato nel 2007.

Purtroppo, secondo Brambilla, nessuna di queste misure è stata adottata. Inoltre, con l’obbligo per le imprese con più di 50 dipendenti di versare il TFR all’INPS anziché ai fondi pensione, sono stati sottratti oltre 97 miliardi di euro all’economia reale in soli 12 anni, aggravando ulteriormente la situazione.

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