Precipita la crisi Ucraina e, con il ritiro americano, la stessa difesa europea. Le nuove tecnologie definiscono nuovi orizzonti: essi impongono di non attardarsi in “ammodernamenti” e “migliori coordinamenti” degli eserciti nazionali europei.
Serve all’Europa una strategia, una scelta innovativa nei sistemi d’arma, una nuova capacità organizzativa e operativa. L’Ucraina ne è componente essenziale. È un cammino lungo, ma da avviare con la massima urgenza.
La crisi ucraina e il ritiro americano: un punto di svolta per la difesa europea
“La decisione del presidente Donald Trump di sospendere tutti gli aiuti statunitensi all’Ucraina è un duro colpo, non solo per Kiev, ma anche per gli alleati europei che hanno fatto pressioni sull’amministrazione statunitense affinché continuasse a sostenerla”.[1] Anche nel 2024 ci vollero mesi prima che l’impatto del blocco fosse percepito sul campo di battaglia, e comunque oggi l’Europa fornisce almeno il 60% degli armamenti all’Ucraina.
Tuttavia i sistemi più complessi di telecomunicazioni (Starlink) di intelligence e di missilistica di difesa (Patriot, NASAMS) e di attacco (HIMARS e ATACM) sono nelle mani americane, che si stanno ritirando.
Gli Stati Uniti potrebbero impedire ai paesi europei di inviare le attrezzature prodotte negli Stati Uniti, tanto che, quando l’Europa ha fornito gli F-16 all’Ucraina, ha dovuto chiedere l’approvazione di Washington. Senza il sostegno degli Stati Uniti, l’Ucraina dovrà lottare per la sopravvivenza ancora più duramente.
La fine del modello di difesa NATO-centrico: verso una nuova strategia europea
Ma la crisi Ucraina dimostra anche che è compiuto il ciclo dell’Europa difesa dagli Stati Uniti/NATO. La NATO guidata dagli Stati Uniti di Trump non sarà al servizio della difesa dell’Europa, ma al servizio della strategia di potere di Trump.
È anche finita (lo era già da tempo) la storia degli eserciti nazionali europei e con essa la questione in vero senza senso dell’aumento della percentuale di PIL speso nella difesa. Come vedremo non è questione né di percentuale né di quantità, ma di strategia politica, di organizzazione militare e di definizione di priorità nelle scelte dei nuovi sistemi d’arma e delle capacità di gestirli e utilizzarli in modo efficace.
È paradossale, ma l’Ucraina che rischia la dura sconfitta, ha acquisito una esperienza unica nell’uso delle nuove armi e si rivelerebbe una risorsa preziosa all’interno di un sistema difensivo come la NATO o come il sistema di difesa europeo e darebbe indicazioni preziose anche a chi, come Musk, freme per dispiegare la potenza dei nuovi sistemi d’arma, il cui impatto lui stesso non conosce, se non in laboratorio.
Innovazione tecnologica e fattore umano: le nuove frontiere della difesa
Intervenendo al Parlamento europeo per “aggiornare” il suo rapporto sulla competitività[2], Mario Draghi ha criticato il principio di precauzione che guida la produzione normativa europea, volta a tutelare in primo luogo i diritti dei cittadini, senza tuttavia proteggerli dal predominio delle grandi aziende tecnologiche: “il FMI stima che le nostre barriere interne equivalgano a una tariffa di circa il 45% per la produzione e del 110% per i servizi. E abbiamo scelto un approccio normativo che da
priorità alla precauzione rispetto all’innovazione, soprattutto nel settore digitale. Ad esempio, si stima che il GDPR abbia aumentato i costi dei dati del 20% per le aziende dell’UE. Abbiamo anche molti risparmi in Europa che potremmo utilizzare per finanziare l’innovazione”.
I limiti degli eserciti nazionali: verso un modello di difesa comune europeo
Nel Rapporto, la posizione sulla difesa era ancor più netta: “L’industria della difesa è troppo frammentata, il che ostacola la sua capacità di produrre su scala, e soffre di una mancanza di standardizzazione e interoperabilità delle attrezzature, che indebolisce la capacità dell’Europa di agire come una potenza coesa.
Ad esempio, in Europa vengono prodotti dodici diversi tipi di carri armati, mentre gli Stati Uniti ne producono solo uno…l’Europa sta sprecando le sue risorse comuni. Abbiamo una grande capacità di spesa collettiva, ma la diluiamo in molteplici strumenti nazionali e comunitari. Ad esempio, non stiamo ancora unendo le forze nell’industria della difesa per aiutare le nostre aziende a integrarsi e a raggiungere una scala.
Gli acquisti collaborativi europei hanno rappresentato meno di un quinto della spesa per l’acquisto di attrezzature per la difesa nel 2022.
Inoltre, non favoriamo le aziende europee competitive nel settore della difesa. Tra la metà del 2022 e la metà del 2023, il 78% della spesa totale per gli acquisti è stata destinata a fornitori extra-UE, di cui il 63% agli Stati Uniti… La pace è il primo e principale obiettivo dell’Europa.
Ma le minacce alla sicurezza fisica sono in aumento e dobbiamo prepararci. L’UE è collettivamente il secondo Paese al mondo per spesa militare, ma questo non si riflette nella forza della nostra capacità industriale di difesa”.
Spendere di più o spendere meglio nella difesa europea, questo è il dilemma
Già in queste parole della Prefazione al Rapporto, scritte di pugno da Draghi, troviamo il passaggio cruciale del ragionamento che vogliamo sviluppare. Nella figura1 è rappresentata la spesa per la difesa in moneta costante. Come si vede, dopo il crollo della spesa negli anni successivi alla fine della guerra fredda, l’Europa occidentale spende oggi più del doppio della Russia, nonostante quest’ultima abbia elevato negli anni del conflitto la quota al 16% del prodotto interno lordo, molto più elevata di quelle europee, che mediamente sono inferiori al 2%. Ma il problema viene affrontato, nella narrazione del nostro e di altri governi europei, in modo del tutto fuorviante. L’attenzione si concentra sulla percentuale del PIL spesa per la difesa, e ci si arrabatta per elevarla, oppure si insiste sulla necessità che la spesa della difesa sia finanziata dall’Europa (ovvero da emissioni di debito europee)[3].
<un problema di strategia, di strumenti, di organizzazione
Certamente l’amministrazione americana ha tutta la convenienza a chiedere non un esercito europeo, ma il semplice aumento della spesa. All’industria americana va benissimo che gli europei spendano di più: è ciò che serve per assicurare maggiori vendite all’industria americana. Ma il problema, come abbiamo visto, è primariamente un problema di strategia, di strumenti, di organizzazione.
Warfare e innovazione
La guerra nel prossimo decennio sarà plasmata dai rapidi progressi nell’intelligenza artificiale, nelle armi autonome, nella guerra informatica e nelle operazioni spaziali. Il tradizionale campo di battaglia si sposterà verso una guerra ibrida e asimmetrica, in cui attori statali e non statali utilizzano tecnologie emergenti per ottenere la superiorità.
Il mondo è entrato in una nuova fase dei conflitti, caratterizzata da guerra guidata dall’intelligenza artificiale, sciami di droni autonomi, offensive informatiche e militarizzazione dello spazio. Gli impegni militari convenzionali diventeranno rari, sostituiti da strategie di combattimento ad alta tecnologia, frenetiche e decentralizzate.
Comando e controllo del campo di battaglia vedranno le decisioni militari prese da sistemi di gestione basati sull’intelligenza artificiale, in grado di analizzare dati in tempo reale, prevedere i movimenti del nemico e distribuire risorse in modo autonomo. I comandanti si affideranno a modelli strategici assistiti dall’intelligenza artificiale per prendere decisioni in frazioni di secondo in complessi ambienti di battaglia.
Le sale di guerra AI simulano migliaia di scenari di battaglia per ottimizzare le risposte.
La supervisione umana rimane cruciale, ma l’intelligenza artificiale funge da principale assistente decisionale. La guerra predittiva potrebbe aiutare le nazioni a prevenire i conflitti identificando in anticipo i punti critici, ma può anche rendere più efficace l’attacco a sorpresa. Ma tutto ciò avviene a velocità accelerata, ma con scarsa conoscenza dell’efficacia delle nuove tecnologie belliche e soprattutto con scarsa capacità di pianificazione del loro utilizzo.
I droni e l’autonomia operativa
I cieli saranno dominati da sciami di droni, UAV (velivoli senza pilota) completamente autonomi controllati dall’intelligenza artificiale in grado di coordinare gli attacchi senza l’intervento umano. Questi droni si presenteranno in varie forme:
- micro-droni progettati per l’infiltrazione e la raccolta di informazioni nella guerra in aree urbane o industriali;
- droni da attacco ipersonici in grado di effettuare attacchi rapidi e mirati con precisione;
- veicoli autonomi sottomarini senza pilota, utilizzati per il dominio navale e gli attacchi stealth;
Le nazioni svilupperanno contromisure come i sistemi di guerra elettronica (EW) guidati dall’intelligenza artificiale, progettati per bloccare, ingannare o prendere il controllo dei droni nemici a mezz’aria.
Supremazia della guerra informatica
La guerra informatica diventerà importante quanto il combattimento tradizionale. Nazioni e attori canaglia si impegneranno in attacchi informatici su larga scala alimentati dall’intelligenza artificiale per:
- interrompere reti elettriche e infrastrutture critiche;
- dirottare sistemi militari autonomi;
- diffondere disinformazione deepfake per manipolare l’opinione pubblica e destabilizzare i governi;
- le unità di difesa informatica guidate dall’intelligenza artificiale si adatteranno e contrasteranno costantemente gli attacchi informatici, ma la velocità dell’hacking potenziato dall’intelligenza artificiale supererà le risposte umane.
Lo spazio come prossima frontiera militare
La militarizzazione dello spazio diventerà realtà man mano che le nazioni dispiegheranno sistemi di difesa orbitale e armi anti-satellite. Gli sviluppi chiave includono:
- veicoli di uccisione cinetica (KKV) in grado di distruggere satelliti e interrompere le comunicazioni globali;
- reti di sorveglianza orbitali guidate dall’intelligenza artificiale per l’analisi del campo di battaglia in tempo reale;
- armi basate sull’energia (laser a energia diretta) in grado di neutralizzare le minacce dallo spazio.
Le nazioni stabiliranno “Space Command Center”, dove i sistemi di intelligenza artificiale tracceranno i movimenti nemici nell’orbita terrestre bassa (LEO) e dispiegheranno contromisure in pochi secondi.
L’ascesa dell’esercito privato e dei mercenari alimentati dall’intelligenza artificiale
Gli eserciti tradizionali si ridurranno con l’emergere di forze mercenarie autonome guidate dall’intelligenza artificiale. Queste società militari private (PMC) utilizzeranno:
- soldati potenziati dall’intelligenza artificiale in esoscheletri con interfacce di realtà aumentata (AR) sul campo di battaglia;
- unità di combattimento robotiche per la guerra urbana e di guerriglia;
- team di guerra informatica basati su contratti per conflitti tra stati nazionali.
La distinzione tra attori statali e non statali si confonderà, portando a un’era di conflitti guidati dall’intelligenza artificiale per procura.
Decrittografia quantistica e guerra
Con l’ascesa dell’informatica quantistica, le comunicazioni militari crittografate e i protocolli di sicurezza informatica diventeranno obsoleti. Le nazioni investiranno molto in:
- crittografia quantistica per proteggere i dati dagli attacchi di decrittazione;
- hacking quantistico basato sull’intelligenza artificiale per penetrare nelle reti nemiche;
- sistemi radar quantistici in grado di rilevare aerei e sottomarini stealth;
La supremazia quantistica modifica l’equilibrio di potere, offrendo alle nazioni con capacità quantistiche avanzate un importante vantaggio strategico.
La guerra sarà guidata dall’intelligenza artificiale?
Entro il 2035, la guerra sarà più veloce, più automatizzata e sempre più imprevedibile. Il processo decisionale umano svolgerà ancora un ruolo, ma i sistemi basati sull’intelligenza artificiale e le armi autonome domineranno i conflitti moderni.
Le domande chiave rimangono:
- Gli esseri umani manterranno il controllo sulla guerra guidata dall’intelligenza artificiale?
- Le linee guida etiche sull’intelligenza artificiale possono prevenire le guerre autonome?
La spesa diventa efficace non perché aumenta la sua incidenza sul PILo il suo volume, ma perché obbedisce ad un progetto strategico di cambiamento del warfare e della condotta militare, un cambiamento che gli scossoni geopolitici in atto e l’impennata dell’innovazione tecnologica, impongono.
Come dimostra il riquadro proposto, il futuro vedrà una crescita dell’importanza dell’informazione e della sua capacità di interconnettere comando, intelligence, controllo, riconoscimento. Nel confronto prevarrà che saprà meglio e più rapidamente raccogliere informazioni vitali su di sé e sull’avversario, le saprà analizzare e rapidamente distribuirle all’interno dell’organizzazione con adeguate e rapide istruzioni[4].
Una visione estrema del tema dell’innovazione nella conduzione della guerra, sottolinea il fatto che l’innovazione non è soltanto un fatto tecnologico: questo sposso viene rapidamente adottato dall’avversario, con l’effetto di ridurre il vantaggio competitivo derivante dalla disponibilità delle innovazioni tecniche. Più importante ai fini del successo sul campo è la capacità dell’organizzazione di reagire in modo adattivo alle innovazioni dell’avversario e alle proprie. Conta il fattore umano e le capacità di reazione della struttura organizzativa, la sua flessibilità nel saper indirizzare in modo nuovo il proprio operare e nello sfruttare il rapido cumularsi di esperienze e la conoscenza acquisita dei punti di debolezza e di forza in campo[5].
I limiti degli eserciti nazionali: verso un modello di difesa comune europeo
Il fattore cruciale per utilizzare al meglio le armi che le innovazioni tecnologiche potranno mettere in campo, consiste nel modo in cui verranno dispiegate e utilizzate, ovvero se diventeranno parti integranti di sistemi e di azioni coordinate e monitorate.
Il contesto in cui debbono essere utilizzate, anche se si tratta di una azione locale, deve fare i conti con le informazioni che la rete globale può fornire.
La duplice strada per la difesa europea
Se torniamo allora alla questione cruciale della difesa europea, possiamo indicare ora che la strada da percorrere sia duplice. Da un lato, come indicano alcuni, occorre valorizzare l’esperienza di coordinamento e di comunicazione maturata in sede NATO, perché è la struttura di competenze dio esperienze organizzative più globale che ci sia a livello mondiale. Ciò significa che la difesa europea deve svilupparsi all’interno della NATO, con una identità europea, ossia continentale, ovvero con strutture operative che dipendono da un comando federale, che acquistano prodotti standard, che, nelle loro singole unità operative, fanno parte di una forza armata comune. Per raggiungere questo obiettivo ineludibile, se vogliamo dotarci della necessaria capacità di autonoma difesa, l’impegno maggiore è politico, non finanziario.
L’Europa deve darsi una strategia, sapendo che, per molti anni, la politica americana è semplicemente volta all’annichilimento della forza di gravità federale europea: meglio, per Washington, trattare con i singoli staterelli. Draghi sottolineava che le forze armate europee dispongono di 12 tipi diversi di carri armati, con mancate economie di scale, difficoltà di reperimento dei ricambi e delle officine di riparazione, diversità delle istruzioni di guida delle macchine e diversità dei sistemi d’arma. È assai probabile che una strategia aggiornata di difesa ridimensioni drasticamente il ruolo dei carri armati, spostando l’enfasi su un nuovo progetto di difesa comune, piuttosto che su un aggiornamento-coordinamento dei sistemi nazionali esistenti.
Iniziative e prospettive: la cooperazione strutturata permanente (PESCO)
Non mancano le iniziative per ammodernare i sistemi d’arma e per coordinare meglio le forse disperse negli eserciti nazionali.
L’UE ha intensificato le operazioni congiunte e promosso esercitazioni militari coordinate per integrare le forze armate nazionali. L’esercitazione EUFOR mira a migliorare la prontezza operativa e le capacità di risposta alle crisi, aumentano gli investimenti in tecnologie avanzate. Il Fondo europeo per la difesa finanzia la ricerca e lo sviluppo di nuove tecnologie militari, tra cui la guerra dei droni e i sistemi di difesa informatica.
La cooperazione strutturata permanente (PESCO) promuove l’integrazione europea concentrandosi sullo sviluppo di capacità di difesa collettive, sul coordinamento degli investimenti e sul miglioramento dell’interoperabilità delle forze armate nazionali.
Gli obiettivi della PESCO includono l’aumento progressivo della spesa per la difesa e il rafforzamento della capacità di rapida mobilitazione delle unità militari, senza costituire forze permanenti. La revisione strategica, approvata dal Consiglio europeo nel novembre 2024, mira a rafforzare la PESCO, adattandola alla nuova realtà geopolitica rendendo l’Europa più coesa e resiliente[6].
Queste iniziative non rappresentano ancora l’avvio di una nuova strategia di difesa, ma sono esempi di iniziative che segnalano l’esigenza di cambiamento.
Una forza armata comune, sul modello della NATO, costerebbe molto meno a parità di efficacia, o sarebbe molto più efficace a parità di spesa rispetto alla sommatoria dei sistemi nazionali. Questi ultimi sono incapaci di disporre della risorse e del know how per gestire e utilizzare le nuove tecnologie. La difesa degli eserciti nazionali è difesa dello status quo, sotto il profilo organizzativo e sotto il profilo tecnologico. La difesa degli eserciti nazionali non è una strategia di difesa, ma la difesa corporativa delle posizioni di potere, quando va bene, degli orticelli, se si vuol pensar male.
Note
[1]) Jonathan Beale, What pause in US military aid could mean for Ukraine, BBC, March 4th 2025-
[2]) Il futuro della competitività Europea. Parte A. Una strategia di competitività per l’Europa, Settembre 2024, d’ora in avanti Rapporto.
[3]) Domenico Moro, La difesa europea e il problema del suo finanziamento, Centro studi sul federalismo, 29 marzo 2024.
[4]) Global Trends, The Future of the Battlefield, National Intelligence Council, March 2021.
[5]) Matthew Tattar, Innovation and Adaptation in War, Belfer Center Studies in International Securit, The MIT Press, in uscita a maggio 2025.
[6]) Simone Chiusa, Lorenzo Fedrigo, Redefining European Defense: EU Security Policy in the Trump Era, Geo-Political Monitor, Backgrounders – February 19, 2025.
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