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Le speranze di Giorgia Meloni di sbarcare a Bruxelles con un governo unito sul riarmo svaniscono davanti alle parole di Matteo Salvini. «La Lega esiste e non abbiamo un prezzo», dice il vicepremier e leader leghista a chi gli chiede conto delle posizioni del suo partito «diverse dal mainstream». È la riprova della tensione registrata nel vertice di martedì sera a Palazzo Chigi, quando la presidente del Consiglio ha chiesto, invano, unità sulle scelte inerenti Europa e Ucraina. Salvini rivendica il suo «no» al piano Von der Leyen, si mette sul polo opposto rispetto a quello del capo di Forza Italia, Antonio Tajani, e soprattutto ottiene l’allineamento del ministro dell’Economia Giancarlo Giorgetti. Circa il riarmo, spiega il titolare del Tesoro, «non dobbiamo avere frenesia, basta ricordare cosa è successo con il Pnrr, all’inizio sono state buttate dentro opere a caso. Quando si fa debito, e siccome ci è precluso farlo con cose moralmente importanti, bisogna farlo a ragion veduta. Sfido chiunque a contraddirmi». Parole che non saranno piaciute al collega titolare della Difesa, Guido Crosetto, che invece continua a rimarcare la necessità dell’intervento a regia europea e a smentire eventuali contraccolpi sulla spesa sociale. Lega contro FI e FdI, dunque, con il partito della premier che cerca di tenere il Carroccio agganciato mantenendo una riserva sui dettagli del piano di Bruxelles, in particolare sugli investimenti e sul ruolo dei Fondi Coesione. Ma non pare in dubbio l’assenso politico della premier, sebbene si ribadisca che le decisioni vere saranno al vertice formale del 20-21 marzo. Accolta a Bruxelles, ma senza sbocchi operativi, l’idea di Meloni di un vertice Ue-Usa, ma lo stesso Tajani ritiene «difficile» che si tenga. I problemi interni potrebbero influenzare la posizione italiana, mentre i leader degli altri principali Paesi europei arrivano con meno ingombri, soprattutto il francese Emmanuel Macron che ha in casa una destra apertamente antiputiniana. In serata nel discorso alla Nazione Macron ha parlato della Russia come di una «minaccia oggettiva», ha confermato l’idea – che non piace a Roma -di truppe Ue e annunciato persino un «summit militare». Insomma Macron prova a declinare in salsa europea la famosa grandeur francese. E conferma l’ambizione di Parigi a offrire una «protezione nucleare» ai Paesi che non hanno l’atomica, alla luce dell’isolazionismo Usa. Scenari che non piacciono a Roma e che potrebbero irrigidirne, oggi, la posizione.
Quanto al vertice, che vedrà la presenza di Volodymir Zelensky, i due temi dominanti saranno appunto Ucraina e difesa europea. Proprio su Kiev si preannunciano forti tensioni. Il premier ungherese Viktor Orbán, su posizioni sempre più putiniane e filo-Trump, ribadisce il veto sulla parte delle conclusioni su Kiev, appoggiato dall’omologo slovacco Robert Fico. Nell’ultima bozza di conclusioni si afferma che «non può esserci alcun negoziato sull’Ucraina senza l’Ucraina» e che «qualsiasi tregua può avere luogo solo come parte di un processo che conduca a un accordo di pace globale», il tutto «accompagnato da garanzie di sicurezza robuste e credibili». Si parla inoltre di «pace attraverso la forza», facendo sì che «l’Ucraina sia nella posizione più forte possibile». Orbán vuole invece negoziati immediati con Mosca. Il presidente del Consiglio Europeo Antonio Costa ieri si mostrava ottimista sulla possibilità alla fine di trovare un’intesa, ma intanto circola a Bruxelles l’ipotesi di una dichiarazione firmata da 25 Stati membri. Al di là del veto ungherese, rimangono aperte varie questioni. Anzitutto non viene specificato che cosa si intenda per «garanzie di sicurezza». Fonti diplomatiche spiegano che la «prima linea» resta un esercito ucraino rafforzato. Ineludibile, insistono vari diplomatici, un ombrello americano, indispensabile affinché una «coalizione di volenterosi» possa inviare, a pace firmata, soldati europei come peacekeeper. La Francia è disponibile, Italia e Polonia no. L’altro piatto forte, meno controverso, è la difesa Ue. Tra tutti i Ventisette, dice un alto diplomatico Ue, «è drasticamente cambiata la percezione della situazione dopo le prime settimane dell’amministrazione Trump». La discussione sulla difesa sarà dominata dal piano RearmEU da 800 miliardi di euro presentato due giorni fa dalla presidente della Commissione Ursula von der Leyen, con un fondo da 150 miliardi di euro di prestiti agevolati, finanziato con debiti comuni e la sospensione temporanea del Patto di stabilità limitatamente alle spese militari. Nella bozza di conclusioni, di fatto già concordata, si parla di «minaccia esistenziale per l’Unione Europea», con l’annuncio che l’Ue «accelererà la mobilitazione degli strumenti necessari e il finanziamento per rilanciare la sicurezza dell’Unione». Alla Commissione si dà via libera a continuare il lavoro. Rimangono molti dettagli da chiarire, si guarda al 19 marzo quando la Commissione presenterà il suo Libro bianco sulla difesa, alla vigilia del Consiglio Europeo ordinario del 20-21 marzo. Intanto, al Parlamento Europeo dilaga la polemica per la scelta della base giuridica per RearmEU, l’articolo 122 del trattato Ue, previsto per gravi emergenze, che esclude un voto parlamentare.
Attraverserà la giornata bruxellese anche la forte tensione all’interno del Pse. O meglio, tra Pse e Pd. Schlein, critica sul piano di Von der Leyen, vuole un «confronto» con i socialisti europei. Ma l’ex premier e l’ex commissario europeo, Paolo Gentiloni, la corregge facendo da sponda all’ala del partito più allineata con le posizioni di Bruxelles: VdL, dice, «va nella direzione giusta». È un controcanto alla segretaria? «Ognuno dà il suo contributo», replica Gentiloni.
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