In ambito familiare, è assai frequente riscontrare la cointestazione di prodotti postali e bancari, quali conti correnti o libretti di risparmio. Di solito, il cointestatario è persona vicina all’intestatario principale, che spesso (ma non sempre) è una persona anziana.
Quest’ultima delega di fatto il cointestatario a prelevare somme o effettuare altre operazioni per suo conto, magari perché fisicamente impossibilitata a causa di patologie o dell’età avanzata. In tal caso si dice che il cointestatario provvede a mere “esigenze di cassa” dell’intestatario principale del prodotto.
Ebbene, queste circostanze costituiscono terreno fertile per condotte davvero disdicevoli del parente cointestatario (ad esempio, il figlio o il fratello dell’intestatario principale), che ben potrebbe approfittare della situazione per occultare somme, anche ingenti, a suo esclusivo beneficio, a discapito dell’anziano parente quasi sempre ignaro.
Morte dell’intestatario: come tutelarsi dai prelievi illegittimi
Ma la prassi registra fattispecie ancora più complesse: cosa succederebbe se l’intestatario principale, a cui in principio appartengono le somme depositate, perisse? Come potrebbero tutelarsi gli eredi del defunto di fronte alla illegittima sparizione, nel corso anche di diversi anni, di considerevoli somme di denaro?
Le questioni giuridiche che si pongono sono molteplici ed hanno da tempo impegnato la giurisprudenza di merito e di legittimità per la loro soluzione. Infatti, preliminarmente bisogna stabilire la titolarità delle somme giacenti in cointestazione. Se i cointestatari sono due, si presume che le somme afferiscano per metà a ciascuno.
Se sono tre, ognuno sarà titolare di un terzo del saldo in giacenza e così via. Ciò non solo si desume dall’art. 1854 c.c. in materia di conto corrente, secondo il quale i cointestatari sarebbero “[…] considerati creditori o debitori in solido dei saldi del conto”, ma anche da numerosa giurisprudenza di merito, confermata, tra l’altro, recentemente dalla Corte Regolatrice (Cassazione n. 4838/2021).
Ciò vale sia nei rapporti con l’istituto di credito, che nei rapporti interni tra i cointestatari, come, peraltro, si desume dal secondo comma dell’art. 1298 c.c.
Aggirare la presunzione di contitolarità
Tuttavia tale presunzione, conosciuta come “presunzione di contitolarità”, non è assoluta: può essere, infatti, agevolmente superata dimostrando che il saldo attivo del conto sia frutto di apporti del solo intestatario principale, con la naturale conseguenza che dev’essere esclusa ogni ingerenza del cointestatario che non abbia apportato alcunché in detto conto.
Questo principio di diritto è stato enucleato dalla Cassazione nella sentenza n. 4066 del 2009, ove confermava la sentenza di merito che aveva ritenuto superata la presunzione di comproprietà in relazione ad un conto corrente cointestato a zio e nipote (che rientra senza difficolta nella casistica di cui ci occupiamo), una volta fornita la prova che i versamenti fossero stati compiuti con denaro appartenente soltanto al primo.
Quanto esposto in termini giuridici, che risultano spesso criptici a molti, è in realtà più lineare di ciò che sembra: la situazione più diffusa nel quotidiano è la cointestazione di un conto o un libretto con un genitore, un figlio o uno zio, e quasi sempre, in questi casi, le somme presenti in giacenza sono riferibili ad uno solo dei cointestatari.
Questo perché, ad esempio, derivano da redditi da pensione di quest’ultimo. L’effetto perciò è lo svuotamento della cointestazione da qualsiasi “solidarietà”, dato che esiste solamente una comodità per l’intestatario, spesso anziano, che manda a prelevare denaro o a pagare utenze o tributi il figlio o nipote più giovane che, in quanto cointestatario, potrà, dunque, operare disgiuntamente.
Ne segue che, laddove poi il cointestatario effettui movimentazioni estranee alle ordinarie esigenze di cassa dell’anziano parente, queste saranno qualificabili come indebite appropriazioni di somme di denaro di cui il primo non è titolare, poiché (nell’ipotesi prevalente nella prassi) non alimenta il conto cointestato.
Ecco, in concreto, come viene superata la presunzione di contitolarità: dimostrando che la cointestazione è, appunto, fittizia, perché i versamenti sul conto o libretto vengono effettuati ad opera di una sola delle parti cointestate.
Come ci si tutela
È cruciale inoltrare la richiesta all’istituto di credito, in qualità di erede, delle movimentazioni dell’ultimo decennio del conto cointestato: per poter eventualmente rilevare movimentazioni inverosimili o esorbitanti rispetto all’intestatario principale ed alle sue presumibili esigenze di cassa, che potrebbe aver posto in essere proprio il cointestatario fraudolento, così dilapidando il patrimonio del de cuius negli anni precedenti la sua effettiva scomparsa.
In capo al cointestatario del de cuius si ritiene configurabile un obbligo di rendicontazione, in quanto sarebbe investito di una sorta di “mandato implicito” per conto dell’intestatario principale, il quale spesso è impossibilitato, magari perché anziano, a movimentare le somme o effettuare pagamenti, e preferisce affidarsi ad un congiunto più giovane, di fatto delegandogli le varie operazioni.
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