la Sicilia emerge sul riutilizzo dei beni confiscati alle mafie

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In occasione del ventinovesimo anniversario della legge n. 109/96, che ha istituito il riutilizzo pubblico e sociale dei beni confiscati alla criminalità organizzata, Libera presenta il report “Raccontiamo il bene”. Un documento che non solo traccia un bilancio delle pratiche di riconversione di questi patrimoni, ma racconta un’Italia che, attraverso il impegno collettivo, trasforma simboli di oppressione in opportunità di riscatto.

Sicilia: un laboratorio di economia positiva

La Sicilia emerge come regione simbolo di questa rivoluzione silenziosa. Secondo i dati aggiornati al 2025, nell’isola operano 297 soggetti gestori (+4% rispetto al 2024) distribuiti in 63 comuni, impegnati nella riconversione di immobili e terreni sottratti alle mafie. Di questi: 56% sono associazioni (168 realtà), 18% cooperative sociali e consorzi (54 cooperative e 3 consorzi), 7% scuole (21 istituti di ogni ordine e grado).

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I beni gestiti includono 121 abitazioni, 79 terreni agricoli, 63 locali commerciali e 48 ville o fabbricati complessi, spesso riuniti in progetti multifunzionali. Le attività spaziano dal welfare alla cultura: 127 soggetti offrono servizi sociali (come assistenza a persone fragili o contrasto alla povertà educativa), 109 promuovono turismo sostenibile e cultura, mentre 44 si dedicano ad agricoltura sociale e tutela ambientale. Non mancano omaggi alle vittime innocenti: 17 esperienze portano il nome di chi ha pagato con la vita la lotta alle mafie.

L’Italia che reagisce: numeri nazionali e impatto sociale

A livello nazionale, sono 1.132 le realtà che gestiscono beni confiscati, coinvolgendo oltre 600 associazioni, 30 scuole e una rete di cooperative. Un esercito pacifico che genera welfare, crea posti di lavoro e ridisegna il tessuto economico. «Questi luoghi, un tempo emblema del potere mafioso, oggi raccontano una storia diversa: quella di comunità che scelgono la legalità e l’inclusione», sottolinea Tatiana Giannone, responsabile Beni Confiscati di Libera.

I numeri dell’Agenzia Nazionale Beni Confiscati confermano l’importanza della sfida: in Sicilia, su 14.643 beni immobili confiscati, 6.437 sono già stati destinati a uso sociale, mentre 8.206 attendono ancora una collocazione. Sul fronte aziendale, 451 imprese sono state riconvertite, contro 884 in attesa di riallocazione.

Le criticità: trasparenza, privatizzazioni e risorse

Nonostante i progressi, restano nodi da sciogliere. Libera avanza tre proposte concrete: Trasparenza nei processi: creare banche dati accessibili e interconnesse per monitorare ogni fase della gestione dei beni, garantendo il diritto dei cittadini a partecipare alle scelte pubbliche. Stop alla privatizzazione: «La vendita o l’affitto oneroso dei beni confiscati sarebbe un tradimento», avverte Giannone. La legge 109/96 deve rimanere un pilastro intoccabile.

Risorse coordinate: serve una cabina di regia nazionale per integrare fondi pubblici e investimenti privati, superando la frammentazione degli interventi.

La visione di Libera: comunità che progettano il futuro

«Il riuso sociale non è solo una prassi, ma un modello di sviluppo alternativo», spiega Giannone. L’obiettivo è rafforzare la collaborazione tra enti pubblici e Terzo Settore, trasformando i beni confiscati in presidi di democrazia. La Piattaforma Unica delle Destinazioni, strumento recente per semplificare le assegnazioni, deve diventare volano per progetti condivisi.

Un patrimonio da custodire

I beni confiscati sono oggi un patrimonio collettivo, frutto di battaglie legali e civili. La loro riconversione non solo indebolisce le mafie, ma dimostra che un’economia etica è possibile. Come ricorda Libera, dietro ogni numero ci sono volti, storie e comunità che hanno scelto di non arrendersi. La sfida ora è preservare questo cammino, perché – come scriveva Pio La Torre – «la mafia teme più la scuola che la prigione». E in questi luoghi rinati, la scuola della legalità è già iniziata.

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