“Siamo in guerra”. Il presidente di Unioncamere Emilia-Romagna, Valerio Veronesi, abbandona la prudenza verbale sulla situazione dell’economia italiana e regionale e si cala l’elmetto. La guerra di cui parla (per ora) è quella commerciale che l’America di Trump ha deciso di scatenare contro Europa e Cina. “Siamo in guerra e adesso iniziano i bombardamenti che sono i dazi”, avverte Veronesi, presentando assieme alla presidente regionale di Confindustria, Anna Lisa Sassi, e alla direttrice Emilia-Romagna e Marche di Intesa Sanpaolo, i dati sull’andamento dell’economia lungo la via Emilia.
Un quadro per niente rassicurante, con la manifattura in sofferenza e una fiducia sul futuro sempre più traballante, visto che ormai le aziende che prevedono un calo della produzione sono di più di quelle che si aspettano aumenti. “Il quadro è molto preoccupante. E’ come se i piccoli facessero la Parigi-Rubeux e i grandi corressero in un velodromo. Le piccole imprese si allontanano sempre di più dalle grandi”, avverte Veronesi. Cosa fare? “Proviamo a dare sostegno al mercato domestico ed abbassare i costi dell’energia, visto che paghiamo la scelta scellerata del referendum contro il nucleare”, scandisce Veronesi, convinto che le imprese non debbano essere lasciate sole a combattere la battaglia commerciale.
“Bisogna rimettere mano a Industria 5.0, ma veramente. Questo è l’unico modo che potrà convincere gli imprenditori piccoli e grandi a fare investimenti: oggi nemmeno il 25% di quanto messo a disposizione è stato richiesto e il provvedimento finisce il 31 dicembre. I 6,3 miliardi messi a disposizione saranno un flop”, ammonisce il numero uno di Unioncamere. “Dobbiamo andare a parlare al governo, non siamo i primi della classe, almeno in Europa e in Italia, quindi o cambiamo i parametri o veramente avremo tempi non facili. Siamo stati per troppo tempo nel limbo”, è lo sfogo dell’imprenditore bolognese. Insomma, l’occupazione che aumenta non è sufficiente per dire che va tutto bene. L’indagine restituisce una fotografia di “tenuta generale del sistema e questo ci deve fare pensare positivamente al futuro, ma è sicuramente un momento di stallo. Noi diciamo alle nostre imprese di cercare di capire come sfruttare questo momento per affrontare nuovi mercati, come Africa e Sud America, visto che nostri grandi mercati, Stati Uniti, Germania, Francia, hanno un momento di rallentamento”, osserva Sassi.
“Ventidue mesi di calo della produzione sono passati troppo sotto tono: alcune politiche si sono dimenticate del ruolo della manifattura, in comparti come l’automotive e la chimica. Provvedimenti come quello su vino minano le nostre eccellenze. Ci troviamo con alcuni comparti, come l’automotive, che soffrono di scelte un po’ troppo radicali e frutto di una certa ideologia. Quello che stiamo chiedendo all’Unione Europea, è di rimettere la manifattura al centro”, presegue la numero uno degli industriali emiliano-romagnoli. “Anche gli ultimi provvedimenti, il Clean Industrial Act o il Piano d’azione sull’automotive, non ci sembrano veramente vadano ancora in tal senso”, aggiunge Sassi. “Le nostre aziende sono veramente oberate da burocrazia in tutti gli ambiti. Questo deve essere fatto a livello europeo e lo stiamo chiedendo con forza, ma anche Industria 5.0, frutto di un’eccessiva burocrazia, va ripensata e questo potrebbe anche ancora dare molto stimolo al nostro sistema di imprese”, conclude.
Tenaci, resilienti, ma provate da quasi due anni di calo della produzione, di inflazione alta e tassi d’interesse che solo da poco sono calati in maniera sensibile. Per questo, le imprese emiliano-romagnole guardano con una certa preoccupazione al futuro, spaventate anche dalla minaccia dei dazi. Lo certificano i report di Unioncamere, Confindustria e Intesa Sanpaolo illustrati oggi a Bologna. Che vanno letti dalla fine, dalle previsioni sui prossimi mesi: quella di Unioncamere Emilia-Romagna sulla produzione del primo trimestre è costellata di segni meno (-3 il saldo medio tra ottimisti e pessimisti): -12 per la manifattura alimentare, -26 per la moda (43 imprenditori su 100 si aspettano un calo, contro i 17 che si aspettano una crescita, a fronte di 62 che prevedono stabilità), -10 per i metalli, -3 per il comparto del legno-mobile. La meccanica ha un saldo positivo di quattro punti, l’”altra manifattura” di sette. Le aspettative sono tutto sommato positive per le grandi imprese (+7), negative per le piccole (-23), per le imprese artigiane (-17), per le medie (-7). Anche l’indagine di Confindustria evidenzia una forte differenza tra piccole e medio-grandi aziende: il 58% delle piccole imprese si attende un andamento stazionario della produzione, con un saldo negativo tra ottimisti e pessimisti (-1). Più orientate all’ottimismo le imprese di medio-grandi dimensioni: il 49% delle grandi aziende si attende un aumento della produzione, il 36% un aumento degli ordini e il 26% di quelli esteri, mentre il 25% delle aziende di medie dimensioni prevede un incremento della produzione, il 27% degli ordini e il 17% di quelli dall’estero. Le previsioni sono positive per produzione e ordini nei settori alimentare, legno, carta-stampa e, in minore misura, chimicalfarmaceutica e meccanica.
Aspettative negative nei settori tessile-abbigliamento, ceramica, metallurgia, macchine elettroniche e automotive. In generale le prospettive per i prossimi mesi sono fortemente condizionate dalle incertezze e dalle dinamiche geopolitiche, a partire dal rischio dei dazi, e da fattori comuni nell area euro come la debolezza della domanda internazionale, la recessione dell’industria dovuta al calo della domanda dei beni durevoli, con la crisi di settori strategici come automotive, e l’aumento dei costi dell’energia. Tutto questo dopo un 2024 che ha visto una rallentamento della produzione in Emilia-Romagna del 3,2%, una calo del fatturato del 3,1% e un -0,2% del fatturato estero. Gli ordini complessivi acquisiti dal settore industriale regionale durante il 2024 sono diminuiti del -2,9%, ma quelli dall’ estero sono rimasti quasi invariati -0,3%.
La contrazione vissuta dall’industria regionale ha interessato quasi tutti i settori anche se con intensità diverse. Solo l’industria alimentare e delle bevande è cresciuta, aumentando la produzione del +1,8%, il risultato più pesante del 2024 lo hanno subito le industrie della moda, con la produzione diminuita dell’8%. L’industria della metallurgia e delle lavorazioni metalliche, che ha un’elevata presenza di imprese di subfornitura, ha risentito sensibilmente dell’arretramento dell’attività produttiva in Europa ed ha diminuito la produzione del -5,1%. Contrazione di poco inferiore, -3,9%, per l’attività produttiva dell’ampio aggregato delle industrie meccaniche, elettriche e dei mezzi di trasporto. La produzione della piccola industria del legno e del mobile è diminuita del -3,1%, dopo il rallentamento già subito nel 2023.
Le imprese minori hanno subito un calo dell attività medio del -4,3%, più che doppio rispetto a quello delle imprese medio-grandi per le quali mediamente è stato del -1,9%. L’economia regionale nel 2025 dovrebbe crescere del +0,6%, allo stesso ritmo quindi del 2024. A contribuire alla crescita del Pil nel 2025 le stime di aumento dell’occupazione (+0,7%), una lieve accelerazione dei consumi (+0,9%) e le esportazioni (+2,2%), valore quest’ultimo che dovra essere aggiornato alla luce della nuova politica dei dazi. “Non possiamo affrontare questo nuovo viaggio con incertezza e disorientamento. Non possiamo permettere che la distanza fra le piccole imprese e le grandi diventi incolmabile, perché la loro sinergia è l’energia competitiva della nostra economia e della nostra identità. Rispetto alle nuove politiche doganali, le aziende non possono essere lasciate sole e le piccole imprese non possono essere isolate dal sistema istituzionale e creditizio”, ammonisce il presidente di Unioncamere, Valerio Veronsi. “In un contesto generale cosi complesso, occorre l’impegno di tutti per alimentare un cima di fiducia, indispensabile per le imprese per far ripartire gli investimenti”, sostiene la presidente di Confindustria Emilia-Romagna, Annalisa Sassi. Del resto, che le aspettative per il futuro siano quanto meno non improntate all’ottimismo lo testimoniano anche i dati sul credito. Il mercato del credito alle imprese ha registrato una domanda debole, nonostante la riduzione dei tassi di interesse, certifica l’Ufficio Studi di Intesa Sanpaolo. La carenza di domanda resta attribuibile al ricorso all’autofinanziamento e alcontesto di incertezza che incide sulle decisioni di investimento.
I dati di fine 2024 mostrano che i prestiti alle imprese sono diminuiti in Emilia-Romagna del -4,7% a dicembre, in linea con la media dei primi nove mesi dell’anno. L’andamento dei prestiti all’industria è risultato analogo, con un -4,8% a dicembre come in media annua. E’ proseguita, nel frattempo, la ripresa dei prestiti alle famiglie, tornati in crescita nel secondo semestre, fino a segnare un +1,1% a dicembre, da un minimo di -0,9% a marzo dello scorso anno. La svolta è sostenuta dal calo dei tassi d’interesse e dalla ripartenza delle compravendite di abitazioni. Il minore ricorso al credito da parte delle imprese va letto, secondo l’istituto di credito, alla luce della persistenza di un elevato grado di liquidità che ha sostenuto l’autofinanziamento, a fronte del clima di incertezza. I depositi bancari delle imprese dell’Emilia-Romagna sono rimasti stabili nel 2024, su un livello storicamente elevato. “Il sentiero dello sviluppo passa dagli investimenti e, anche grazie al dialogo costante con gli imprenditori e le associazioni di categoria, il nostro gruppo sostiene con risorse e strumenti le progettualità e la storica attenzione all’innovazione del tessuto produttivo regionale. per crescere bisogna investire, gli imprenditori ne sono consapevoli”, assicura Alessandra Florio, direttrice regionale Emilia-Romagna e Marche di Intesa Sanpaolo. “Solo nel 2024, come direzione regionale,abbiamo erogato alle imprese dell’Emilia-Romagna 1,15 miliardi di euro, che raggiungono i 2 miliardi comprendendo privati e famiglie”, sottolinea Florio.
(Agenzia DIRE)
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