Non solo Trump: la Groenlandia al centro di una “corsa all’Artico” globale


Le recenti dichiarazioni di Trump sull’intenzione di acquisire “con ogni mezzo” la Groenlandiahanno provocato una serie di reazioni indignate e preoccupate da parte di numerosi governi ed osservatori internazionali, e sono state al centro del dibattito pubblico per le elezioni parlamentaridell’11 marzo 2025.

Tuttavia, tale dichiarazione si inserisce in una tendenza di interessamento alla regione articasempre più marcata, che coinvolge non solo gli Stati Uniti, ma anche altri attori internazionali, tra cui Cina, Russia e Unione Europea, seppur con scopi e approcci diversi tra loro. Le ragioni di questo interessamento sono da ricercare nella crescente domanda globale di minerali strategiciterre rare e idrocarburi, di cui la Groenlandia (e più in generale, l’Artico) è molto ricca. Nel 2023, infatti, il Geological Survey of Denmark and Greenland (GEUS) ha identificato la presenzadi circa 6 milioni di tonnellate di grafite, 36 milioni di tonnellate di terre rare, 235 mila tonnellate di litio, 75 mila tonnellate di rame e altri metalli critici nel sottosuolo groenlandese. Inoltre, a causa dello scioglimento dei ghiacci e l’apertura di nuove rotte marittime, l’Artico sta assumendo anche una valenza strategica sempre più importante, tanto dal punto di vista del commercio internazionale quanto da quello politico-militare. 

Con la fine del cosiddetto “eccezionalismo artico” (ovvero la tendenza della regione polare a rimanere al di fuori delle contese tra stati) e i devastanti effetti del cambiamento climatico, la Groenlandia si ritrova, suo malgrado, coinvolta in una “corsa all’Artico” che va ben oltre le mire espansioniste di Trump, e vede come protagonisti, tra gli altri, anche Cina, Russia ed Unione Europea. 

La Cina in Groenlandia: tra risorse minerarie e coinvolgimento politico

Una delle motivazioni citate da Trump per le quali Washington dovrebbe ottenere il controllo della Groenlandia è la sempre più massiccia presenza cinese in Artico, la quale pone una minaccia alla sicurezza degli Stati Uniti. Tutto questo trova riscontro nella volontà dichiarata del governo cinese di voler aumentare la propria presenza in Artico tramite investimenti e coinvolgimento politico. Già da anni la Cina definisce sé stessa un paese “vicino all’Artico” (near-Arctic state), e, nel 2018,il governo di Pechino ha pubblicato un documento strategico dal titolo “China Arctic Policy”, all’interno del quale evidenziava i propri interessi in materie sensibili quali lo sfruttamento delle risorse naturali, la lotta al cambiamento climatico e la sicurezza in Artico. Inoltre, il governo cinese ha più volte sostenuto la necessità di investire nello sviluppo della rotta marittima artica (Northern Sea Route), da integrare all’interno della più ampia Belt and Road Initiative (BRI), definita come “Via della Seta polare”. Infine, la Cina è membro osservatore del Consiglio Artico dal 2013. 

In questo contesto di crescente interesse cinese per l’Artico, la Groenlandia (che ha nella Cina il principale partner commerciale) con la sua posizione strategica tra Europa e Nord America, e con la sua ricchezza in minerali e terre rare, è entrata da ormai diversi anni nel mirino degli investimenti cinesi. Infatti, già dal 2013, la compagnia cinese NFC aveva preso parte a progetti di estrazione dizinco, presso Citronen, nell’estremo nord della Groenlandia, e nel 2015 un’altra compagnia cinese, General Nice, ha sostituito una compagnia britannica in un progetto di estrazione di ferro presso Isua, nel sud-est dell’isola. Inoltre, nel 2016, il gruppo Shenge Resources, controllato in maggioranza dal governo cinese, ha preso a carico le attività estrattive presso il sito di Kvanefjeld, uno dei più grandi depositi di terre rare al mondo. Il governo di Nuuk ha accolto inizialmente con favore questi investimenti, vista la necessità di ottenere finanziamenti esteri con lo scopo diguadagnare maggiore indipendenza economica dalla Danimarca (e dunque avvicinarsi sempre più all’indipendenza politica). 

Tuttavia, Pechino non si è mai esposta politicamente nel supportare la secessione di Nuuk da Copenaghen, temendo che questo potesse scatenare un effetto a catena e fornire maggiori libertà apaesi stranieri di interferire negli affari che la Cina considera come interni (Tibet, Xinjiang, Hong Kong o Taiwan).

In tempi più recenti, le preoccupazioni ambientali legate allo sfruttamento delle risorse ed una maggiore pressione proveniente da Stati Uniti e Unione Europea hanno fatto sì che molti dei progetti di estrazione che coinvolgevano aziende cinesi venissero sospesi o annullati dallo stesso governo groenlandese (tra cui quello di Kvanefjeld, nel 2023) e, conseguentemente, la presenza cinese in Groenlandia è molto diminuita. L’interesse della Cina si sta concentrando sempre più verso l’Artico russo, dove Pechino sta investendo massicciamente in progetti di estrazione di idrocarburi, minerali e in infrastrutture per il trasporto marittimo, di cui la Russia necessita per lo sviluppo economico della ZAFR (Zona Artica della Federazione Russa). 

La “porta dell’Artico”: l’importanza strategica della Groenlandia per la Russia

Oltre alla Cina, Trump ha citato anche la presenza militare russa attorno alla Groenlandia come ragione ulteriore per assicurarsi il controllo statunitense sull’isola. Se dal punto di vista cinese la Groenlandia rappresenta una possibilità di espandere il proprio controllo sulla produzione globale di minerali e terre rare, per la Russia essa è di valenza assai più strategica per quanto riguarda il mantenimento della propria sicurezza in Artico. A partire dal 2008, infatti, il governo russo ha reso pubblici una serie di documenti strategici per l’Artico (l’ultimo nel 2020), i quali pongono al centro degli obiettivi del Cremlino la protezione dei propri interessi economici, legati all’estrazione di risorse naturali e allo sviluppo della rotta artica, così come strategico-militari.

In questo contesto, la Groenlandia rappresenta per la Russia una sfida più geopolitica che economica. Nonostante la ricchezza dell’isola in materie prime, infatti, la Russia sfrutta già abbondantemente la propria Zona Artica, deposito naturale ancora ricco di risorse (più dell’80% del gas naturale prodotto in Russia e quasi il 20% del petrolio, oltre che ingenti quantità di minerali). Per questo motivo, l’importanza della Groenlandia per il Cremlino è data dalla sua posizione geografica, piuttosto che dalla sua abbondanza di risorse naturali. Gli strateghi russi hanno infatti individuato una serie di “colli di bottiglia” geografici che limiterebbero l’operabilità delle navi russe (sia commerciali che militari) e renderebbero l’Artico russo esposto a minacce esterne. Il più ampio, e il più esterno, di questi colli di bottiglia è rappresentato dal cosiddetto “GIUK Gap” (Greenland-Iceland-United Kingdom Gap), che funge da “porta dell’Artico” e, similarmente a quanto sostenuto da Trump per gli Stati Uniti, se non controllato adeguatamente, potrebbe rappresentare una “breccia” nel bastione difensivo artico del Cremlino

Per queste ragioni, la presenza militare russa, così come quella della NATO, nel Mare Artico,stanno aumentando di anno in anno, e la Groenlandia, che dal 1943 ospita la base aerea americana di Pituffik, rappresenta una minaccia non indifferente ai piani di egemonia regionale russi e alla difesa dei suoi interessi economici in Artico. Questo è vero specialmente se essa dovesse cadere sotto il controllo diretto degli Stati Uniti, così come auspicato dalla nuova amministrazione Trump, come dimostrano le recenti preoccupazioni espresse dal Cremlino a riguardo.

La strategia di Bruxelles: sicurezza economica, partenariato e sfide politiche

In tutto questo, è importante ricordare che la Groenlandia è parte integrante del Regno di Danimarca, e pur non facendo parte dell’Unione Europea dal 1985 (in seguito al Home Rule Act, che ne ha garantito maggiore autonomia politica da Copenaghen), è considerata uno dei “territori d’oltremare” dell’UE (Overseas Countries and Territories). In tempi più recenti, l’interesse della Commissione Europea e dei paesi membri dell’Unione per la Groenlandia è aumentato significativamente, anche e soprattutto a causa della necessità di ottenere accesso ai minerali ed alle terre rare indispensabili per proseguire nella transizione energetica in Europa senza dipendere da attori esterni come Cina o Russia, come auspicato anche recentemente da Mario Draghi nel suo rapporto sulla competitività europea

L’interesse dell’Unione Europea per la Groenlandia si basa dunque primariamente su questioni di sicurezza economica. Come specificato dalla stessa Commissione Europea: “Venticinque dei trentaquattro metalli rari necessari per la transizione energetica dell’economia europea sono presenti nel sottosuolo groenlandese”. Pertanto, nel novembre del 2023, è stato firmato un memorandum of understanding tra la Commissione ed il governo groenlandese per un partenariato strategico volto alla creazione di una filiera sostenibile per lo sfruttamento di terre rare sull’isola artica, ponendosi così in competizione geoeconomica con gli stessi Stati Uniti. Inoltre, nel marzo dell’anno scorso, la presidente della Commissione, Ursula von der Leyen, si è recata a Nuuk per l’apertura di una nuova sede di rappresentanza dell’UE nella capitale groenlandese, a dimostrare il sempre maggior coinvolgimento che l’Unione Europea vuole avere negli affari riguardanti l’isola artica. 

Gli investimenti che l’UE intende fare in Groenlandia ammontano a 225 milioni di euro nel periodo 2021-2027: su nuovi progetti infrastrutturali, educazione, mitigazione del cambiamento climatico e consolidamento di supply chains in ambito di risorse strategiche; ma, dopo le recenti dichiarazioni di Trump, il perno del coinvolgimento europeo nell’isola artica potrebbe divenire anche politico. Il Presidente del Consiglio Europeo António Costa ha infatti recentemente affermato che l’Unione Europea garantirebbe un “supporto totale” al governo di Nuuk contro la minaccia statunitense di acquisire l’isola con ogni mezzo e che “l’integrità territoriale della Danimarca e la sua sovranità […] sono essenziali per noi”.  

Con le crescenti tensioni tra NATO e Russia nell’Artico ed il ruolo sempre più importante che Pechino cerca di ottenere nella regione, uno scontro politico tra Europa e Stati Uniti sulla Groenlandia avrebbe delle conseguenze devastanti sulla stabilità e sulla possibilità di cooperare in una area del globo che soffre, più di ogni altra, gli effetti del cambiamento climatico.

La risposta della Groenlandia alle urne: indipendenza e sviluppo economico

L’11 marzo 2025 si sono volte le elezioni per il rinnovo del parlamento groenlandese (Inatsisartut), che hanno visto la vittoria a sorpresa del partito di centro-destra dei Democratici, precedentemente all’opposizione del governo del primo ministro uscente Múte Bourup Egede, che con il 30% circa dei voti ha ottenuto la maggioranza relativa dei seggi nell’Inatsisartut. Il partito vincitore si attesta su posizioni liberali e pro-business: il loro leader,Jens-Frederik Nielsen (ex ministro dell’industria e delle risorse minerarie, e probabile prossimoprimo ministro), ha più volte sottolineato la necessità di stabilire basi economiche solide sulle quali costruire l’indipendenza del paese, anche se questo avrebbe richiesto tempo ed investimenti in welfare ed in diversi settori produttivi (non per ultimo quello minerario, N.d.A.). Allo stesso tempo, il secondo partito di opposizione, il Naleraq, è risultato anch’esso vincitore con il 25% circa dei voti. Questo partito è stato più volte definito “populista” e fortemente indipendentista, e la sua leader, Qupanuk Olsen (un’influencer), pur criticando la retorica aggressiva di Trump, ha definitol’interessamento americano come un’“opportunità” per raggiungere al più presto la piena indipendenza da Copenaghen; mentre i due partiti di centro-sinistra ed indipendentisti, che formavano la precedente coalizione di governo: Inuit Ataqatigiit (il partito del primo ministro Egede) e il Siumut, si sono attestati rispettivamente a circa il 21% ed il 14%, risultando in terza e quarta posizione. 

Nelle prossime settimane si delineerà la composizione del nuovo governo, e molto dipenderà dalle forze politiche che lo comporranno. Se i Democratici riusciranno a portare avanti una politica di apertura economica per favorire gli investimenti nel paese, è probabile che si potrebbe tornare a parlare di sfruttamento di risorse naturali in maniera più consistente. In ogni caso, la sfida principale per la nuova Groenlandia governata dai Democratici, sarà quella di mantenere solidi rapporti economici con possibili investitori esteri, come UE, Stati Uniti, ed eventualmente anche Cina, e allo stesso tempo proseguire nel processo d’indipendenza senza che nessuno di questi attori possa vantare “diritti economici esclusivi” sull’isola artica, o addirittura minacciarne l’autonomia politica. 



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