10.20 – domenica 15 dicembre 2024
(Il testo seguente è tratto integralmente dalla nota stampa inviata all’Agenzia Opinione) –
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Assemblea straordinaria ANM – 15 dicembre 2024 – Riforme e assetto costituzionale della magistratura
Care colleghe e cari colleghi,
l’essere qui, riuniti nella quarta assemblea straordinaria indetta in poco più di due anni e mezzo, è di per sé indice di quanto grande sia la preoccupazione della magistratura per il contesto in cui si trova ad operare e in cui progrediscono, nell’iter parlamentare, i disegni di revisione costituzionale.
Una preoccupazione che ci accomuna tutti, che tocca la magistratura in tutte le sue fasce generazionali.
1. Sono molti, e lo dico con grande soddisfazione, i neo-magistrati che si sono iscritti alla nostra associazione a distanza soltanto di qualche settimana dal giorno in cui hanno prestato il giuramento di assunzione.
Trovo in questa scelta dei nuovi colleghi, a ciascuno dei quali rivolgo un caloroso benvenuto, una indicazione preziosa.
Non è un caso che protagonisti di questa confortante e inaspettata, almeno per i tempi, decisione siano i più giovani, coloro che non portano il peso del disincanto e delle frustrazioni indotte dalle continue spinte di infelici riforme di ordinamento giudiziario ad una insulsa burocratizzazione della funzione.
Le difficoltà e il disagio che si avvertono quotidianamente nei nostri luoghi di lavoro sono alcune delle ragioni della disaffezione alla vita associativa, che pure storicamente ha funzionato da antidoto ai guasti di una visione impiegatizia della professione.
Di quella storia e di quel passato dobbiamo fare risorsa preziosa e in questa direzione l’immissione di nuove energie è occasione da non perdere.
Traggo allora, dal loro tempestivo desiderio di partecipazione al dibattito associativo, una prima lezione.
La magistratura è pesantemente attaccata sotto il fuoco di parte, di buona parte, della stampa e dei media, che la feriscono con ogni genere di accuse, per poi addebitarle di aver perso la fiducia dei cittadini, fiducia esposta in larga misura all’azione corrosiva delle loro intemerate sulla politicizzazione, sulla ostilità al Governo, sul collateralismo partitico, sulla pratica giudiziaria costellata di errori.
Tutto ciò è reso possibile dall’insofferenza che settori importanti della politica ostentano nei confronti della giurisdizione.
Dai test psico-attitudinali al serissimo, e da noi non sottovalutato, capitolo dell’errore giudiziario, nulla è affidato alla riflessione e al costruttivo approfondimento e ogni tema è usato per l’incessante opera di sfaldamento della credibilità dell’ordine giudiziario.
Di fronte a questo progressivo deterioramento del quadro, la magistratura potrà continuare ad aver fiducia e coltivare speranza soltanto se saprà mantenere, anzi rafforzare, la presenza e la vitalità dell’associazionismo.
La dimensione associativa, del dialogo e del confronto che favoriscono una sempre maggiore consapevolezza del ruolo e della sua fisionomia valoriale, è il luogo in cui ricercare le motivazioni per non assuefarsi alla tristezza del tempo presente, per non adattarsi ai cambiamenti prima che accadano, e che si muovono vero l’arretramento delle garanzie, dei diritti e delle libertà.
Può in tal modo concretizzarsi la speranza di far giungere nei luoghi della decisione e nello spazio pubblico, in cui quelle decisioni misurano il loro grado di accettazione sociale, le ragioni che ci inducono a guardare alla incipiente riforma coma ad uno strappo e non ad una nuova trama del tessuto costituzionale.
2. Sono alla fine del mio mandato come presidente, quattro anni e più di impegno appassionante e gratificante, reso possibile dalla fiducia che mi avete accordato e di cui vi sono grato.
Durante questi anni, costellati da non pochi momenti difficili, mi sono confermato nella convinzione, la stessa con cui mi ero accostato all’incarico, e che ora vi consegno, con umiltà non di maniera.
Confido che possa essere accolta e possa anzi costituire la premessa del lavoro che da qui a breve i nuovi organi associativi affronteranno, raccogliendo il testimone dal Comitato direttivo in naturale scadenza.
L’Associazione deve praticare una unità reale, per essere all’altezza di tempi in cui si rischia di dare avvio alla stagione del declino.
Condivido solo per questa parte il giudizio del Ministro della giustizia sulla riforma costituzionale da lui definita epocale: si chiude, appunto, un’epoca e se ne apre un’altra, ma in senso decisamente regressivo.
Solo così può autorevolmente e credibilmente replicare alla massiccia campagna di sfiancamento della cornice costituzionale, condotta ora sbandierando, con una bizzarra inversione concettuale, la necessità dell’allineamento della Costituzione alla legge, al codice di rito penale; ora, addirittura, tacciando l’attuale assetto ordinamentale di produrre un deficit di terzietà del giudice.
Non v’è alternativa all’essere uniti per far valere, con rispetto profondo per il Parlamento che dovrà decidere ma con altrettanta profonda convinzione della bontà dei nostri argomenti, una contrarietà alla riforma che non ha nulla di corporativo, che non esprime sentimenti di gretta conservazione o autoconservazione, che non mira a mantener chissà quali privilegi.
3. Lo abbiamo detto più le sedi possibili, e continueremo a farlo, rafforzati e confortati, da ultimo, dalle riflessioni di un illustre studioso del processo penale, il prof. Paolo Ferrua, pubblicate qualche giorno fa sulla stampa.
Il processo accusatorio, che fa parte del nostro sistema da oltre trent’anni, non implica e non esige una separazione delle magistrature, ma chiede una separazione delle funzioni, aggiungo io ora … anche meno rigida ed esasperata di quella che ci ha consegnato la riforma Cartabia.
È dunque un fiacco argomento retorico, speso più e più volte anche dal Ministro della giustizia, quello per il quale la riforma s’ha da fare per adattare la Costituzione al codice di rito accusatorio.
Né è più saldo l’altro pilastro della costruzione eretta a giustificazione della riforma, quello della mancanza di effettiva terzietà del giudice.
Nessuno tra i sostenitori della riforma spiega:
– perché, in questi oltre vent’anni dalla novella dell’art. 111 Cost. con il riferimento al giudice, oltre che imparziale, anche terzo, non sia mai stata denunciata alla Corte costituzionale l’illegittimità dell’assetto ordinamentale e perché la Corte, che in tante occasioni ha utilizzato nei suoi scrutini il parametro della terzietà, non ha mai indicato al legislatore la necessità di una separazione delle magistrature;
– perché l’equidistanza dalle parti potrà dirsi realizzata se il giudice avrà di fronte un magistrato, sì di una magistratura separata ma dello stesso suo ordine giudiziario (perché la riforma non tocca l’unicità dell’ordine), e che in ogni caso sarà sempre a lui più vicino, siccome magistrato e magistrato dello stesso ordine, di quanto potrà mai essere un avvocato del libero foro;
E nessuno, soprattutto, spiega per quale ragione la separazione delle magistrature, pure ritenuta ineludibile, si dissolverà nel nuovo luogo della responsabilità disciplinare, l’Alta Corte di giustizia, in cui la prevalenza numerica della componente togata sulla laica si reggerà su una ritrovata commistione delle due magistrature.
Cos’altro occorre per accorgersi, proprio attraverso le incoerenze e le lacune di un testo affrettato, che il fine della riforma non può che essere colto tra le sue righe?
Il fine, al di là di quanto si dichiara, è la frammentazione come strategia di indebolimento sia del Csm che della magistratura e della sua esperienza associativa; non certo il rafforzamento del giudice, secondo le formule enfatiche del “giudice gigante”, del “potenziare notevolissimamente” il suo ruolo e la sua figura, con cui il rappresentante del Governo ha magnificato qualche giorno fa la riforma dinnanzi all’assemblea della Camera dei deputati.
Se l’obiettivo fosse realmente il rafforzamento della figura e del ruolo del giudice, allora mi permetterei di suggerire alla politica altra e più agevole strada, quella del rispetto della funzione pur quando i giudici adottano provvedimenti sgraditi.
Senza divenir “giganti”, non è questo che si vuole, i giudici potrebbero già oggi rafforzarsi di una maggiore considerazione per il loro lavoro e di un ben diverso atteggiamento di autorevoli esponenti della politica, non più intriso di diffidenza e non più sostenuto dal pregiudizio odioso che i giudici agiscano per faziosità e partigianeria partitica.
Quando poi il programma separatista avrà ridimensionato il giudiziario, in linea con quanto vagheggiato nelle relazioni illustrative delle proposte di legge di iniziativa parlamentare, allora si porrà prepotentemente il tema del pubblico ministero che, certo, non potrà restare isolato e rafforzato in una autoreferenzialità fuori misura.
Io do credito, non foss’altro che per rispetto della persona, alla buona fede del Ministro che dice che non avverrà mai la sottoposizione del pubblico ministero alla politica.
Ma, come dice il prof. Ferrua, il cui pensiero in gran parte corre lungo gli stessi binari che con ostinazione percorriamo da tempo inascoltati, il Ministro non ha il potere di ipotecare il futuro e, aggiungo ora come considerazione generale, il futuro non assume obblighi di lealtà se alla buona fede non si accompagnano, nel prepararlo, avvedutezza e prudenza.
Come accade in molti ordinamenti, a cui del resto guardano i sostenitori della riforma, un pubblico ministero separato, isolato dalla giurisdizione, è assai vicino, collegato all’Esecutivo.
Le nostre paure non sono fantasie, sono previsioni del tutto giustificate dalla constatazione della realtà.
La direzione intrapresa è del resto coerente con l’idea, proclamata molte volte, che ogni potere debba spettare a chi è eletto dal popolo.
Se la premessa è che l’autentica espressione della sovranità spetta all’eletto, non può stupire che si lavori per ricondurre l’azione penale nei programmi della politica; e che appaia come una intollerabile deviazione da un modello di unificazione della sovranità che dei vincitori di concorso, non legittimati elettoralmente, possano gestire l’azione penale privi di responsabilità politica.
4. Il compito che ci spetta è arduo e va adempiuto sapendo guardare, al contempo, alle involuzioni normative, il che già è cosa di assoluto rilievo, e al processo culturale di indebolimento, ed è qui il dato di maggiore preoccupazione, del modello di giurisdizione elaborato nei lunghi anni del disgelo costituzionale e che successivamente, spesso minacciato, ha comunque resistito.
Al di là di qualche rassicurazione di facciata, si registra quanto sia meno avvertita, nei concreti comportamenti, la centralità degli organi di garanzia.
Il racconto dominante ruota intorno al preteso bisogno di accrescere il ruolo degli organi di governo e bolla come anticaglia di un passato lontano e pretestuoso argomento dialettico il richiamo a non sottovalutare l’esigenza di porre i primi al riparo dal pericolo, quello sì reale e storicamente sperimentato, di una compressione dei loro vitali spazi di indipendenza e di autonomia.
Proprio in questo tempo, attraversato da tendenze che inquietano, la riaffermazione della omogeneità culturale della magistratura tutta, figlia, pur con i suoi difetti, i suoi errori, di una promessa costituzionale a cui resta convintamente fedele, rincuora e fa sperare che il declino non sia destino ineluttabile.
E non v’è sforzo comunicativo più efficace, argomento più incisivo, in tutto ciò, del far testimonianza di come la diversità di mestieri, e sono tanti nel nostro mondo, la diversità di funzioni, l’assunzione di incarichi direttivi e semidirettivi, la diversità di collocazione nei plurimi gradi del giudizio non agiscano nella realtà degli uffici e delle aule come germe della frantumazione di un unitario modello di magistrato.
Occorre saper dimostrare che la strada imboccata non condurrà a nulla di buono, che su quella strada si rischia di lasciare insoddisfatte le istanze di giustizia anche e soprattutto di chi non ha voce o non ha pari forza di altri nell’esprimerla.
In attuazione del deliberato assembleare del novembre dello scorso anno abbiamo rafforzato i mezzi della nostra comunicazione, ci siamo dotati di un attrezzato ufficio stampa e abbiamo cercato di utilizzare ogni occasione per rappresentare e illustrare il punto di vista della magistratura.
Oggi dovremo valutare se e come approfondire l’impegno su questo versante, sforzandoci di dare all’esterno una immagine corretta e fedele al nostro sentire, di una magistratura che non si arrocca nella protesta ma che si mette a disposizione, con infaticabile adesione al modello di democrazia partecipata, per arricchire di contenuti il confronto e per agevolare, quanto meno, le prossime probabili scelte referendarie.
5. Nel dibattito pubblico prevale sempre più di frequente la tendenza a svilire come populista ogni tentativo di imporre all’attenzione collettiva l’istanza di uguaglianza.
Si fa spazio in tal modo un garantismo penale a connotazione settoriale, che sta rilegittimando, nel silenzio di molti, la moltiplicazione dell’impiego del cd. doppio binario, e che rischia di far recedere la dimensione del fatto a beneficio del profilo dell’autore.
Nell’osservare la traiettoria delle riforme varate e dei progetti in divenire, si coglie il senso anche delle decisioni non prese.
Mi riferisco specificamente all’assenza di interventi adeguati ad affrontare il grave tema del disagio carcerario, nonostante il tragico numero di suicidi in carcere, 82-83, da inizio anno, a tacere delle pessime condizioni in cui, in relazione di ovvia specularità, opera il personale di polizia penitenziaria.
Io ho apprezzato molto la generosità con cui l’Avvocatura penale si è spesa per sollecitare dalla politica risposte assai più efficaci di quelle infine prodotte.
Lo abbiamo fatto anche noi, anche noi abbiamo chiesto al Ministro misure strutturali e misure urgenti per affrontare il grande problema carcerario.
Lo abbiamo fatto forse con tono minore ma non certo per minore sensibilità quanto per maggiore consapevolezza.
A differenza dell’Unione delle Camere penali cogliamo su quel versante i segni di un complessivo modo di intendere la giustizia, a cominciare proprio dal disegno di riforma costituzionale.
Questa consapevolezza ci porta a credere che le pur doverose pressioni affinché il carcere sia restituito a condizioni di accettabile vivibilità possano poco se non si misurano, se non hanno disponibilità a misurarsi con il quadro di insieme, per cogliere le assonanze ideali tra le scelte di politica penitenziaria, gli attacchi sul fronte della giurisprudenza in materia di immigrazione, gli interventi di protezione (depenalizzazione selettiva e scudi erariali) dei detentori di poteri pubblici e, soprattutto, la riforma costituzionale che, se ben studiata al riparo dai bias cognitivi che intrappolano chi è guidato dalle sue aspettative storico-identitarie, rivela, per quanto ho già detto, un’idea di giustizia e di giurisdizione in cui le istanze liberali non avranno la meglio.
6. Gli argomenti di critica che abbiamo finora speso, anzitutto in occasione delle audizioni informali in Parlamento, a proposito di molte iniziative di riforma della legislazione penale e ovviamente della riforma costituzionale hanno un comune denominatore nell’esigenza di riaffermazione piena del principio di uguaglianza e nell’accentuazione della dimensione di “servizio” della giustizia e della sua amministrazione.
Quando il criterio di uguaglianza costituzionalmente declinato non governa le dinamiche sociali, il conflitto impedisce la composizione ordinata degli interessi e non deve stupire, per gettare lo sguardo ad un’altra tragica emergenza, che il profitto metta in ombra il valore del lavoro, innescando la spirale dell’aumento incontrollato di infortuni, mortali e non, a cui ci si sta drammaticamente abituando.
Le morti in carcere e le morti sui luoghi di lavoro dovrebbero scandire l’urgenza di riforme e impegni di risorse, su quel piano dovrebbero essere incalzati tutti gli operatori di giustizia.
Su quel piano sì che risalterebbero le carenze del sistema giudiziario come servizio e sarebbe cogente e ineludibile uno sforzo collettivo, dei magistrati come e al pari degli altri, per restituire centralità, nella gestione dei fascicoli e nel computo dei numeri di statistiche e obiettivi, a costituzione invariata e integralmente praticata, alla persona e al senso di umanità che deve fare della giustizia, con una quotidiana tensione ideale da coltivare in ogni modo, il volto anche severo ma rassicurante di una comunità che non discrimina e non abbandona.
Buona assemblea!
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Giuseppe Santalucia
Presidente Csm
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Buongiorno a tutti.
Ringrazio il Presidente e il Segretario Generale.
Oggi siamo in tanti, tantissimi, giovani e meno giovani.
Siamo qui, ancora una volta, per spiegare ai cittadini quello che sta accadendo.
E sono certa che lo faremo rimanendo uniti, evitando di cadere nella trappola degli interessi particolari legati al momento elettorale.
Perché qui è in gioco l’indipendenza della giurisdizione, sono in discussione la tenuta e l’equilibrio dei poteri tra le istituzioni.
E sia chiaro, lo abbiamo detto tante volte e lo ripetiamo anche adesso, nessuno che abbia davvero a cuore la tenuta della democrazia e dello Stato di diritto può davvero pensare che i magistrati non siano legittimati ad intervenire su questioni relative ai diritti umani fondamentali e al funzionamento della giustizia in generale, e a maggior ragione su progettate riforme in grado di stravolgere quell’equilibrio tra poteri, voluto dai costituenti a garanzia dell’eguaglianza di tutti davanti alla legge.
Adesso non scenderò nel dettaglio del ddl costituzionale. Lo faranno tanti oggi, lo abbiamo fatto nei mesi scorsi e lo faremo ancora, in ogni sede, partecipando ai dibattiti pubblici e promuovendone noi stessi.
Voglio parlare di quello che abbiamo già sotto gli occhi.
Perché bisogna stare attenti, perché a guardare solo in avanti si rischia di perdere di vista quello che già sta accadendo giorno dopo giorno, senza ancora scomodare la Costituzione, cercando di demolire con leggi ordinarie – meglio ancora se con decreti legge, perché si tratta di una questione necessaria e urgente – e con continue pressioni, minacce di ispezioni e di sanzioni disciplinari, l’autorevolezza, la legittimità e l’efficacia dell’azione del potere giudiziario di guardiano dello Stato di diritto.
E allora cosa sta accadendo.
Partiamo dall’inizio: dalle pagelle, alle valutazioni delle performance dei magistrati, che solleciteranno una rinnovata coscienza di tipo carrieristico con una insidiosa valorizzazione delle valutazioni dei superiori per grado, con il rischio di ritornare ad un’amministrazione della giustizia resa in modo apatico e con lo sguardo rivolto solo ai numeri, certamente in contrasto con l’effettiva tutela dei diritti.
E ancora.. I test psicoattitudinali, senza che ancora sia ben chiaro – o forse lo è – quale modello di magistrato si è immaginato.
E ancora, la previsione del Gip collegiale, che in mancanza di adeguate risorse umane si tradurrà soltanto in un rallentamento della macchina giudiziaria, a scapito dei cittadini, che avranno meno tutela.
E l’abolizione dell’abuso d’ufficio, con la creazione di pesanti sacche di impunità del malaffare, e la proposta di legge, già passata in Senato, che introduce il limite massimo di 45 giorni per le intercettazioni e che rischia di compromettere indagini complesse e delicate, non solo per reati di pubblica amministrazione, ma anche per altri reati di forte allarme sociale, a prescindere dalla criminalità organizzata (omicidi, violenze sessuali).
E poi le ultime vicende sui migranti. Siamo stati accusati di essere nemici della Nazione, perché non collaboriamo all’attuazione delle scelte politiche del Governo.
Parole che mi fanno paura, molta paura, e che dovrebbero fare paura a tutti i cittadini.
Ci accusano di fare politica, ma di fatto ci chiedono di farlo assecondando la linea di governo, a prescindere dal diritto costituzionale e sovranazionale.
I magistrati hanno il compito di far rispettare i diritti e le garanzie delle persone. Non di cooperare con il governo. Se salta questo principio, salta lo Stato di diritto.
Ci siamo dovuti confrontare con attacchi di esponenti del governo che – senza mai parlare del merito della decisione – hanno colpito con grande risonanza mediatica e insistenza la persona, gli affetti e la vita del magistrato, per convincere i cittadini che determinate decisioni, non in linea con le scelte del governo, sono solo frutto di esercizio strumentale e, quindi, deviato della giurisdizione, quindi strumento di contrapposizione politica.
Una china molto pericolosa, perché così nessuno crederà più alla giustizia e un pezzo di Stato sarà indebolito, e con esso la tenuta della democrazia.
Ma, nonostante gli attacchi, i magistrati hanno continuato ad operare secondo coscienza, senza lasciarsi condizionare, sebbene messi a dura prova nella loro serenità, serenità che è precondizione dell’esercizio imparziale della giurisdizione.
E allora si è trovata un’altra via.
Togliere la competenza alle toghe sovversive e darla ai giudici più anziani e garantisti (garantisti per chi verrebbe da chiedersi).
Ma i giudici più anziani decideranno secondo coscienza come i più giovani. E però fa paura il pensiero sotteso a questa scelta. Rimanda alla vecchia distinzione di matrice pre-repubblicana tra magistratura alta e bassa, quella alta più “malleabile”.
E che importa se le Corti di Appello andranno in sofferenza, che importa se questo si tradurrà in un nuovo rallentamento della giustizia? Cosa conta se saranno i cittadini a pagarne le conseguenze? Basterà dire che i magistrati sono sfaticati…
E il nuovo illecito disciplinare? che per fortuna non ha visto la luce, per ora… Uno strumento, per come formulato, che, se male usato, avrebbe potuto tradursi in una forma di silenziamento dei magistrati, con la minaccia della sanzione.
E il divieto di pubblicazione testuale delle ordinanze che dispongono misure cautelari, mai imposto dall’Europa, anche se vogliono far credere il contrario, perché in ogni sano Paese democratico i cittadini hanno il diritto di essere informati, in modo corretto, e non attraverso sintesi giornalistiche, del modo in cui viene esercitato il potere giudiziario limitativo della libertà personale.
E allora stiamo molto attenti, perché prima che la Costituzione venga cambiata con questa pericolosa riforma, la magistratura potrebbe essere stata già irreversibilmente trasformata, indebolita, burocratizzata, zittita.
La riforma costituzionale, se approvata e attuata, potrebbe essere solo la cornice finale in cui inquadrare in modo definitivo una magistratura indebolita e normalizzata, assoggettandola infine – con le nuove previsioni sul CSM e con l’allontanamento del PM dalla visione unitaria della garanzia dei diritti – al controllo del potere politico.
La storia ci dovrà pure insegnare qualcosa.
E allora rimbocchiamoci le maniche. È tempo di superare gli indugi.
Ma tocca a tutti i magistrati schierarsi. Tutti.
C’è qualcosa di troppo grande in gioco.
Non è più tempo dell’esercizio delegato della difesa dei valori dell’indipendenza della magistratura e dello Stato di diritto.
Spetta all’Anm, con coerenza di comportamenti, e con un’azione forte anche delle sue articolazioni locali risvegliare il senso di appartenenza di ciascun magistrato, e spetta a ciascun magistrato calare su di sé il compito di farsi sentinella della difesa della giurisdizione, con un linguaggio nuovo e comprensibile, ma soprattutto includente che porti la collettività a schierarsi, e a farlo in maniera consapevole, respingendo i tentativi demagogici di trasformare il refendum in un sondaggio sull’indice di gradimento dei magistrati, sfruttando inefficienze della giustizia imputabili a mancati interventi del governo e che nulla hanno a che vedere con questa riforma, non della giustizia, ma della magistratura.
Dobbiamo scendere tutti sul terreno della giustizia e batterci uniti per qualcosa di ben più grande di quello che spesso ci ha visto schierarci da una parte o dall’altra in dinamiche di contrapposizione; perché dobbiamo ritrovare la fiducia dei cittadini e difendere l’unica cosa che a loro sta a cuore: una giustizia amministrata da magistrati liberi e indipendenti, che riconoscono un solo padrone, la legge scritta nella Costituzione.
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Alessandra Maddalena
Vicepresidente Csm
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Intervento Marco Patarnello all’Assemblea straordinaria Anm
Oggi si è riunita nella prestigiosa sede della Corte di Cassazione a Roma l’Assemblea straordinaria dell’Associazione nazionale magistrati. Emblematico l’intervento di Marco Patarnello, sostituto procuratore generale della Corte di Cassazione che ha segnalato i pericoli per i cittadini delle riforme in disussione.
Nel suo intervento ha ricordato che “la giurisdizione indipendente non è un privilegio, ma un dovere”. Quanto agli attacchi personali ai magistrati ne ha sottolineato “una violenza verbale inusitata”. E nel merito delle questioni il fatto che si sia del tutto sganciati dall’argomentazione giuridica, con la rivendicazione da parte di alcuni esponenti politici di un primato libero dal controllo della giurisdizione e della legge.
Patarnello ha parlato, sempre a proposito delle riforme in discussione “un pubblico ministero autoreferenziale fuori dall’ordine giudiziario” come “un pericolo per i cittadini”. Mentre solo un processo penale efficiente, dotato di risorse potrebbe essere la risposta effettiva alle polemiche.
Pur temendo una magistratura “attraversata da tentazioni di collateralismo, da ambizioni e carrierismi personali” ha sottolineato che l’assemblea in corso manifesta una risposta sostanzialmente unitaria, concludendo “qui non c’entra la destra o la sinistra, ma è in discussione il rispetto della Costituzione e dei cittadini”.
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Estratto intervento del segretario generale Salvatore Casciaro
“Il quesito vero, e sarà il nostro sforzo da comunicare ai cittadini, il quesito vero è volete ancora dei magistrati indipendenti dalla politica? Questa è la domanda che speriamo i cittadini comprendano. E mi auguro che a questo quesito sia data la risposta che tutti noi ci attendiamo”. È un passaggio dell’intervento di Salvatore Casciaro, segretario generale dell’Anm, in occasione dell’Assemblea straordinaria dell’associazione.
Casciaro ha ricordato che nel ddl costituzionale voluto dal governo, oltre alla separazione delle carriere, ci sono previsioni “fuori dallo stato di diritto dell’Unione europea”. La riforma “sottrae la funzione disciplinare all’organo di autogoverno della magistratura, contrariamente a quanto accade nel panorama europeo dove quella funzione è invece affidata agli organi interni perché è strumento per assicurare efficiente esercizio della funzione giudiziaria’’. E introduce il sorteggio in Costituzione “un inedito per un organo di rilevanza costituzionale com’è il Csm, mentre c’è una raccomandazione del Consiglio d’Europa che impone il contrario, e cioè di permettere ai magistrati di potere scegliere i propri rappresentanti negli organi di autogoverno ‘tra i loro pari’”.
Per il segretario Anm “la riforma è un semplice pretesto per abbattere l’associazionismo giudiziario, quasi fosse un peccato originale e non un diritto costituzionale, anch’esso garanzia dell’indipendenza della giurisdizione: l’associazionismo è questa splendida assemblea che si interroga e si confronta sul suo futuro, sull’assetto costituzionale dei poteri e sullo scenario a venire per i cittadini e per le loro libertà; l’associazionismo non è quell’angolo grigio e torbido guardato con sospetto da certa politica”.
“Al di là delle relazioni introduttive e tecniche o dei preamboli al ddl di riforma costituzionale, dicono molto di più i comportamenti tenuti da settori della politica in questi ultimi anni. Gli attacchi numerosi alla giurisdizione e alle stesse persone dei singoli giudici, le accuse di politicizzazione a fronte di provvedimenti giudiziari sgraditi, quelle, ancora, di non collaborare alle politiche del governo in carica, le interessate indicazioni, date ai massimi livelli istituzionali, su come i giudici dovrebbero in realtà interpretare le norme e la gerarchia tra le fonti, riducendo il loro ruolo a ‘bocca della legge’, tutti questi sono segnali inequivocabili che ricostruiscono il clima entro cui si colloca una riforma, i cui veri propositi sono realizzare ingerenze e condizionamenti sulla giurisdizione”, conclude Casciaro.
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Md all’Anm: “investire sull’informazione, intervenire nel dibattito pubblico”
Sono al momento quattro le mozioni in discussione all’Assemblea straordinaria Anm in corso presso la Corte di Cassazione, presentate dalle correnti Magistratura democratica, Unità per la Costituzione, Area e Magistratura indipendente.
Magistratura democratica intitola il suo documento: “l’Anm per la difesa dei diritti e della libertà di tutti i cittadini”.
Dopo aver fatto rilevare, come risulta anche nelle altre mozioni, le criticità delle riforme in discussione, Md dichiara di non volere “uno stravolgimento” del modello democratico della giustizia; rivendica che “come tutti i cittadini anche i magistrati hanno il diritto di intervenire nel dibattito pubblico, a maggior ragione quando possono avvalersi di un bagaglio di conoscenze tecniche, che consente di valutare le implicazioni di ciascuna opzione, anche sul lungo periodo”.
Tra le proposte di Magistratura democratica la raccolta e ordinamento di materiale informativo e l’attivazione di azioni informative e strumenti di comunicazione rivolti ai cittadini; e l’invito ai magistrati associati a “intervenire in maniera spontanea e capillare, ma anche organizzata e strutturata quando possibile nel dibattito” per segnalare “la gravità del pericolo che incombe su ogni cittadino”.
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