L’attacco sferrato alla democrazia costituzionale dal disegno di legge sicurezza non è soltanto il portato di una cultura nostalgica. Una cultura marcatamente autoritaria che il sottosegretario Delmastro ostenta oramai quotidianamente nel tentativo strisciante di rafforzare il legame con la tradizione nefasta del fascismo e del neofascismo italiano.
Limitare il dissenso e reprimere «il diritto di protestare se i cambiamenti sono sgraditi» è un imperativo che ha in questi anni animato anche l’ideologia neoliberale. Lo troviamo scritto a chiare lettere in uno dei suoi testi fondamentali: il documento redatto dalla banca d’affari statunitense Jp Morgan il 28 maggio 2013. Un documento fatto proprio, seppure in vario modo e con intonazioni diverse, da tutti gli esecutivi succedutisi nel corso dell’ultimo decennio in Italia: dal governo Gentiloni (decreto Minniti) al primo esecutivo Conte (decreto Salvini) fino al governo Draghi (direttiva Lamorgese).
Il disegno di legge governativo costituisce pertanto non l’avvio, ma semmai il punto di condensazione di tendenze morbose già abbondantemente emerse nella recente vicenda politica italiana.
Ma questa volta con caratteristiche e profili particolarmente gravi e insidiosi. Anzitutto per le sue dimensioni: coinvolge oltre venti fattispecie delittuose, introduce un cospicuo numero di nuovi reati, ne ridefinisce le aggravanti e le sanzioni, disponendo spropositati ampliamenti di pena.
Ma c’è un elemento che più di ogni altro spaventa e che più di ogni altro costituisce la cifra di questo disegno di legge: il suo carattere cinico e antisociale, proteso a colpire duramente le aree del disagio, le vite di scarto ammassate nelle nostre città, i rejected people della società capitalistica.
E in particolare i migranti (ai quali, in violazione della libertà costituzionale di comunicare, viene vietato finanche l’acquisto di una Sim attiva sul territorio nazionale, qualora sprovvisti del titolo di soggiorno), i detenuti (ad essere colpita, in particolare, è la popolazione femminile, ferita dalle nuove disposizioni che penalizzano le donne incinte e le madri con bambini di meno di un anno di età), i senza casa (il testo introduce un nuovo reato sulle occupazioni), i mendicanti (viene previsto un inasprimento delle sanzioni per l’accattonaggio).
Siamo in presenza di un disegno che esorbita i confini dello Stato costituzionale di diritto, un inedito dispositivo di difesa dell’ordine sociale per blindare il quale lo stesso disegno di legge non esita a ricorrere a un articolato congegno di misure repressive, sintetizzate dal ministro Nordio con l’urticante formula gladius legis custos: bodycam per le forze di polizia impegnate nelle azioni di mantenimento dell’ordine pubblico; carcere per chi blocca una strada; specifiche aggravanti per i reati compiuti nelle stazioni e per le minacce e violenze commesse nei confronti di un pubblico ufficiale, in occasione della costruzione di una infrastruttura strategica. Fino all’introduzione nel Codice penale del reato di «resistenza passiva» da applicarsi ai detenuti.
Una vera e propria sfida al costituzionalismo democratico e sociale che, all’insegna dei vincoli politici sanciti dal «Washington consensus» e dall’ideologia neoliberista, rivendica oggi in Italia il ripristino del principio di autorità (sotto forma di concentrazione del potere nelle mani di un capo), punta alla sterilizzazione delle assemblee elettive, persegue la rottura della coesione sociale fra i territori, criminalizza il dissenso, limita il diritto di sciopero.
Un’offensiva intrisa di disposizioni arbitrarie, incostituzionali, illegittime. E in quanto tali (e per quanto possibile) arginate dai giudici amministrativi, ordinari, costituzionali. Ma il lavoro dei giudici non può bastare. La difesa della Costituzione è un congegno particolarmente delicato che per aver successo ha bisogno di donne e uomini disposti a mobilitarsi. Ha bisogno del conflitto.
La straordinaria manifestazione di ieri contro il disegno di legge sicurezza ci dice che questo è ancora possibile e ci indica una strada. A noi tocca il compito di seguirla e presidiarla insieme a tutti coloro che si riconoscono nei principi della Costituzione antifascista e nella cultura dei diritti.
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