In ambito sanitario l’antibiotico-resistenza è considerata la pandemia silente e l’Italia è al primo posto in Europa per mortalità correlata a questo fenomeno. Che cosa emerge sugli ospedali da un rapporto dell’Agenzia italiana del farmaco
Era il 2017 e il Centro europeo per la prevenzione e il controllo delle malattie (Ecdc) avvertiva che le infezioni batteriche ospedaliere erano già “una grave minaccia per la salute pubblica” dell’Italia. A fine 2022, l’Istituto superiore di sanità (Iss) riferiva che le aveva contratte il 19% delle persone ufficialmente decedute per Covid. Ora, un report dell’Agenzia italiana del farmaco (Aifa) fa sapere che “se non si farà qualcosa, nel 2050 l’antibiotico-resistenza (Amr) diverrà da noi la prima causa di morte, superando nella triste classifica anche i tumori”.
Ma oltre al consumo smodato di antibiotici, di cui l’Italia fa grande uso, anche la poca prevenzione negli ospedali ha le sue responsabilità.
DECESSI E INFEZIONI DA ANTIBIOTICO-RESISTENZA NEGLI OSPEDALI
In Europa, si legge nel report Aifa, si verificano ogni anno più di 670.000 infezioni da germi antibiotico-resistenti che, secondo l’ultimo rapporto di sorveglianza dell’Ecdc causano oltre 35mila decessi, di cui quasi un terzo in Italia, che risulta così essere il primo Paese a livello europeo. “Ci si ammala di più e si spende in misura sempre maggiore – scrive l’Aifa -, perché i super batteri sono responsabili di un significativo assorbimento di risorse (sanitarie e non) che ammontano a circa 1,5 miliardi di euro l’anno”.
I decessi causati nel nostro Paese da infezioni ospedaliere resistenti agli antimicrobici sarebbero dunque circa 12mila, un terzo di tutti i decessi che si verificano in ospedale.
Le infezioni durante la degenza, invece, nel biennio 2022-23 hanno interessato 430mila ricoverati, l’8,2% del totale dei pazienti contro una media Ue del 6,5%. Peggio di noi con l’8,9% fa solo il Portogallo, che però ha una popolazione più giovane della nostra e quindi meno suscettibile.
PRIMI PER USO DI ANTIBIOTICI
Ma ci distinguiamo – in negativo – anche per l’uso di antibiotici, somministrati al 44,7% dei degenti contro una media europea del 33,7%. “E così il cane si morde la coda – afferma Aifa -, perché l’uso così massiccio di antimicrobici fa nascere superbatteri resistenti agli stessi farmaci. Tra i microbi più diffusi troviamo la Klebsiella, che infetta le vie urinarie con una mortalità che arriva alla metà dei casi, lo Pseudomonas che provoca infezioni osteoarticolari con mortalità al 70%, l’Escherichia coli, che genera diarrea anche sanguinolenta, il Clostridium difficile, che prolifera nell’intestino con una mortalità a 30 giorni che si avvicina al 30%”.
Nonostante le campagne di sensibilizzazione, Aifa fa sapere che l’uso degli antibiotici da noi è in aumento, con il 35,5% dei pazienti, non solo ricoverati, che ne ha ricevuto almeno uno negli ultimi due anni, contro il 32,9% del periodo 2016-17.
OGNI REGIONE È A SÉ
Dal report poi emerge che, come sempre quando si parla di sanità, la situazione varia da regione a regione. Stando infatti a un’indagine dell’Iss, dopo un intervento chirurgico si va dal record delle 500 infezioni ogni 15mila dimessi contratte nella piccola Valle d’Aosta alle sole 70 dell’Abruzzo, passando per le 454 della Liguria e dell’Emilia-Romagna, le 300 della Lombardia, le 211 del Lazio.
I COSTI DELLE INFEZIONI BATTERICHE OSPEDALIERE
Stando ai dati dell’Ecdc, l’impatto sul nostro Ssn “è enorme”, con 2,7 milioni di posti letto occupati proprio a causa di queste infezioni, con un costo che arriva a 2,4 miliardi di euro l’anno. “Certo – osservano gli esperti -, i microbi in ospedale non è possibile azzerarli, perché parliamo di un ambiente chiuso dove vivono a stretto contatto pazienti che virus e batteri se li portano anche da fuori. Ma secondo la Simit, la Società malattie infettive e tropicali, “l’impatto di queste infezioni potrebbe essere ridotto di un buon 30% inaugurando un percorso virtuoso””.
Percorso che, oltre a prescrizioni appropriate, prevede un rinnovamento degli ospedali, spesso datati come lo sono i loro impianti di riscaldamento e aria condizionata, veicolo di diffusione dei microbi. A questa missione sono stati riservati 1,2 miliardi del piano di investimenti nell’edilizia sanitaria.
EMERGENZA OSPEDALI
Uno dei tasti più dolenti in Italia per quanto riguarda la resistenza antimicrobica, sottolinea l’Aifa, è rappresentato dagli ospedali, dove per la prevenzione delle infezioni “c’è ancora da fare […] perché non pochi casi sono dovuti alle infezioni alle vie urinarie, magari perché la pulizia dei cateteri lascia a desiderare, così come la cura delle ferite chirurgiche”.
Sistemi di areazione mal tenuti ma anche il modo con cui si sanificano gli ambienti ospedalieri: “L’efficacia di alcol e candeggina solitamente utilizzati nei nostri nosocomi dura generalmente appena un’ora, mentre ci sono nuovi detergenti probiotici, come il PCHS, che restano attivi per almeno 24 ore, rilasciando ‘batteri buoni’ in grado di sostituirsi a quelli cattivi che generano le infezioni”, afferma uno studio condotto dall’Istituto di microbiologa dell’Università di Ferrara.
DECESSI EVITABILI
A fronte di questa situazione, il rapporto conclude quindi che “circa 1 infezione su 3 si sarebbe potuta evitare con un po’ più di pulizia e di prevenzione. Che significa tra le 135 e le 210mila infezioni frutto in qualche modo di mancati accorgimenti igienici che possono avere a volte conseguenze letali, visto che mediamente l’1% di questi casi evitabili causa un decesso. Come dire che 2.000 pazienti ogni anno muoiono per infezioni evitabili”.
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