Le migrazioni sanitarie sono aumentate dell’11%, per un ricavo totale di 253 milioni. Chi se ne va, preferisce l’Emilia Romagna
In tema di viaggi della speranza, o migrazioni sanitarie, alla ricerca delle cure migliori (fenomeno definito «mobilità sanitaria interregionale», che a livello nazionale vale 2,88 miliardi di euro), il Veneto resta la terza regione d’Italia, dopo Emilia Romagna e Lombardia, per attrattività. Emerge dall’analisi sui dati 2023 tracciata da Agenas, l’Agenzia nazionale per i Servizi sanitari regionali, secondo la quale nel Veneto viene a curarsi il 13,77% dei malati in fuga dal resto d’Italia (soprattutto dal Sud). Valgono 52.966 ricoveri all’anno, per un totale di 253.606.822 euro di ricavi.
10 milioni di prestazioni
Ma la maggioranza dei malati, come avviene in tutte le altre regioni, agli ospedali pubblici preferisce le cliniche private accreditate, scelte dal 62,53%, contro il 37,47% che si rivolge alle strutture del Sistema sanitario nazionale. «Il 31% della mobilità attiva del Veneto nel pubblico riguarda 10 milioni di prestazioni inerenti i trapianti di rene, fegato, polmone, interventi a pancreas e fegato, interventi su valvole cardiache e craniotomia — ha spiegato Massimo Annicchiarico, direttore generale della Sanità regionale —. Ma la mobilità attiva del privato accreditato vale il 55% degli interventi sulle articolazioni maggiori e riempianto, delle artrodesi vertebrali e di altre diagnosi del sistema muscolo scheletrico». Queste ultime patologie, insieme ai disturbi del tessuto connettivo, attraggono il 34% dei pazienti extra regione.
I centri convenzionati
Ma perché oltre la metà sceglie i centri convenzionati? «Perché siccome il budget che ogni Regione passa al privato accreditato per le prestazioni da erogare con il pagamento del ticket è fermo dal 2012, a settembre è già finito — spiega Giuseppe Puntin, presidente di Aiop Veneto, l’Associazione italiana ospedalità privata, che qui rappresenta 27 strutture —. A quel punto i residenti per ottenere le prestazioni senza doverle pagare per intero devono aspettare che il tetto venga rinnovato l’anno successivo e quindi slittano in fondo alle liste d’attesa. Mentre i malati del resto d’Italia, sui quali non c’è tetto di spesa, accedono alle cure in tempi rapidissimi. Questo è il nodo principale, io con la mia clinica di Peschiera del Garda l’anno scorso ho regalato alla Regione 5 milioni e mezzo di prestazioni extra budget, ma ho detto basta. Va aggiunto — chiude Puntin — che il privato accreditato offre specialisti di alto livello (pagati due o tre volte rispetto a quanto prendono i colleghi degli ospedali pubblici, ndr), attrezzature di ultima generazione e un trattamento alberghiero superiore». «Il tetto di spesa al privato accreditato è un’assurdità da eliminare — conviene Domenico Mantoan, direttore generale di Agenas —. Fatto salvo il diritto di ogni cittadino di scegliere dove curarsi, non ha senso assistere a questo continuo travaso dei malati da una regione all’altra perché vige ancora una normativa ormai superata. Addirittura ci sono medici che spostano i degenti in cliniche diverse a seconda del budget, con il risultato che per esempio il pubblico ha già perso la protesica ortopedica».
Le altre destiazioni
Dal 2109 la mobilità attiva per il Veneto è aumentata dell’11%, mentre quella passiva segna un +4% e si traduce in un indice di fuga del 10,43% dei malati, per un costo di 163.704.276 euro. I veneti che vanno a curarsi altrove scelgono soprattutto l’Emilia Romagna (per un costo in rimborsi sostenuto dalla Regione di 56.387. 877 euro), che si distingue per l’ortopedia e la traumatologia, la chirurgia generale, il recupero e la riabilitazione, la cardiologia e la cardiochirurgia, ma anche per la procreazione assistita. L’altra destinazione più gettonata è la Lombardia (costo in rimborsi 50.407.107 euro), in particolare per il trattamento dei tumori. Ma fra ricavi, costi e nuove entrate legate all’aumento dell’attrattività, il Veneto resta una delle sette realtà d’Italia, esattamente la terza, con il saldo in attivo: +115.436.806 euro. Al primo posto l’Emilia Romagna (387,1 milioni di euro), seconda la Lombardia (383,3), quarta la Toscana (26,9 milioni), quinto il Piemonte (23). Chiudono Trento (5,6 milioni) e il Molise (3,7).
Ospedali di riferimento
«C’è la necessità di avere ospedali di riferimento nazionale — chiude Mantoan — come l’Azienda ospedaliera di Padova, dove si eseguono quattro tipi di trapianto: di polmone, fegato, rene e cuore (manca solo l’intestino, ndr). Un centro di alta specializzazione che ci rimette in tema di tariffe di rimborsi per pazienti extra regione. In questa rete nazionale bisogna tenere conto che se ormai a Padova, come in altre città, si è stabilito un polo di eccellenza, è inutile crearne molti altri, anche perché dietro al trapianto ci sono un’organizzazione complessa, specialisti, riabilitazione, Terapia intensiva non riproducibili ovunque. Questi centri di eccellenza vanno valorizzati con finanziamenti dedicati, in grado di sostituire rimborsi oggi inadeguati».
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