Naspi, nuovi requisiti e importi dell’indennità di disoccupazione dal 2025

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Stretta ai “furbetti” della Naspi: a decorrere dall’1 gennaio 2025 l’indennità di disoccupazione si rinnova con l’introduzione di nuovi requisiti voluti dal governo Meloni con lo scopo di limitare i casi in cui ad accedere a questa prestazione sono coloro che non ne avrebbero diritto.

Come sappiamo, infatti, la Naspi è quella prestazione assistenziale che spetta a coloro che perdono il lavoro per cause non dipendenti dalla loro volontà. È il caso ad esempio della scadenza di un contratto di lavoro a termine, come pure del licenziamento (anche se disciplinare). Non se ne ha diritto, invece, a seguito di dimissioni eccetto il caso in cui sussista la giusta causa, ossia quando è il datore di lavoro colpevole per aver commesso una violazione contrattuale tale da impedire la prosecuzione del rapporto di lavoro.

Ci sono, tuttavia, lavoratori che hanno trovato una soluzione per aggirare queste regole. Ad esempio, anziché dimettersi forzano il datore di lavoro a licenziarlo, ad esempio cessando di presentarsi al lavoro. Oppure c’è chi si dimette ma si fa subito assumere da un’altra azienda, per un periodo limitato, così poi da poter avere la Naspi anche per il periodo precedentemente lavorato.

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Tutti atteggiamenti a cui viene posto un freno, o quasi, a partire dal 2025. Così come dal prossimo anno si rinnovano gli importi dell’indennità di disoccupazione: in questo caso il cambiamento non si deve e una qualche decisione presa dal governo, bensì dalla procedura prevista dalla normativa secondo cui ogni anno l’importo dell’indennità viene rivalutato sulla base del tasso di rivalutazione accertato.

A tal proposito, per il 2025 sappiamo che la rivalutazione è pari allo 0,8% (per quanto al momento la percentuale sia solo provvisoria, con l’Inps che comunicherà quella definitiva solo a partire da gennaio): ciò significa che cambiano gli elementi per il calcolo della Naspi come pure il suo importo massimo. Regole che tuttavia non valgono per chi già è titolare della prestazione, ma solo per coloro che ne avranno accesso per eventi di disoccupazione successivi all’1 gennaio 2025.

Vediamo quindi cosa cambia per la Naspi, sia per quanto riguarda i nuovi requisiti quanto per gli importi aggiornati.

A chi spetta

L’indennità di disoccupazione spetta ai lavoratori con contratto di lavoro subordinato che hanno perso involontariamente l’occupazione. Nei suddetti lavoratori sono compresi anche:

  • soci lavoratori di cooperative con rapporto di lavoro subordinato con le medesime cooperative;
  • personale artistico con rapporto di lavoro subordinato;
  • dipendenti a tempo determinato delle pubbliche amministrazioni.

Possono accedervi anche “gli operai agricoli a tempo indeterminato delle cooperative e loro consorzi che trasformano, manipolano e commercializzano prodotti agricoli e zootecnici prevalentemente propri o conferiti dai loro soci di cui alla legge 15 giugno 1984, n. 240”.

Non ne hanno diritto ovviamente i lavoratori autonomi.

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A chi non spetta

Non possono accedere alla prestazione, invece, i:

  • dipendenti a tempo indeterminato delle pubbliche amministrazioni;
  • lavoratori extracomunitari con permesso di soggiorno per lavoro stagionale, per i quali resta confermata la specifica normativa;
  • lavoratori che hanno maturato i requisiti per il pensionamento di vecchiaia o anticipato;
  • lavoratori titolari di assegno ordinario di invalidità, qualora non optino per la Naspi.

Stato di disoccupazione involontario

È importante specificare che con il termine disoccupati si intende quei soggetti privi d’impiego che abbiano perduto involontariamente la propria occupazione. Ad esempio, non può chiedere la Naspi chi ha rassegnato le dimissioni.

Tuttavia, ci sono delle eccezioni: con “involontariamente” si comprendono infatti anche coloro che hanno rassegnato le dimissioni per giusta causa, come pure i lavoratori licenziati per motivi disciplinari.

E ancora, rientrano nei casi in cui si parla di perdita involontaria del lavoro:

  • risoluzione consensuale del rapporto di lavoro, purché sia intervenuta nell’ambito della procedura di conciliazione presso la direzione territoriale del lavoro secondo le modalità di cui all’articolo 7, legge 15 luglio 1966, n. 604 come sostituito dall’articolo 1, comma 40, legge 92/2012;
  • risoluzione consensuale a seguito del rifiuto del lavoratore di trasferirsi presso altra sede della stessa azienda distante più di 50 chilometri dalla residenza del lavoratore e/o mediamente raggiungibile con i mezzi pubblici in 80 minuti o più;
  • licenziamento con accettazione dell’offerta di conciliazione di cui all’articolo 6, decreto legislativo 22/2015.

Inoltre, con il decreto n. 48 del 2023, sono cambiate anche le regole per coloro che inducono l’azienda a licenziarli così da evitare le dimissioni e mantenere il diritto alla Naspi.

Come confermato dal ministero del Lavoro, viene stabilito che nel caso dei licenziamenti avvenuti dopo il quinto giorno consecutivo di assenza ingiustificata dal lavoro, il rapporto si intende comunque risolto per volontà del lavoratore.

In tal caso, quindi, anche se si tratta di licenziamento non si potrà comunque fare domanda di Naspi.

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Naspi dopo l’assenza ingiustificata

Una novità entrata in vigore con il recente disegno di legge Collegato Lavoro, è quella per cui il dipendente non può più sfruttare la possibilità di non presentarsi in azienda per un lungo periodo obbligando così il datore di lavoro a licenziarlo e permettergli di accedere alla Naspi.

Una soluzione messa in pratica da molti di coloro che vorrebbero lasciare il lavoro ma non vogliono dimettersi per non perdere il rischio di accedere alla prestazione.

A tal proposito, con l’entrata in vigore del provvedimento, d’ora in avanti quando l’assenza ingiustificata si protrae per 15 giorni è considerata come se fosse dimostrazione della volontà del lavoratore di dimettersi. Di conseguenza, niente Naspi.

Dimissioni, nuovo lavoro e licenziamento: spetta la Naspi?

Come visto sopra, per avere diritto alla Naspi è necessaria la perdita involontaria dell’attività lavorativa. Tuttavia, per aggirare questo problema ci sono lavoratori che dopo essersi fatti licenziare trovano da chi farsi assumere – di fatto fittiziamente – per qualche tempo per poi avere diritto, all’interruzione del rapporto di lavoro, anche alla Naspi per il periodo lavorato cessato a seguito di dimissioni.

E non c’è un tempo limite: il rapporto di lavoro può durare anche solo una settimana, comunque alla cessazione si può fare domanda di Naspi e averne diritto per tutti i periodi lavorati negli ultimi quattro anni.

La legge di Bilancio pone però un limite, stabilendo che i lavoratori che hanno dato dimissioni volontarie da un lavoro a tempo indeterminato nei 12 mesi precedenti, avranno diritto all’indennità di disoccupazione solo nel caso in cui il nuovo lavoro abbia avuto una durata di almeno 13 settimane.

Di fatto non si tratta di un divieto assoluto, ma solo di un modo per provare a mettere un freno dal momento che è necessario che il rapporto di lavoro, fittizio, duri per almeno 3 mesi.

Attenzione comunque perché in ogni caso si è esposti alle sanzioni previste nei casi di rapporto di lavoro fittizio, tanto per il datore di lavoro quanto per il dipendente.

Quanto bisogna aver lavorato per prendere la Naspi

Altro requisito è quello per cui sono necessarie almeno 13 settimane di contribuzione contro la disoccupazione nei quattro anni precedenti l’inizio del periodo di disoccupazione. A tal proposito, sono valide tutte le settimane contributive, a patto che risulti erogata una retribuzione non inferiore ai minimi settimanali.

Da qualche anno non sono più richiesti i 30 giorni di lavoro effettivo negli ultimi 12 mesi: questo requisito è stato abolito dalla legge di Bilancio 2022.

Durata

La durata dell’indennità di disoccupazione è calcolata in base alla storia contributiva del beneficiario.

La Naspi è infatti erogata dall’Inps per un numero di settimane pari alla metà delle settimane contributive presenti negli ultimi 4 anni. Per determinare la durata dell’assegno di disoccupazione, non si calcolano i periodi contributivi che ne hanno già dato diritto.

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La Naspi, sulla base di quanto previsto dalla normativa di riferimento e da ultimo con il decreto 150/2015 ha una durata massima di 24 mesi.

Cosa spetta tra contributi e importo

Per il calcolo dell’importo della Naspi è preso a riferimento il reddito del lavoratore negli ultimi 4 anni di lavoro. Per farsi un’idea di quanto spetta bisogna quindi prendere come riferimento le buste paga degli ultimi 4 anni.

Per effetto della rivalutazione, in base a un’inflazione accertata dello 0,8%, i nuovi importi per il 2025, che verranno ufficializzati a breve con apposita circolare Inps, sono pari a:

  • 75% della retribuzione media per i primi 1.436,61 euro euro;
  • 25% per la parte restante fino a un massimo di 1.562,82 euro.

Inoltre, nel periodo coperto da Naspi il lavoratore ha diritto al versamento della contribuzione figurativa da parte dell’Inps, della quale si tiene conto nel calcolo della pensione. Durante la Naspi inoltre le lavoratrici in gravidanza hanno diritto alla maternità, mentre in caso di malattia spetta la relativa indennità sostitutiva.

È bene sottolineare però che a partire dal sesto mese di fruizione, l’indennità si riduce ogni mese nella misura del 3%. La decurtazione scatta dall’ottavo mese per coloro che nel momento in cui hanno presentato domanda di Naspi avevano compiuto i 55 anni di età.

Limite per essere considerati disoccupati

Da quest’anno è salita a 8.500 euro la no tax area per i lavoratori dipendenti. Ciò significa che in caso di nuova occupazione con contratto di lavoro subordinato di durata non superiore a 6 mesi e un reddito inferiore alla suddetta soglia, si mantiene il diritto alla Naspi.

Tuttavia, l’erogazione è sospesa d’ufficio e riprende solo alla cessazione dell’attività lavorativa.

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Domanda

Per la presentazione della domanda Naspi c’è tempo 68 giorni, pena decadenza, dalla data di cessazione del rapporto di lavoro. Per il licenziamento per giusta causa il suddetto termine decorre dal 38° giorno la data di cessazione.

La domanda va presentata telematicamente dal sito Inps. In alternativa si può chiamare il numero verde oppure rivolgersi agli enti di patronato e intermediari dell’Istituto.



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