Nascite in calo, vita più lunga, lavoro più povero. L’equilibrio delle pensioni è a rischio

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Meno figli, meno giovani che lavorano e versano contributi, aumento del precariato, speranza di vita in aumento, crescita economica debole, aumento dell’inflazione e, come base di partenza, una spesa pensionistica già oltre la media sia europea che dei Paesi Ocse. Risultato: nel medio e lungo periodo l’equilibrio finanziario del sistema pensionistico Inps è a rischio e nel tempo l’onere per lo Stato, che si impegna a coprire con trasferimenti dalla fiscalità generale (ben 164 miliardi nel 2023, trend in salita) all’Inps, è destinato a crescere, togliendo potenzialmente spazio di manovra alla finanza pubblica su altri capitoli di spesa. Una situazione nota da tempo, in base alle stime che negli anni si aggiornano e che tuttavia non prevedono ancora delle inversioni di rotta nella traiettoria degli indicatori che dovrebbero stabilizzare l’equilibrio lavoratori-pensionati. Secondo il rapporto “La natura delle entrate e delle uscite dell’Inps in rapporto alla dimensione previdenziale e assistenziale delle prestazioni”, presentato dal Consiglio di Indirizzo e Vigilanza (Civ) dell’ente previdenziale, nei prossimi anni si assisterà a un peggioramento del rapporto tra pensionati e  contribuenti, “con rischi evidenti per l’equilibrio del sistema previdenziale”.

Ad oggi la spesa pensionistica è già a livelli elevati. Nel 2023 ha raggiunto i 317 miliardi, pari al 15,2% del Pil. A voler guardare solo la spesa netta per le pensioni, quindi escludendo contemporaneamente le prestazioni assistenziali (non basate sui contributi), quelle legate al rispetto di soglie di reddito (come per esempio, la quattordicesima ai pensionati) e  le ritenute fiscali su tutti i trattamenti, la spesa sarebbe di 249 miliardi, pari all’11,9% del Pil. A livello internazionale, prendendo a riferimento il conto previdenziale complessivo del 2021 – cioè l’ultimo anno per cui sono disponibili dati confrontabili tra Paesi – è stato pari al 16,3% del Pil, inferiore solo a quello della Grecia, contro una media in Unione Europea del 12,9%.

Gli squilibri innescati in parte da una applicazione troppo generosa del sistema retributivo negli anni passati – attualmente il tasso di sostituzione rispetto all’ultima retribuzione è al 58,9%, circa 14 punti più della media Ue – e in quelli recenti dall’aumento del peso assistenziale su quello previdenziale, non sono stati ancora assorbiti, anche a seguito delle varie riforme che nel tempo hanno portato il sistema verso un meccanismo puramente basato sui contributi versati per la parte previdenziale. Tuttavia al momento il sistema è sostenibile, “anche in prospettiva, perché contiene dei meccanismi automatici di riequilibrio che legano i trattamenti pensionistici al reddito nazionale e alla speranza di vita”, ha detto il presidente del Civ dell’Inps, Roberto Ghiselli. Il problema vero riguarda le generazioni più giovani: per loro la questione riguarderà “la sostenibilità sociale del sistema perché se non si inverte la tendenza di un lavoro sempre più discontinuo e a basso reddito le future pensioni saranno sempre più povere. Quindi il problema più urgente, per la sostenibilità, è aumentare il numero dei lavoratori attivi ma soprattutto creare lavoro di qualità e redditi dignitosi”, ha detto Ghiselli. 

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Il rapporto del Civ evidenzia come le stime relative all’andamento di fecondità, speranza di vita e flussi migratori fanno presagire un aumento del rapporto di dipendenza tra giovani e anziani “e un peggioramento del rapporto tra pensionati e  contribuenti. Nel dettaglio, il rapporto tra soggetti con più di 64 anni e soggetti con un’età compresa tra i 20 e i 64 anni in Ue nel 2022 è stato pari al 36% con i valori più elevati registrati in Italia (41,0%) e Portogallo (41,2%).

A tutto ciò si somma l’impatto dell’inflazione che negli ultimi due anni ha fatto lievitare la spesa previdenziale, visto l’adeguamento degli assegni sotto certi limiti all’andamento dei prezzi al consumo. Ma ciò che contribuisce particolarmente è l’incidenza crescente dell’assistenza, in particolare per finanziare le misure sociali a favore dei redditi bassi o in condizioni di disagio. Tra il 2013 e il 2023 le entrate contributive dell’Inps sono cresciute del 28%, sono aumentati del 65,8% i trasferimenti all’istituto dalla fiscalità generale, la Gestione interventi assistenziali, in particolare per sostenere le nuove prestazioni sociali.

Di certo, uno dei problemi all’origine è il lavoro precario o povero che comporta salari più bassi e di conseguenza contributi versati minori. In un sistema a ripartizione come quello italiano, dove i contributi dei lavoratori di oggi servono a pagare le pensioni in corso, il rischio è che alla lunga l’equilibrio si spezzi. E di certo non è d’aiuto, in questo senso, il fatto che l’Italia abbia il terzo tasso di fecondità più basso in Ue (1,24) dopo Malta e Spagna e la speranza di vita a 65 anni più alta dopo Spagna e Francia pari a 21,5 anni. 



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