Nell’azienda-Lombardia più cassa che margini

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Nell’esporre a Motore Italia i dati sullo stato di salute del tessuto industriale lombardo, Leanus ci si è focalizzata sulle 19.923 società di capitale con almeno 2 milioni di ricavi e bilanci depositati al 2 dicembre 2024. La tecnologia ci ha consentito di aggregarle e di simulare l’«impresa Lombardia»: una super-azienda che nel 2021 fatturava circa 740 miliardi, per poi giungere intorno a quota 800 miliardi nel 2022 – anche per il forte effetto prezzi nel mondo dell’energia -, registrando successivamente un leggero calo, che comunque non ha intaccato le marginalità.

Per leggere la tabella, clicca il link a fianco

(Vedi la tabella) Riguardo alla distribuzione per provincie, Milano, Brescia e Bergamo pesano da sole circa il 60% dell’economia della Lombardia, laddove Milano conta quasi la metà delle imprese e oltre la metà dei ricavi totali.

Va detto che ci sono delle grandissime differenze in regione: Lodi e Sondrio hanno rispettivamente 183 e 169 imprese al di sopra della soglia dimensionale scelta per il campione (Milano ne ha 8mila), contribuendo ciascuna per l’1% ai ricavi. Nondimeno, sono proprio Lodi e Sondrio le uniche provincie che crescono nel contesto del calo di cui si è appena parlato.

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Abbiamo anche cercato di tradurre i bilanci in un formato più utile alla gestione aziendale rispetto a quello civilistico cui siamo abituati. Il bilancio aggregato delle imprese lombarde elaborato da Leanus consente al primo colpo d’occhio di apprezzare il loro equilibrio economico, patrimoniale e finanziario.

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(Vedi la tabella) Riguardo al primo, nonostante una leggera flessione spicca un Ebitda margin pari all’11,07%. L’impresa-Lombardia è assolutamente solida anche nella sua patrimonializzazione, ma quello che è forse il dato più interessante di tutti riguarda l’equilibrio finanziario e il capitale circolante. L’«aziendona» lombarda impiega infatti 157 giorni a trasformare un euro di fatturato in un euro di cassa. Questo di per sé non è un elemento negativo, dipende dal servizio, dalla filiera, ecc.; però è un elemento di attenzione, soprattutto per le banche. Il dato sul cash flow operativo, che supera il 18%, racconta inoltre di una Lombardia che ha trasformato in cassa più di quello che ha generato come marginalità (che, ricordo, era pari all’11%). Per inciso, questo vale a ricordare che l’Ebitda non è cassa, ma solo una grandezza economica.

Questo fenomeno si verifica di solito quando c’è un rallentamento dell’economia e si liberano delle risorse; è quando l’impresa riparte che la cassa va un po’ in sofferenza…

Molto eloquente riguardo l’importanza del tessuto imprenditoriale lombardo è il fatto che, tra le aziende del campione, ben 55 sono «branch» italiane di grandi aziende straniere – una su tutte Amazon, 50 miliardi di fatturato –. Per intendersi, la seconda regione è il Lazio, dove ce ne sono sei. Questo la dice lunga sul gran conto in cui multinazionali tengono il territorio lombardo con i suoi servizi sia finanziari sia logistici, ecc.

Contestuale a tale dato è anche il fatto che il 40% delle imprese con oltre un miliardo di ricavi hanno sede in Lombardia. Queste ultime fatturano 254 miliardi, grandezza che ci ricorda quanto incidano le grandi aziende anche in un paese fatto di piccole e microimprese come l’Italia.

Concludendo in modalità un po’ più operativa, ci siamo concentrati su 4.580 bilanci di aziende con ricavi compresi tra 10 e 50 milioni di euro: a dominare sono le 1.272 medie imprese in forte crescita (27%), con ricavi per un valore di 30 miliardi e tasso di investimento del 6%, seguite da 485 «runners», la cui crescita genera nondimeno delle tensioni finanziarie. Ci sono però anche 702 aziende «stuck» ovvero bloccate, che hanno perso ricavi e con questo peggiorato la loro accessibilità alla finanza. E sebbene siano solo 28 le aziende con patrimonio netto negativo, sono 382 quelle con Pfn/Ebitda maggiore a sei, rapporto finanziario molto importante perché da esso dipende l’aumento dei tassi di interesse applicati dalle banche alle imprese e, nel peggiore dei casi, la chiusura della linea di credito.

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(Vedi la tabella) Interessante a questo proposito è anche il fatto che ben 1.030 imprese delle 4.580 del campione sono «no bank», ossia non hanno neanche un euro di debiti bancari. E pensare che queste imprese sono una più bella dell’altra, con una capacità di generare cassa e caratteristiche patrimoniali- economiche tali da poter sostenere 17,3 miliardi di debito nuovo.

Bisognerebbe quindi capire perché da un lato questi imprenditori non vadano in banca e, dall’altro, perché gli istituti di credito non riescano a finanziarli con nuovi impieghi. 

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