È da tempo che merito di scrivere questo post, a ogni occasione buona penso, questa volta devo decidermi. Contro il complottismo dilagante, contro il malcontento che è sempre popolare e di moda quando si parla di sociale o sanità. Voglio scriverlo una volta per tutte: non esiste soltanto la crisi, non esistono soltanto i burocrati o i passacarte. Esiste il welfare, che più di ogni altra cosa cambia la vita delle persone e in particolare la vita dei fragili.
Stamane ho ricevuto in casa la mia assistente sociale da anni, Silvia, che si occupa del settore disabili adulti nella mia città. Eravamo in quattro attorno a un tavolo con caffè e cioccolatini, Silvia, Patrizia cioè la nuova referente della cooperativa che gestisce in appalto la mia assistenza domiciliare, Stefano ed io. L’occasione è per rinnovare il servizio di assistenza di cui beneficio ormai da otto anni. Silvia è una vecchia conoscenza nel senso che sono parecchi anni ormai che ci frequentiamo, conosce praticamente tutte le mie problematiche, Patrizia per me è un volto nuovo.
Ci salutiamo, ci presentiamo, ci mettiamo intorno al tavolo, caffè e cioccolatini a volontà. Silvia mostra la casa a Patrizia, ‘guarda Stefano come è riuscito a sistemare Laura e guarda gli spazi e la loro quotidianità’. Patrizia dice, questa casa è invasa di luce, è bellissima. Dopo i convenevoli si parla delle solite cose noiose di cui si deve per forza parlare quando si è in riunione con i servizi sociali. Ma con Patrizia e Silvia così come con le mie referenti per le cure palliative, così come con il mio centro ausili e relativi fornitori il rapporto è diverso.
Dietro le carte c’è la vita vera
Perché dietro quella apparente burocrazia, dietro i fogli e le carte, dietro i documenti i dati reddituali gli ISEE le risorse umane i lavoratori e quant’altro, non si parla altro che di vita, di vita vera sofferta e vissuta. Con Silvia ho avuto i miei confronti negli anni. Non accettavo il sollevatore. E lei, non solo per la tutela delle sue operatrici ma per una qualità di vita un po’ più decente, restava ferma. “Le sto parlando da amica Laura, faccia conto che non sia la sua assistente!” Ma non è stato facile accettare un nuovo ausilio, invasivo sia dei nostri spazi che del mio corpo, perché rappresentava un ennesimo nuovo scalino nella progressione della disabilità. Alla fine ho dovuto accettarlo. E non è stato poi neanche male.
Siamo state a dibattere anni, io e Silvia, su quale forma assistenziale facesse al caso mio, su quali bandi esplorare per le prestazioni, su com’è la vita per mio marito Stefano e come avremmo potuto aiutarla. Siamo state ad arrabbiarci insieme per questo welfare, tanto prezioso quanto ridotto all’osso. In fondo è come se guardassimo lo stesso incidente stradale, ma da due parti opposte della strada. E l’incidente stradale, o meglio la demolizione progressiva del welfare, coinvolge entrambe. Quest’anno come va Silvia con i trasferimenti statali? Come sono le vostre risorse? Non solo per me ma per chi questa assistenza la realizza, cioè i lavoratori?
L’empatia che fa la differenza
Ci sono altre figure che ruotano attorno a Silvia, ogni anno l’unità di valutazione multidisciplinare viene a farci visita. Sarà un caso che sono tutte donne, l’empatia, la condivisione anche di temi profondi, le risate, la messa a punto di problemi tosti assieme al cazzeggio, mi si perdonerà il sessismo, io riesco a trovarla il più delle volte in figure femminili.
Un po’ come la equipe di cure palliative. Anche qui Susanna, Benedetta e Patrizia vengono in casa come amiche. Non impongono ma ascoltano. Non calano dall’alto ma accolgono ogni fragilità. Sono disposte a rivedere ogni loro punto di vista, e sì che pure con loro ho avuto le mie discussioni. Alla fine una di loro mi saluta sempre con un, “venire a trovarti ci arricchisce”. Ho trovato la stessa leggerezza nella condivisione di problemi tosti anche con referenti e fornitori del centro ausili, Laura purtroppo la tua malattia è in evoluzione, facci sapere che dolori hai, fai le tue prove, non abbiamo fretta. Può sembrare scontato a chi non vive il welfare, non è così. Il welfare può essere una giungla burocratica o un insieme di carte bollate o una gabbia di protocolli che si mettono tra te individuo e lo Stato, oppure una mano fondamentale che ti viene dalla macchina pubblica. Nel mio caso è stato così. Nel caso di Silvia e compagnia, è tutto uno studiare aggiornarsi approfondire ogni forma possibile di sostegno alla persona, conoscere in profondità gli utenti, scegliere “l’incastro perfetto per quella e soltanto quella persona“, mettere a terra l’intervento che non è solo prestazione ma appunto verifica, ascolto, aiuto e sponda.
Non tutti però sono così fortunati. La macchina pubblica, della sanità o del welfare, è fatta di singole persone e le persone fanno la differenza, possono cambiarti la vita così come rendertela perversamente difficile in mezzo a una catena di ottusità. La famosa buona volontà dei singoli. Che oltre a dover scavalcare il problema della mancanza cronica di risorse, deve rispettare l’autodeterminazione e la scelta della persona. Una bella sfida davvero.
Queste persone hanno tutta la mia ammirazione ma, posso dirlo?, non vorrei mai essere al posto loro.
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