Segnali di speranza in un mondo in guerra, l’impegno di Amnesty International per i diritti umani

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Qual’è lo stato di attuazione concreta dei diritti umani oggi? Stiamo meglio o peggio rispetto a quando la Dichiarazione universale dei diritti umani fu approvata il 10  dicembre del 1948?

Lo abbiamo chiesto a Riccardo Noury, portavoce di Amnesty International Italia, che è stato ospite pochi giorni fa di Radio Lady nella trasmissione “Il punto sul mondo” con Alice Pistolesi, redattrice de l’Atlante delle guerre e dei conflitti nel mondo, pubblicazione che da 15 anni racconta lo stato dell’arte di tutte le guerre che insanguinano il nostro pianeta. Amnesty International è un’organizzazione che dal 1961 si batte per l’affermazione dei diritti umani nel mondo.

 

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La dichiarazione dell’uomo ha 76 anni, quale è il suo stato di salute ovvero di attuazione?

Purtroppo nel corso di questi decenni siamo passati dallo slogan “mai più” che ne aveva come caratterizzato l’emanazione, al dover dire “ancora una volta” troppo spesso. Le atrocità della Seconda guerra mondiale che avevano spinto alla Dichiarazione dell’ONU non ci si sono più, ma in realtà i diritti umani sono stati rispettati su larga scala forse solo per pochi anni, subito dopo la dichiarazione del 1948. Già da poco dopo il conflitto, con la separazione del mondo nei due blocchi est e ovest, da un lato, a Est, la repressione sovietica si è fatta subito sentire, silenziato in modo brutale ogni dissenso. Ma anche l’Occidente ha commesso atrocità, basti pensare al sostegno americano al colpo di stato in Indonesia di Suharto, che ha portato allo sterminio di massa di oltre 400.000 oppositori appartenenti al partito comunista indonesiano.

Oggi però che i blocchi non ci sono più, al tempo stesso non si riescono a fermare i conflitti, basti pensare alla guerra in Palestina, dove la sperequazione tra le forze in campo è molto evidente e le morti dei civili sono state oggettivamente troppe, come mai?

I veti incrociati del consiglio di sicurezza dell’Onu hanno di fatto impedito di fermare i conflitti e permesso che tante atrocità venissero perpetrate. Se cerchiamo quindi delle responsabilità delle violazioni dei diritti umani, purtroppo dobbiamo ammettere che anzitutto c’è stato il fallimento degli stessi organi che erano deputati a difenderli, i diritti umani. Chi aveva il potere e il dovere di fermare i conflitti spesso non lo ha fatto. Anche i mandati di cattura internazionali si spiccano o si contrastano a seconda della convenienza e dei legami, così come i profughi vengono scelti o accolti a seconda della loro provenienza. 

Ma oggi? Quali sono le situazioni piu gravi del 2024

Le guerre sicuramente, ma non solo una cosa tragica in sé. Il problema più grave è che si è fatto carta straccia delle convenzioni di Ginevra, che, con molto pragmatismo, regolavano la guerra. La prima regola era che i civili non si toccavano, ma basta vedere l’Ucraina e Gaza oggi, il Sudan, il Myanmar o alle guerre dell’africa subsahariana. I civili sono diventati dei bersagli e infatti il Tribunale internazionale sta valutando se in Myanmar e nella Striscia di Gaza ci sia il reato di genocidio, una parola che non avremmo più voluto pronunciare. 

Ma guardando invece all’occidente, dove quale è la situazione dei diritti umani oggi nel mondo?

Oggi, purtroppo, siamo tornati a prima del muro di Berlino. Se guardiamo il mondo, anche quello occidentale, vediamo che i nostri diritti sono sempre più limitati e compressi. Non si tratta solo di violenza fisica, come l’uso della forza che purtroppo torna troppo spesso durante le manifestazioni pacifiche, ma anche della sempre più scarsa previdenza sociale, del cattivo stato di salute dei servizi pubblici, della mancanza di informazione libera e indipendente, della precarietà del lavoro, tutti elementi che rendono più deboli i diritti umani.

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Se la situazione quindi spinge al pessimismo come è che Amnesty si pone rispetto a quesa narrazione?

Raccontiamo le storie che finiscono bene, perché si sono storie sia piccole che grandi che finiscono bene, cambiamenti e svolte che magari pochi conoscono. Pochi giorni fa lo Zimbawe ha abolito la pena di morte. Si tratta di una svolta importante. Un tribunale del Belgio ha recentemente dato ragione alle donne congolesi che erano state segregate per essere educate ed occidentalizzate a forza. Il 26 settembre, in Giappone, Iwao Hakamada, 88 anni, è stato dichiarato innocente del quadruplo omicidio per il quale era stato condannato nel 1968 e aveva trascorso 46 anni nel braccio della morte. Questa è stata una delle più lunghe battaglie di Amnesty e si è conclusa bene. Nel 2024 abbiamo contato più di 200 buone notizie e crediamo che raccontarle sia utile per tenere accesa la speranza.

Ci sono quindi segni di cambiamento anche dove non sembrava possibile, non solo per le vicende individuali ma anche per quelle che riguardano intere nazioni?

Certo, il cambiamento è possibile anche quando non pare possibile. In Iran nel 2022 con il movimento “Donna, vita, libertà” si pensava che tutto fosse finito, ma non è vero che non è cambiato nulla. L’apartheid di genere di quel Paese ore riguarda più la politica che la società, la cultura lentamente sta cambiando, come dimostra anche la scarcerazione del rapper Toomaj Salehi, che ha rischiato la morte per le proteste per Masha Amini ma è stato poi liberato. L’esempio recente più lampante è forse il Bangladesh, con migliaia di giovani scesi in piazza per protestare contro una legge ingiusta, rischiando la repressione e che invece nel giro di tre settimane sono riusciti a far dimettere la premier Sheikh Hasina e si sono trovati come primo ministro il Nobel per la pace, Muhammad Yunus.

Quindi possiamo sperare ancora nel cambiamento?

Certo, non solo possiamo sperare, ma ci dobbiamo sperare e lavorare affinché accada.

 

Guarda l’intervista radiofonica:

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