Processo ‘Ndrangheta Stragista: Cassazione annulla ergastoli

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La Sesta Sezione della Corte di Cassazione ha annullato le condanne all’ergastolo inflitte in primo e secondo grado a Giuseppe Graviano, boss di Cosa Nostra, e Rocco Filippone, esponente di spicco della ‘Ndrangheta e parte integrante del processo ‘Ndrangheta Stragista. Questa decisione sorprendente rimanda il procedimento alla Corte d’Assise d’Appello di Reggio Calabria, aprendo un nuovo capitolo in un caso che ha segnato la storia giudiziaria italiana. È dunque tutto da rifare per la giustizia dell’antimafia per ciò che riguarda uno dei processi più importanti che ha percorso le pagine più oscure dell’Italia degli anni ’90. Le decisioni dei giudici di primo e secondo grado sul processo ‘Ndrangheta Stragista si erano focalizzate sulla fitta ragnatela che la mafia siciliana e calabrese avevano tessuto per attaccare il cuore pulsante dello Stato, coinvolgendo anche i Servizi Segreti.

Una convergenza criminale per destabilizzare lo Stato

Secondo i giudici di merito che hanno studiato e fatto parte del processo ‘Ndrangheta Stragista, gli attentati che tra il 1993 e il 1994 insanguinarono la Calabria rientravano in una strategia di strage contro lo Stato comune tra Cosa Nostra e la ‘Ndrangheta, con la collaborazione di settori deviati dei servizi segreti e della massoneria. L’obiettivo? Forzare lo Stato a rivedere il regime carcerario del 41 bis e la legislazione sui collaboratori di giustizia.

Le condanne di primo e secondo grado del processo ‘Ndrangheta Stragista avevano definito di massima importanza le prove a sostegno di questa ricostruzione. La Cassazione ha ribaltato queste sentenze, sostenendo che l’impianto accusatorio non regge. Per comprendere le motivazioni, sarà necessario attendere il deposito delle ragioni del verdetto.

Gli attentati del 1993-1994 e il ruolo della ‘Ndrangheta

Gli episodi al centro del processo ‘Ndrangheta Stragista riguardano tre attentati avvenuti in Calabria, tra cui l’uccisione dei carabinieri Antonino Fava e Vincenzo Garofalo, trucidati in un agguato sull’autostrada nei pressi dello svincolo di Scilla il 18 gennaio 1994.

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Questi fatti, secondo i giudici di primo e secondo grado, si inserivano in un più ampio piano di destabilizzazione dello Stato orchestrato dalle due principali organizzazioni mafiose italiane. Graviano e Filippone erano stati indicati come mandanti, ma la Cassazione ha deciso diversamente, sollevando dubbi sulla fondatezza di tali accuse.

Un verdetto inatteso e controverso

La decisione della Suprema Corte rappresenta una battuta d’arresto per l’accusa. Il sostituto procuratore generale Antonio Balsamo aveva chiesto la conferma delle condanne, sottolineando la gravità del quadro emerso in Appello, dove erano stati evidenziati legami tra mafie, massoneria e politica.

La Cassazione, invece, ha rigettato questa ricostruzione, annullando le condanne per gli omicidi e i tentati omicidi contestati ai due imputati. L’unica condanna rimasta definitiva, che deriva dal processo ‘Ndrangheta Stragista, riguarda il reato di associazione mafiosa contestato a Filippone, per il quale dovrà scontare 18 anni di carcere.

Le implicazioni politiche e il “nuovo corso”

Un punto cruciale della sentenza d’Appello riguardava il presunto progetto politico autonomista che avrebbe visto mafie e massoneria collaborare per destabilizzare la Democrazia Cristiana e favorire la nascita di un nuovo soggetto politico.

I giudici avevano indicato che le stragi cessarono nel 1994, con la nascita di Forza Italia, partito con il quale i boss avrebbero sperato di stabilire un rapporto di convenienza. La Cassazione ha però ritenuto questa ricostruzione priva di solidi riscontri.

Un processo dal peso storico

Il processo ‘Ndrangheta Stragista ha rappresentato un tentativo unico di portare alla luce le dinamiche di convergenza tra organizzazioni mafiose e apparati deviati dello Stato. L’annullamento delle condanne rilancia interrogativi sulla capacità della giustizia italiana di affrontare i legami oscuri che hanno caratterizzato una delle stagioni più buie della Repubblica.

L’avvocato Antonio Ingroia, rappresentante delle parti civili, ha definito la sentenza d’Appello “storica” proprio per aver messo in evidenza la stretta collaborazione tra Cosa Nostra e la ‘Ndrangheta in quegli anni. Ora, con il nuovo rinvio, questa ricostruzione è seriamente messa in discussione.

Il nuovo dibattimento presso la Corte d’Assise d’Appello di Reggio Calabria sarà cruciale per fare chiarezza su uno dei capitoli più complessi della lotta alla criminalità organizzata in Italia. Le motivazioni della Cassazione potrebbero fornire elementi chiave per comprendere le ragioni della decisione e per stabilire se esistano margini per rivedere l’impianto accusatorio.

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Il percorso giudiziario si preannuncia comunque lungo e pieno di insidie, in un contesto dove la verità giudiziaria si intreccia inevitabilmente con il destino politico e istituzionale del Paese.

Lucrezia Agliani



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