“Sogniamo di giocare lì con loro”

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Conflitto Israele-Palestina e in Medio Oriente

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18 Dicembre 2024



07:44

Una scuola calcio gratuita di Napoli contatta ciò che resta del Al Haddaf, scuola calcio di Beit Lahia nella Striscia di Gaza, per un gemellaggio. Gli allenatori palestinesi rintracciano i bambini sopravvissuti nel campo di Deir al Balah e riprendono gli allenamenti.

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I bambini e gli allenatori della scuola calcio Al Haddaf con lo striscione per lo Spartak San Gennaro

I dati del genocidio in Palestina sono agghiaccianti, ma tra quei numeri ci sono alcuni che fanno più spavento di altri. Sono i numeri delle atrocità che hanno dovuto subire i bambini palestinesi dall’inizio della guerra a Gaza a causa dei bombardamenti dell’esercito israeliano. Secondo “The Guardian” il 96% dei bambini di Gaza crede che la propria morte sia imminente, e circa la metà ha espresso il desiderio di morire per il trauma subito. I funzionari delle Nazioni Unite parlano di “una generazione perduta”, con 12 mila bambini feriti e 1.000 amputati con disabilità permanente, sono 13 mila i bambini uccisi dal 7 ottobre 2023, secondo i dati del Ministero della Salute palestinese. Per questo la storia che vi raccontiamo è una luce nel buio.

È la storia di un gruppo di allenatori della scuola calcio Al Haddaf, di Beit Lahia, una delle città più colpite nella striscia di Gaza. Sono dovuti scappare dalle proprie case e nel campo profughi di Deir al Balah hanno ritrovato molti dei ragazzini della loro scuola calcio. Tramite la rete sono stati contattati dallo Spartak San Gennaro, una scuola calcio gratuita di Napoli, del quartiere popolare di Montesanto che gli ha chiesto un gemellaggio, in modo da far comprendere ai loro piccoli atleti che vedevano sui media le immagini del massacro a Gaza, che anche lì c’erano dei bambini che giocavano a calcio.

Un’attenzione, un interessamento che è stato fondamentale per la rinascita. Così gli allenatori si sono riempiti di entusiasmo, hanno radunato tutti i bambini della loro scuola calcio che sono ospitati nel campo profughi di Deir al Balah ed hanno ripreso gli allenamenti. Tra il gruppo di bambini di Gaza e quelli di Napoli è nato un gemellaggio fatto di scambi di video messaggi, condivisione dei video delle partite che giocano su una sponda e l’altra del Mediterraneo. Una storia di speranza che ancora una volta ci dice come il calcio può essere un collante universale, anche nella tragedia più buia.

“Ci hanno chiesto: ma a Gaza ci sono bambini che giocano a calcio?”

Alessandro Ventura è uno degli allenatori dello Spartak San Gennaro, una realtà autogestita che raccoglie 4 categorie anagrafiche di bambini, maschi e femmine. Qui non si paga la retta mensile, gli allenamenti si fanno sul campo di un centro sociale, lo Scugnizzo Liberato, un ex carcere minorile nel cuore del centro storico di Napoli. In questa scuola calcio il pallone è sport, agonismo, ma è anche un mezzo per far passare dei messaggi di solidarietà: l’antirazzismo, l’antisessismo, la pace. “I nostri bambini come tanti altri sono rimasti sconvolti dalle immagini del massacro a Gaza – spiega a Fanpage.it mister Ventura – abbiamo provato a parlare con loro, anche insieme ai genitori, per spiegargli cosa stesse accadendo in Palestina. E da questo confronto è venuto fuori un quesito curioso, ovvero ma a Gaza ci sono bambini, che come noi, giocano al calcio? E possono giocarci?“. E’ stata la scintilla per mettersi alla ricerca di altri bambini, anche loro in corsa dietro ad un pallone, ma costretti a farlo in un campo profughi e sotto le bombe. “Così ci siamo messi alla ricerca ed abbiamo trovato la scuola calcio Al Haddaf Accademy Team” spiega l’allenatore dello Spartak. “Quello che ci hanno risposto ci ha riempito di gioia, ci hanno detto che grazie al nostro interessamento hanno deciso di riprendere gli allenamenti. Da lì è nato uno scambio praticamente quotidiano. Loro ci inviano dei video, in inglese, ma qualche volta grazie all’aiuto di Mohammed, un ospite del campo profughi di Deir al Balah, anche in italiano. Noi mettiamo tutti i ragazzi in cerchio al centro del campo e gli mostriamo i video, e poi organizziamo un video di risposta. I genitori sono rimasti molto colpiti e ci hanno chiesto solo se effettivamente i video che giravamo arrivavano a Gaza, e ne sono stati felici“.

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Uno scambio tra bambini, ma anche tra persone che non si arrendono all’assuefazione della guerra vista in Tv e sui media. Nasce così il gemellaggio. Gli allenatori dell’Al Haddaf inviano i video dove, in maniera disciplinata e professionale, presentano i calciatori, raccontano da dove vengono. E così fanno quelli dello Spartak. Poi ci sono le partite. Non si è ancora riusciti a trasmettere una partita in diretta streaming, perché la connessione nella striscia è ballerina. Ma a Montesanto non si sono persi d’animo e così si riprendono mentre guardano in differita le partite dei bambini palestinesi giocate nel campo profughi di Deir al Balah e inviano i video in Palestina. “Questi bambini per ringraziarci hanno fatto uno striscione, scrivendo il nome della nostra squadra a Gaza – racconta Ventura – e per farlo hanno usato le ceneri delle case che sono state bombardate dall’esercito israeliano, mischiandole ad acqua e riuscendo a fare una misura con cui hanno scritto su un lenzuolo Spartak San Gennaro“. Dall’altro lato i bambini di Montesanto hanno risposto con un video dove tengono in mano la bandiera palestinese. Il gemellaggio può dirsi compiuto. “I bambini capiscono quello che sta succedendo – sottolinea il mister – e delle atrocità che stanno vivendo i bambini a Gaza“.

I bambini dello Spartak San Gennaro con la bandiera della Palestina

I bambini dello Spartak San Gennaro con la bandiera della Palestina

“Torneremo più forti di prima”

Per farci raccontare la loro storia abbiamo chiesto a Mohammed Al Sultan, uno degli allenatori del Al Haddaf, di inviarci un video. Si riprende dal campo di gioco all’interno del campo profughi, in sottofondo un rumore di elicotteri, mentre tutto intorno ci sono i bambini che giocano con il pallone. “Noi avevamo una scuola calcio nel nord della striscia di Gaza – ci dice – a Beit Lahia, era una scuola calcio fantastica, ci siamo impegnati tanto fino a farla diventare come volevamo. Purtroppo è arrivata questa maledetta guerra che ha portato via tutto. Non abbiamo potuto più continuare, l’esercito israeliano ha colpito e incendiato il nostro campo e le nostre strutture. Ma nonostante tutto non ci arrendiamo e vogliamo far tornare la scuola calcio più forte e bella di prima. Abbiamo scelto questo campo profughi perché ospita il maggior numero di bambini che venivano alla nostra scuola calcio, ed ora è il momento giusto per ripartire. Purtroppo molti bambini che venivano da noi sono morti, pace all’anima loro“.

Nella durissima realtà del campo profughi di Deir al Balah, Mohammed e gli altri allenatori provano ogni giorno a strappare un sorriso, a costruire un mattoncino di speranza per il futuro, a non lasciare che anche i sogni di questi bambini scompaiano per sempre. Il campo è una distesa di tende a perdita d’occhio, qui ci vivono migliaia di persone. Ci inviano dei video per mostrarci come sono fatte. Tappeti sulla sabbia nella zona dove si dorme, un angolo separato con dei teli per il bagno, uno spazietto che hanno chiamato cucina, qualche sedia. Per prendere l’acqua si deve uscire dalla tenda e andare al pozzo, coperto da una botola. Qui c’è il secchio attaccato ad una corda, come si faceva tanti anni fa. Quest’acqua serve per lavarsi, non è per bere. Il campo di gioco un tempo era in erba sintetica, ora sono rimasti diversi rettangoli ancora con l’erba artificiale, altri invece hanno portato alla luce il cemento. Ma ci sono le porte, il pallone, ed anche le casacche per fare due squadre. In questo rettangolo di gioco la vita di questi bambini trova un momento di normalità, nonostante tutto quello che c’è intorno ci dica che non lo è, non può esserlo. Ma è qui che questi bambini custodiscono ancora i loro sogni.

Campo profughi di Deir al Balah

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“Il nostro sogno è andare a giocare in Palestina”

Anche per gli animatori dello Spartak San Gennaro non è stato semplice intraprendere questa esperienza, sia dal punto di vista emotivo che pedagogico. Ci spiegano che evitano che i messaggi siano one-to-one, preferiscono non mettere in relazione i singoli bambini tra di loro, ma comunicare sempre in gruppo. Questo perché la zona del campo profughi di Deir al Balah continua ad essere oggetto degli attacchi israeliani. Tutto intorno i bombardamenti continuano e purtroppo l’eventualità che qualcuno dei bambini della scuola calcio muoia e tutt’altro che remota. Sarebbe fin troppo complicato spiegarlo ai loro amici in Italia, dall’altro lato del Mediterraneo. “Davanti abbiamo due immagini che sembrano uguali – ci dice Luigi Volpe, dirigente dello Spartak San Gennaro – qui vediamo i nostri bambini che giocano a pallone, là invece pensiamo che stiano giocando a pallone ma da un momento all’altro può passare un aereo e buttargli addosso qualcosa, e non è un pallone ma un missile. Purtroppo i bambini di Gaza non hanno la stessa facilità e felicità di giocare a pallone come i nostri. Ma allo stesso tempo provano attraverso un calcio ad un pallone a cacciare via tutte le brutture che sono intorno a loro“.

Davanti ai video che arrivano periodicamente dalla Palestina, cresce sempre di più l’attenzione dei bambini dello Spartak, ma anche gli adulti, allenatori, dirigenti e genitori, che seguono con apprensione e partecipazione emotiva la rinascita della scuola calcio palestinese. E’ bastata un’attenzione, un segnale da lontano che chiedeva un gemellaggio, per rimettere tutto in moto. “Credo che è anche il tempo per i nostri ragazzi di capire che forse un futuro può esserci, e forse saranno proprio loro il nostro futuro migliore” ci dice Volpe. “Per ora la nostra gioia è vederli giocare e dialogare con i nostri bambini, ma il nostro progetto futuro è giocare con loro, ma non qua, ma in Palestina, sogniamo un bella partita, ridere insieme, e pensare che forse la guerra è finita, una volta per tutte“.





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