Foglio di via e restrizione della libertà personale: per la Corte costituzionale non è necessario l’intervento del giudice ai sensi dell’art. 13 Cost. | Sistema Penale

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Corte cost., 17 dicembre 2024, n. 203 (Pres. Barbera, rel. Viganò)

Diamo notizia ai lettori del comunicato stampa con il quale la Corte costituzionale informa della decisione presa con la sentenza numero 203, depositata il 17 dicembre 2024, con riguardo ad alcune questioni sollevate in relazione alla misura di prevenzione personale del foglio di via disposta dal questore nei confronti di persone pericolose per la sicurezza pubblica. Come si legge nel comunicato – di cui riportiamo di seguito il testo integrale – ad avviso della Corte tale misura di prevenzione non è da considerarsi restrittiva della libertà personale dell’interessato (essendo solo limitativa della sua libertà di circolazione) e, pertanto, non richiede l’intervento di un giudice ai sensi dell’art. 13 Cost.  

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Segnaliamo, per l’interesse, che nel giudizio davanti alla Corte costituzionale è stata depositata dall’Associazione Italiana dei Professori di Diritto Penale (AIPDP) una opinione scritta, in qualità di amicus curiae, consultabile a questo link. Una delle molteplici ragioni di interesse della sentenza risiede nel fatto che, forse per la prima volta dall’introduzione degli amici curiae nel giudizio di costituzionalità, la Corte costituzionale si confronta diffusamente con le tesi sostenute nell’amicus curiae, dialetticamente collocato su un piano addirittura prossimo a quello del giudice rimettente, che aveva espresso dubbi di legittimità costituzionale condivisi dalla AIPDP. La Corte, pur riconoscendo che “gli argomenti addotti dal rimettente e dall’amicus curiae hanno un sicuro spessore”, ha dichiarato non fondate le questioni.

Nel rinviare al comunicato stampa e alla motivazione della sentenza, sottolineiamo almeno tre punti di particolare interesse della decisione:  

  • La parte in cui (v. il punto 4.5. della parte in diritto) si valorizza il consolidato orientamento della Corte sui criteri che attraggono una misura nella sfera dell’art. 13 Cost., piuttosto che dell’art. 16 Cost.: il tendenziale rispetto dei propri precedenti – unitamente alla coerenza dell’interpretazione con il testo delle norme interpretate e alla persuasività delle motivazioni – è, per le giurisdizioni superiori, condizione essenziale dell’autorevolezza delle loro decisioni, assicurando che i criteri di giudizio utilizzati restino almeno relativamente stabili nel tempo, e non mutino costantemente in relazione alla variabile composizione della Corte. Ciò vale anche, e forse in speciale misura, per il giudice costituzionale: le cui decisioni hanno una naturale vocazione a orientare la prassi operativa delle istituzioni della Repubblica, creando ragionevoli affidamenti su ciò che a ciascuna di esse è consentito in forza delle previsioni costituzionali. In particolare, il potere legislativo deve essere posto in condizioni di ragionevolmente prevedere se le proprie scelte saranno ritenute conformi alla Costituzione, ovvero siano verosimilmente destinate a essere dichiarate costituzionalmente illegittime”.
  • Altresì degno di nota è il riferimento alla valutazione sulla proporzionalità della misura di prevenzione che, secondo la Corte, possono e devono compiere caso per caso il giudice amministrativo (in sede di ricorso) o il giudice penale (in sede di accertamento della legittimità della misura che sia stata violata, dando luogo così a un reato, come nel giudizio a quo). In altre parole, se è vero che la misura di prevenzione non è disposta o convalidata da un giudice, è anche vero che è possibile che, in sede amministrativa o penale, possano esserne vagliate la legittimità e la proporzionalità
  • Da ultimo, segnaliamo il passaggio in cui la Corte rileva come “il sempre più ampio ricorso a misure di prevenzione che limitano incisivamente i diritti fondamentali delle persone, per finalità di controllo dell’ordine pubblico, rischia di determinare, al tempo stesso, un esteso effetto di criminalizzazione indiretta di quelle stesse persone, attraverso la previsione come reato della violazione delle prescrizioni loro imposte mediante la misura di prevenzione – violazione, peraltro, di assai più agevole accertamento giudiziale di quanto non sarebbe stato l’accertamento delle condotte criminose che costituiscono per lo più il presupposto della misura”. La Corte esprime qui una preoccupazione che ci sembra avvalorata, tra l’altro, anche da quanto previsto in tema di DASPO urbano dal c.d. pacchetto sicurezza (d.d.l. m. 1236) all’esame del Parlamento.

 

Di seguito il testo del comunicato stampa. 

***

La misura di prevenzione del foglio di via, disposta dal questore nei confronti di persone pericolose per la sicurezza pubblica, non restringe la libertà personale dell’interessato, ma semplicemente limita la sua libertà di circolazione. Pertanto, essa non richiede l’intervento di un giudice, come prescritto invece dall’articolo 13 della Costituzione per ogni misura restrittiva della libertà personale. Spetterà poi al giudice amministrativo e al giudice penale verificarne la legittimità e proporzionalità nel singolo caso concreto, rispettivamente quando l’interessato proponga ricorso contro il provvedimento del questore, o sia imputato in sede penale per la violazione degli obblighi stabiliti nel provvedimento.

Lo ha chiarito la Corte costituzionale nella sentenza numero 203, depositata oggi, con la quale sono state dichiarate non fondate le questioni sollevate dal Tribunale di Taranto sull’articolo 2 del codice antimafia.

Nel caso in esame, un uomo era stato rinviato a giudizio per avere fatto più volte ritorno nel Comune di Taranto, dal quale era stato allontanato mediante foglio di via, motivato dal questore sulla base della sua pericolosità sociale. Prima di pronunciarsi sulla responsabilità penale dell’imputato per la violazione delle prescrizioni imposte con la misura, il giudice si è però interrogato sulla legittimità costituzionale dell’articolo 2 del codice antimafia, che attribuisce al questore il potere di disporre la misura senza prevedere la sua necessaria convalida da parte di un giudice.

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La Corte costituzionale ha anzitutto ricordato che una restrizione della libertà personale si verifica quando la persona subisce una coazione nel proprio corpo, come nel caso di arresto o di detenzione, o ancora nel caso di un trattamento medico coattivo. Si ha, inoltre, restrizione della libertà personale quando il soggetto venga sottoposto a misure che presuppongano un giudizio di “degradazione giuridica” e impongano obblighi di intensità tale da poter essere equiparati all’assoggettamento della persona all’altrui potere.

In numerose decisioni a partire dal 1956, la Corte ha ritenuto che quest’ultima situazione si verifichi in conseguenza di misure di prevenzione che impongano all’interessato obblighi di rimanere in un luogo determinato (come, ad esempio, l’obbligo di stare casa durante le ore notturne), ovvero di recarsi periodicamente presso un ufficio di polizia (ad esempio durante l’orario di svolgimento di manifestazioni sportive dalle quali l’interessato sia stato interdetto). Viceversa, la Corte ha sinora sempre escluso che il semplice divieto di recarsi in un luogo determinato ponga in causa le garanzie dell’articolo 13 della Costituzione. In questo caso, infatti, la persona resta libera di andare in qualsiasi altro luogo desideri, tranne quello dal quale è interdetta.

Con la sentenza depositata oggi, la Corte ha ritenuto di dover confermare la propria costante giurisprudenza, alla quale del resto il legislatore si è da tempo orientato nel configurare la disciplina delle misure di prevenzione e dei cosiddetti “DASPO”. E ciò nella consapevolezza che il tendenziale rispetto dei propri precedenti è una delle condizioni essenziali per l’autorevolezza delle decisioni di ogni giurisdizione superiore, compresa la Corte costituzionale.

Peraltro, la Corte ha sottolineato che – come osservato dal Tribunale di Taranto – gli effetti del foglio di via possono risultare assai gravosi per il destinatario, ad esempio quando gli venga vietato l’ingresso nell’intero capoluogo di provincia nella quale risiede.

Tuttavia, la Corte ha sottolineato come l’ordinamento italiano disponga di strumenti efficaci per garantire una tutela effettiva ai diritti fondamentali del destinatario contro i pericoli di uso arbitrario di queste misure, ad esempio quale strumento di repressione del dissenso politico e delle legittime forme di protesta protette dalla Costituzione.

Da un lato, il ricorso al giudice amministrativo è certamente idoneo ad assicurare – anche grazie ai provvedimenti cautelari che possono essere adottati in caso di urgenza – una tutela immediata ed effettiva contro eventuali provvedimenti lesivi dei diritti fondamentali dell’interessato.

Dall’altro, lo stesso giudice penale, nei procedimenti per violazione degli obblighi inerenti a una misura di prevenzione, ha il dovere di verificarne preliminarmente la legittimità.

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La verifica di legittimità compiuta dall’uno e dall’altro giudice, infine, comprende necessariamente anche una valutazione di proporzionalità tra le finalità di tutela perseguite dall’autorità di polizia e la concreta incidenza della singola misura sulla libertà di circolazione dell’interessato, nonché sull’intera gamma dei suoi diritti fondamentali comunque incisi dal provvedimento (compresi i diritti al lavoro, alla salute, alla vita privata e familiare).

Roma, 17 dicembre 2024

 



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