A novembre siamo stati due giorni a Torino per la presentazione di Archivissima, un festival dedicato agli archivi, organizzato dall’associazione culturale Archivissima APS e sostenuto da Promemoria Group, e che l’anno prossimo si terrà dal 5 all’8 giugno 2025 nella sua ottava edizione. Il progetto nasce nel 2018, a Torino, dopo la precedente esperienza della Notte degli Archivi, un format ideato nel 2016 da Promemoria Group.
La Notte degli archivi ha aperto le porte della memoria al pubblico, oltre che a scrittori, giornalisti e artisti di spicco, invitati a reinterpretare il materiale storico custodito all’interno degli spazi. In pochi anni l’iniziativa è diventata un appuntamento culturale di grande rilevanza, acquisendo una dimensione nazionale, attraverso il coinvolgimento di oltre quattrocento enti pubblici che promuovono il valore della memoria come motore di crescita culturale e sociale. Tra incontri, talk, spettacoli, concerti, proiezioni, performance artistiche, dirette streaming, laboratori e mostre, il festival propone di guardare al patrimonio archivistico da un punto di vista diverso, riaprendo i cassetti della memoria collettiva.
La prima tappa negli archivi di Torino è stata al Teatro Regio, il teatro lirico più importante della città e uno dei più rilevanti nel panorama internazionale. Qui Simone Solinas, responsabile direzione comunicazione e stampa ci ha guidati nelle stanze della sartoria, dove Patrizia Bongiovanni, responsabile del settore, ha raccontato della cura nel lavoro legato alla scenografia, dietro ai costumi che vengono utilizzati per gli spettacoli, e del lavoro di manutenzione degli abiti di scena, ma anche dell’importanza dell’Archivio Storico del Teatro Regio che custodisce, raccoglie e valorizza i beni e i documenti prodotti dal teatro.
Il giorno seguente siamo partiti invece alla volta di Biella, dove abbiamo visitato la Fabbrica della Ruota, ex Lanificio fratelli Zignone, che iniziò la sua attività nel 1878, e venne chiuso nel 1964. Vent’anni dopo, l’edificio abbandonato tornò a vivere grazie alla mostra “Archeologia Industriale in Valsessera e Vallestrona”, che riscosse un buon successo nel biellese, e da cui nacque l’idea di aprire il DocBi, il Centro di Studi Biellesi. «Abbiamo recuperato una fabbrica, che era un lanificio, e l’abbiamo convertita in una fabbrica di cultura – ci ha raccontato Danilo Craveia, archivista professionista e responsabile tecnico del Centro di Documentazione dell’Industria Tessile dell’archivio Zegna, del Santuario di Oropa, e del Festivaletteratura di Mantova –. Gli archivi aziendali e quelli di famiglia spesso combaciano, perché in passato non era facile distinguere fabbrica e famiglia». Negli spazi della ex fabbrica, oggi, sono conservati materiali cartacei, fotografici, tessili che coprono un vasto arco cronologico, dal Settecento a oggi.
«Questa varietà di materiale aumenta, ma questa documentazione viene sempre più rivalutata anche dalle aziende che hanno bisogno di fare attività come heritage e storytelling, ma anche per l’ispirazione creativa – continua Craveia –. Oggi c’è una resistenza mentale all’eccesso agli archivi, unita a una forte passività digitale». Il responsabile ci accompagna tra i corridoi colmi di volumi sugli scaffali che, a loro volta, contengono altrettante storie. Ci mostra per esempio un manuale di contabilità aziendale e domestica di un allevatore di pecore di Firenze risalente a inizio Seicento, durante il periodo della peste. Un altro invece risalente al 1910 contiene dei campioni di tessuti in grigioverde, il colore utilizzato per realizzare le prime divise dell’esercito. Al tatto i tessuti si rivelano spessi, ma nel corso degli anni «sono diventati più sottili per via del cambiamento climatico, perché non fa più freddo come prima», aggiunge Craveia. Di quest’industria tessile nel biellese Craveia racconta anche degli scontri feroci tra padroni e maestranze. «Da una parte c’era un’industria in espansione; dall’altra una forte coscienza di classe: in città era impensabile che un operaio scioperasse per un anno, mentre qua avevano le mucche, le castagne, e si nutrivano con quello che avevano, se non potevano lavorare».
La visita è continuata all’archivio del lanificio Vitale Barberis Canonico. Con una storia iniziata a partire dal 1600, l’azienda viene fondata nel 1936. L’archivio dell’azienda, oggi, rappresenta un esempio virtuoso di storytelling aziendale. I materiali vengono messi a disposizione dei disegnatori, che attingono a personaggi storici, colori e storie, che vengono studiate, recuperate, e riproposte in chiave contemporanea. «Qui non si inventa mai niente, al limite si rivisita – ha detto Valentina Berti, pr & communication di Vitale Barberis Canonico –. La moda, il disegno, e il gusto possono tornare».
L’ultima tappa del tour si conclude con una visita al Cappellificio Valle Cervo. La storia dell’azienda si inserisce in una più ampia tradizione biellese della lavorazione artigianale di cappelli in feltro. Ad oggi, il cappellificio è una delle poche realtà che ancora svolgono il ciclo produttivo interamente all’interno della struttura. «L’archivio storico, ricco di oltre mille forme in legno e alluminio e quasi quattrocento ricette di colore è fonte di ispirazione per rinnovare la tradizione del cappello con gusto contemporaneo», ci racconta una dei proprietari. Il cappellificio, aggiunge, nasce nel 1897 come cooperativa di cappellai. Nel corso degli anni nello stabilimento vengono prodotti milioni di cappelli di ogni stile e colore, esportati e apprezzati in tutto il mondo, mantenendo sempre il savoir-faire originario. Nel tempo alla produzione di cappelli cuciti in tessuto e pezzi unici couture per il mondo della moda e del cinema si sono aggiunti modelli in paglia. In queste sale, tra fumi, cavalletti, e forme in legno di tiglio il futuro si respira tra le memorie degli archivi.
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