Il 21 novembre scorso la Giunta Regionale siciliana ha approvato il nuovo Piano Regionale di Gestione dei Rifiuti – Stralcio Rifiuti Urbani. Si tratta in realtà dell’aggiornamento del piano vigente del 2021, a cui sono state apportate importanti modifiche, in particolare sugli impianti futuri di trattamento dei rifiuti. La principale novità è la previsione di due inceneritori da realizzare a Palermo e a Catania. Il piano inoltre prevede, come indicato dalla Regione Siciliana, “31 impianti di compostaggio (14 nuovi, di cui 6 pubblici), 24 biodigestori (20 nuovi, di cui 11 pubblici), 16 piattaforme tutte pubbliche di selezione del recupero per la raffinazione (di cui 11 nuove) che sostituiranno e miglioreranno i vecchi impianti Tmb”.
A far discutere tuttavia, non solo in Sicilia ma anche nel resto d’Italia, è il ritorno dei famigerati inceneritori. Vale dunque la pena di soffermarsi sulle profonde criticità socio-politiche e tecnico-economiche relative a questo strumento di pianificazione dell’economia dei rifiuti e della salute umana e dell’ambiente: dal contesto emergenziale alla discutibile strategia contenuta nel piano, fino alla drammatica assenza di un’adeguata stima e valutazione degli impatti ambientali.
Questo insomma è un tentativo di andare oltre l’annoso dissing “inceneritori sì o inceneritori no”: che gli inceneritori siano un’idea malsana e fallimentare, nel 2024, non deve essere più oggetto di discussione. Più interessante guardare al contorno e chiedersi: come ci sono finiti nel giro di pochi mesi due inceneritori nelle mappe?
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Un’emergenza perenne
La lunga stagione dell’ordinaria emergenza in Sicilia è cominciata con l’ormai mitologica dichiarazione dello stato di emergenza del ciclo dei rifiuti del Consiglio dei Ministri del 22 gennaio 1999, e da quel momento non si è mai chiusa. In linea teorica, lo Stato interviene con la dichiarazione dello stato di emergenza quando una Regione non riesce a dare impulso a una corretta regolamentazione del ciclo dei rifiuti, basata sulla pianificazione delle risorse, delle infrastrutture e delle attività connesse al ciclo dei rifiuti. Le autorità regionali competenti in materia dovrebbero attivare un’analisi e una programmazione a lungo termine, da aggiornare ciclicamente in base all’evoluzione del contesto territoriale e delle politiche ambientali europee e nazionali.
Nel caso siciliano, le fasi emergenziali ufficiali dal 1999 ad oggi sono quattro, ma dal 2013 si è passati dai decreti del Presidente del Consiglio dei Ministri alle ordinanze del Presidente della Regione. La sostanza non cambia: il ciclo dei rifiuti è gestito in maniera diretta e centrale da un’unica figura di governo, che regolamenta il sistema di volta in volta, attraverso singoli provvedimenti temporanei.
E dopo una lunga serie di vicende di ogni colore politico, tra scandali e fallimenti, tra un colpo di ordinanza presidenziale e un altro, a febbraio 2024 puntuale è arrivata la nomina, in forza di legge nazionale, del Presidente della Regione Renato Schifani a Commissario Straordinario per l’Emergenza Rifiuti e la Sicurezza Energetica. Sullo sfondo, lo stato dell’arte dei rifiuti nel 2024 è drammatico: nei due maggiori Comuni dell’isola la raccolta differenziata è inchiodata al 15% (Palermo) e al 22% (Catania), non vi sono infrastrutture sufficienti per il trattamento dei rifiuti, le discariche sono quasi del tutto sature, e si esportano fuori dalla Regione circa 260.000 tonnellate (dato del 2022).
In assenza di un indirizzo politico risolutivo, la struttura regionale preposta – il Dipartimento Regionale Acque e Rifiuti – permane in una condizione di paralisi, sottodimensionata e svuotata delle adeguate risorse tecniche che garantirebbero un lavoro continuo di analisi dei fabbisogni impiantistici e una pianificazione della raccolta e della realizzazione degli impianti necessari, in linea con gli obiettivi di tutela dell’ambiente e della salute umana.
Per rendere l’idea, il PRGRU (Piano Regionale di Gestione dei Rifiuti) in vigore è stato approvato nel 2021, su dati elaborati nel 2018 con la normativa di quel periodo. La Commissione europea ha chiesto all’inizio del 2023 alla Regione Sicilia di adeguare quindi il Piano alla riforma del Pacchetto Economia Circolare del 2020, e ad altre norme sopravvenute. Pena l’esclusione dall’accesso ai fondi strutturali PO-FERS, ciclo 2021-2027, la dimensione economica resta imprescindibile e giustifica l’accelerazione dei tempi all’ultimo momento.
In questo senso è più facile comprendere perché tutti i Piani Regionali di Gestione dei Rifiuti finora elaborati (dal 2002 ad oggi), sono stati sviluppati e approvati in periodi di commissariamento. Il pattern è chiaro, anche grazie alle numerose inchieste parlamentari antimafia: immobilismo fino alla crisi, per poi invocare i poteri straordinari, accentrando la decisionalità e la facoltà di approvare il Piano, e dunque il potere decisionale, dall’Assemblea Regionale al Presidente della Regione e alla Giunta. A cascata, ciò implica la possibilità di andare in deroga alle procedure ordinarie indicate dalle norme, e di ridurre i tempi delle procedure di valutazione ambientale e di approvazione, come indicato nell’ordinanza commissariale n.1 dell’8 aprile 2024.
Una simile impostazione “ha per effetto l’ulteriore compressione della partecipazione dei primi portatori di interesse regionale, cioè i cittadini, sia dei portatori di interesse specifici a tutela degli impatti socio-economici, sanitari e ambientali”, così come enunciato dall’associazione Rifiuti Zero Sicilia (RZS) nella premessa del documento in cui sono contenute le osservazioni relative al Piano Piano Regionale di Gestione dei Rifiuti presentate a maggio 2024.
E ci si può addirittura spingere a parlare del dispositivo dello stato di emergenza come strumento di compressione della democrazia, come ha ulteriormente commentato Manuela Leone, referente per la Sicilia di Zero Waste Italy. Cosa che si è verificata in maniera plateale proprio con RZS, l’unico soggetto fra quelli che hanno presentato osservazioni, a cui non è stata data nessuna contro-osservazione nella procedura di valutazione ambientale strategica, motivo per cui l’associazione ha deciso di fare ricorso al TAR e chiedere l’annullamento della procedura.
Non si conoscono le motivazioni di questa esclusione, ma va citato fra i tanti il commento di RZS secondo cui “benché la Commissione Europea osservi quale necessaria un’integrazione di parti specifiche del Piano approvato nel 2021, questo anzichè essere integrato, è stato integralmente riscritto, quindi risulta di difficile comprensione come le richieste si integrino nella nuova stesura. Osserviamo che dal nostro punto di vista il Piano va rivisto totalmente nella sua organicità […] ”. Difficile rispondere a una battuta del genere, meglio passarci sopra, e ignorare in toto il contributo di una delle più autorevoli associazioni nel campo dei rifiuti.
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La discutibile strategia della Regione Siciliana
L’associazione Rifiuti Zero Sicilia, nelle osservazioni al piano, esprime chiaramente le proprie preoccupazione verso “tale azione programmatoria, chiaramente incardinata all’appiattimento della piramide di gestione dei rifiuti, e al maggiore, se non, in rapporto percentuale, esclusivo, investimento economico a totale vantaggio dello sviluppo di impiantistica ai livelli più bassi e meno preferibili della gerarchia di gestione dei rifiuti”.
Al giorno d’oggi, dicono i dati regionali, la metà di tutti i rifiuti che si producono in Sicilia viene raccolta in maniera differenziata, e può essere avviata a recupero. L’altra metà finisce in discarica, passando per trattamenti meccanico-biologici che ne riducono la massa e la carica organica. Cosa fare dunque di questa metà che non vuole scomparire? Il Piano è impostato presentando due scenari: uno scenario “0” e uno scenario “P”. Il primo descrive lo stato dell’arte al 2022, il secondo le previsioni future, in termini di quantità di rifiuti prodotti, e di flussi organizzati per ciascuna tipologia di rifiuto. Di conseguenza il secondo scenario immagina alcune tipologie di impianti, nell’ottica di operare la cosiddetta chiusura del ciclo. Per comprendere al meglio il mondo dei rifiuti in un dato territorio, è necessario considerare che la materia non scompare, semplicemente va da qualche altra parte, e un quadro di flussi è il miglior modo per tracciare questo viaggio.
Dove sono i flussi nel piano del 2024? Il documento è stato letto e riletto, e la ricostruzione dei quantitativi di rifiuti prodotti è fumosa, non esistono diagrammi che fanno vedere le direzioni, i nodi critici, i punti dove è necessario intervenire. Sulla base di quali calcoli si è stabilito che la Sicilia abbia bisogno di due piattaforme per bruciare ogni anno 600.000 tonnellate di rifiuti di scarto (la stessa cifra, tra l’altro, indicata dal Comune di Roma per il proprio inceneritore, ndr)? A quali metodologie ufficiali e consolidate si è fatto ricorso per arrivare a questi numeri? Perché si assume come obiettivo il 65% di raccolta differenziata, cioè il minimo sindacale previsto dalle norme europee e italiane, quando si dovrebbe puntare a percentuali maggiori?
La prima contestazione mossa da Rete Zero Rifiuti RZS riguarda dunque l’assenza di un’adeguata ricostruzione dei fabbisogni impiantistici attuali, e stima dei fabbisogni futuri. Il risultato è un quadro impiantistico sovradimensionato: in sostanza si avranno impianti con più capacità di trattamento di quella di cui abbiamo bisogno. E questo squilibrio è tanto più evidente se si considera il trend demografico siciliano, che ci racconta come la popolazione sia in forte diminuzione, e che lascia presagire un calo nella produzione di rifiuti urbani. A fronte, d’altra parte, di un considerevole aumento dei rifiuti prodotti dall’incessante ed esponenziale flusso turistico. Nonostante la necessità di approfondire l’attuale sistema socio-economico e demografico siciliano, non sembra esserci una volontà da parte del pianificatore di sviluppare degli studi specifici in merito.
La seconda contestazione riguarda la scomparsa, nel Piano 2024, dell’Allegato 2 – Programma di prevenzione e monitoraggio, presente invece in quello del 2021. Il miglior modo per gestire i rifiuti è non produrli, ma nel Piano del 2024 è pressoché assente una chiara strategia di prevenzione, che rimane una mera dichiarazione di intenti, senza illustrare in maniera specifica le azioni e le modalità, e il cronoprogramma delle azioni che si intendono mettere in campo.
Infine, il punto che genera più sconcerto, riguarda propriamente la pubblicità che si fa del recupero energetico (il solito eufemismo per dire incenerimento), nonostante le argomentazioni a sfavore sono ormai così tante da riempire un’enciclopedia. E, data la mancanza di solide evidenze tecnico-scientifiche a favore, la pista che sembra spiegare meglio simili scelte è soprattutto quella degli interessi economici. Già a partire dalla vicenda SiEnergy, la società privata che un anno fa (ancora prima della nomina del Commissario e della presentazione del Piano) ha presentato un progetto per un termovalorizzatore a Catania, sembra emergere come l’opportunità di costruire queste piattaforme faccia gola a molti. Non a caso, una delle maggiori società di incenerimento rifiuti in Italia, la A2A Company, si è generosamente offerta di esprimere le proprie osservazioni al piano (quelle sì accolte nel decreto VAS), “in considerazione del ruolo che la Società Scrivente assume nel settore e quindi del contributo che può fornire alla predisposizione dello strumento pianificatorio”. Spassionati consigli quali la revisione al rialzo dei flussi in ingresso agli inceneritori, o la revisione e l’alleggerimento dei criteri di localizzazione degli impianti.
E l’esito finanziario più eclatante di questo sbilanciamente verso un’operazione residuale come il recupero energetico è messo proprio nero su bianco nel Piano: il 70% della finanza pubblica richiamata nel Piano è destinata all’operazione di recupero energetico, in fondo alla piramide, e in questo modo vengono sottratte risorse ai territori, allo sviluppo di economie di piccola scala di gestione virtuosa dei materiali.
A far da cornice a queste considerazioni specifiche, RZS osserva che l’intero Piano è caratterizzato da una generale mancanza di chiarezza nell’esposizione dei contenuti, che impedisce l’agile lettura della documentazione, sia scritta che grafica, da parte di un pubblico tecnico e non tecnico, e l’incomprensibilità che ne deriva è un fattore sostanziale di esclusione della popolazione dai fatti e dalle decisioni che riguardano la vita comune in un dato territorio.
L’elaborazione del Piano è stata affidata alla ECOMAN srl. A che serve aver speso quasi 120.000 euro per l’affidamento dell’incarico a una società privata, se comunque il risultato è un documento incomprensibile e incompleto?
E poi ci sono gli impatti ambientali
Infine va considerato il piano strettamente ambientale. Anche in questo caso è necessario provare ad andare oltre l’argomento che l’inceneritore inquina l’aria, e considerare un aspetto ben più grave: la totale assenza di una stima degli effetti (impatti) su tutte le sfere della vita umana e non umana che avvengono se le previsioni di un piano vengono realizzate. Per inciso, la procedura di Valutazione Ambientale Strategica (VAS), è dunque un modo in cui si stabilisce quali sono questi impatti, e se le idee strategiche del piano sono ambientalmente accettabili. Qualsiasi analisi seria confronta uno scenario di base (senza il Piano) e uno scenario di Piano, servendosi di indicatori ambientali e socio-economici pertinenti.
E dato il modo in cui è stata condotta la procedura, data l’impostazione carente e confusa del Piano, non è stata una sorpresa constatare che l’unica parvenza di valutazione degli impatti è costituita da un paio di tabelle, una delle quali contiene faccine colorate che ti guardano beffarde, soprattutto quelle positive: sorridono e sembrano dirti “io sono qua, e non saprai mai perchè!”. Il carattere arbitrario dei valori espressi nel Rapporto Ambientale preoccupa, perchè a conti fatti, non si è in grado di stabilire cosa succederà una volta costruiti e messi in moto gli inceneritori: come cambierà la qualità dell’aria, se e come aumenteranno i posti di lavoro, come diminuirà la produzione dei rifiuti.
Numerose sono state le prese di posizione dal basso nel territorio regionale, fra cui la campagna “Futuro in cenere”, di Rifiuti Zero Sicilia, o la piattaforma “Sicilia Pulita”, che ben descrivono la valutazione sul Piano che il mondo dell’associazionismo e movimentista ha adottato: .
Perché il mondo dei rifiuti, specie in una regione complessa come la Sicilia, non può più permettersi semplificazioni. Né continuare a ricorrere a infrastrutture obsolete come gli inceneritori. La vera economia circolare va pianificata e programmata, altrimenti è solo greenwashing.
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