Saluto di fine anno 2024, il discorso del sindaco Filippo Sacchetti

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È difficile spiegarvi quanto sia grande la mia emozione nel condurre in prima persona questo momento importante per Santarcangelo, dopo aver assistito per diversi anni ai saluti di fine anno da qualche passo più indietro.

Sono contento e orgoglioso di aver raccolto anche in questo il testimone da Alice Parma, che, dopo 10 anni da nostra sindaca, è stata eletta appena un mese fa a rappresentarci nell’assemblea legislativa della Regione Emilia-Romagna.

Un riconoscimento importante figlio anche dell’importante e faticoso lavoro degli ultimi mandati.

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Sono il primo sindaco di Santarcangelo eletto dopo il Covid. Nel 2020 non avremmo mai neanche lontanamente immaginato le conseguenze e i cambiamenti sociali che avrebbe scatenato, che non si traducono nelle sole accortezze imposte da una pandemia sanitaria. Anzi.

Sono cambiati i nostri bisogni sulla salute e alcune prospettive legate alla cura, ma si sono rivoluzionate anche e soprattutto le abitudini sociali e le condizioni economiche, che ancora oggi creano forti diseguaglianze nella nostra società. Un tema che investe anche la transizione ecologica, che a sua volta necessita di attenzione sul fronte dell’equità per non rischiare di renderne accessibili i maggiori benefici solo a chi ha disponibilità economiche.

Come se non bastasse, è scoppiata una guerra alle porte dell’Europa e con la guerra sono aumentati il costo dell’energia, delle materie prime e, a caduta, di tanti prodotti che hanno visto lievitare prezzi mai più scesi.

Da ottobre è tornato poi ad accendersi l’annoso scontro armato tra Israele e Palestina, un conflitto non ad armi pari e che nessun grande responsabile dell’equilibrio geopolitico del mondo si sta prendendo veramente la responsabilità di fermare.

A Gaza, anche in questo momento, in questi giorni che precedono il Natale, non c’è pace, c’è un massacro indistinto in corso che sta sterminando una popolazione, senza una possibile conclusione sensata e senza il minimo parametro di un obiettivo militare. Si stanno cercando responsabili di atti terroristici fra la popolazione, come se fossero tutti potenziali colpevoli di ciò che sta avvenendo, e si sta alimentando un clima che non potrà in questo modo portare mai alla PACE.

Sono orgoglioso, e voglio dirlo anche in questa occasione, che a Santarcangelo si sia alimentata una coscienza collettiva forte su Gaza. Sono contento di rappresentare una comunità che ha trovato le parole per indignarsi e per scendere in piazza più volte durante l’anno per dire basta a questo conflitto, basta alla guerra, basta alla violenza, e per chiedere con tutta la nostra voce che ci si adoperi per aprire canali di tregua.

Sono orgoglioso che la ong più attiva a Gaza in questo territorio, EducAid, abbia scelto Santarcangelo per consegnare il suo primo Premio per la Pace, attribuito sabato scorso proprio in questa sala al dottor Roberto Scaini.

Sono orgoglioso che quella manifestazione sia stata aperta da una Camminata per la pace organizzata per le vie del paese dalla Consulta del volontariato, imprimendo un chiaro e forte segno che ognuno può fare la propria parte. Che la pace è un bene di tutti. E che tutti dobbiamo fare tutto quello che possiamo, quando in gioco ci sono valori come questi.

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Sono arrivato qui con questo portato, con questa consapevolezza che il nostro è un mondo in fortissimo cambiamento, con guerre sempre più tecnologiche e uomini che combattono per un profitto che distrugge la natura.

Un mondo difficile? Forse sì, ma pieno anche di opportunità e di speranza. Un mondo che è un po’ come un paese. E che ci permette di poter vedere anche da qui, da questa nostra piccola finestra sul pianeta, la possibilità di crescere in un luogo che ci dà ancora la possibilità di essere felici.

Nella “Luna e i falò”, Cesare Pavese scrive che “un paese ci vuole, non fosse per il gusto di andarsene via…”. Una frase ripetuta da Paolo Nori, il 13 novembre, presentando a Santarcangelo il suo nuovo libro: il libro di un celebre scrittore italiano ispirato in ogni sua pagina a Raffaello Baldini. Quando gli ho chiesto di firmarmelo, mi ha guardato negli occhi e mi ha detto “sindaco, voi un paese ce l’avete”.

Ecco credo che lì stia il significato di quello che mi ha portato a diventare primo cittadino.

Qui ci siamo arrivati con quel “Siamo Santarcangelo” che esprime il senso, la volontà, la possibilità e la grandissima voglia di sentirci ancora comunità. Quello che noi dobbiamo e vogliamo essere, una comunità unita, forte, creativa, che pensa e discute, che non si fa trascinare dall’omologazione e fa della cultura e del sapere un suo strumento di riscatto sociale.

Santarcangelo è una città orgogliosa perché tiene stretti i propri valori, custodisce le sue storie, è ancorata alle proprie radici ma non ha paura di aprirsi alle nuove idee e a quelle prospettive con cui ci si confronta a livello globale.

La tensione che qui esiste tra il globale e il locale, la tradizione e l’innovazione, la consuetudine e la sperimentazione, mantiene viva la produzione di contenuti che saranno a disposizione di tutti e, spero, soprattutto delle nuove generazioni.

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Questa è la sfida che abbiamo deciso di darci, con una forte volontà di manutenzione e contemporaneamente di miglioramento della nostra città. Con una visione chiara e una traiettoria ben definita.

Nei prossimi anni la nostra identità segnerà un tratto fondamentale della capacità di farci riconoscere dal mondo attorno a noi. Sia che si parli di contesto territoriale che internazionale.

In questi sei mesi ho girato tanto, sono passato dalla provincia alla nostra sister city del New Hampshire, Portsmouth, dal confronto con le oltre 300 Cittaslow in giro per il mondo da cui a più riprese abbiamo ricevuto riconoscimenti e attestazioni. E vi posso assicurare che quello che siamo, che abbiamo da raccontare, la passione che mettiamo in tutto sono l’anima di questa città ed è un’anima che piace.

Spesso basta dire “sono di Santarcangelo” per strappare un sorriso gentile a chi si ha davanti.

Essere di Santarcangelo ha un lascito così grande nelle persone che i figli dei figli emigrati in America nei primi anni del ‘900 sono venuti a cercarci. Abbiamo instaurato rapporti grazie ai racconti tramandati loro dai nonni o al sapore del brodo di gallina che stava per ore sul fuoco la domenica.

Anche per questo la nostra visione vuole mantenerci aperti e in confronto con il mondo là fuori: il mondo che crede in uno stile di vita “slow”, lento, dolce, nel vivere con e dentro le comunità.

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In questo si inserisce a pieno titolo anche il carattere internazionale della nostra dimensione culturale. A partire dal Festival del teatro in piazza, il festival più vecchio con il pubblico più giovane d’Italia. Proseguendo con i festival di cinema. E mi piace ricordare la collaborazione attivata quest’anno con la Stradivari Academy per il concerto di fine Campus musicale realizzato in agosto alla Rocca.

Proprio in questi giorni è arrivato e sta arrivando nelle vostre case un progetto che descrive la visione strategica per la cultura del futuro, con luoghi, contenuti e contenitori che si intrecciano nella grande produzione santarcangiolese.

E questa cultura dal respiro internazionale abbiamo anche l’ambizione di metterla – permettetemi la battuta – letteralmente a terra. A Santarcangelo esiste una manifestazione chiamata “Cibo come cultura” ed è uno dei filoni che andremo a percorrere sempre più nei prossimi anni. Il valore della terra, il recupero delle tradizioni, il presidio della campagna e dell’agricoltura. Abbiamo una grande vocazione agricola che va riscoperta e valorizzata, sotto l’aspetto della produzione, della trasformazione e dell’ospitalità.

La campagna dei “cipolloni”, a cui abbiamo restituito tutto quello che ci ha dato con l’onore di un riconoscimento importante come il Presidio Slow Food della nostra Cipolla dell’Acqua, una varietà che era andata perduta ed è stata recuperata da un gruppo di appassionati e testardi produttori, agricoltori ed esperti che ci hanno permesso di arrivare quest’anno sui banchi di Terra Madre, il salone del gusto di Slow Food a Torino, la vetrina più importante della biodiversità mondiale.

La nostra cipolla è l’unico presidio della Provincia, tanto per intenderci.

Oltre a voler rafforzare sempre più i valori di una città slow e di una città della cultura, ci siamo dati anche l’ambizioso obiettivo di diventare la città dei 15 minuti.

La città dei 15 minuti non è solo un parametro numerico, il calcolo del tempo di percorrenza e di movimento sulle strade, ma l’idea organica che la rapidità e la qualità delle connessioni equivalgano a un miglioramento delle relazioni, dei servizi, dell’ambiente.

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La città dei 15 minuti è l’espressione moderna che unisce i Paesi europei che vogliono ambire a una migliore qualità della vita, più sostenibile dal punto di vista sociale e ambientale.

Per questo il prossimo anno ci spenderemo fortemente per costruire, rappresentare e consolidare una rete che parta appunto dalle vie di collegamento e connessione dei luoghi che vogliamo sempre più a impatto zero per l’ambiente. Sia dentro che fuori il centro città. Il 2025 sarà l’anno della configurazione della rete di collegamento di piste ciclabili centro-frazioni: andremo infatti ad aprire l’intero tracciato della Trasversale Marecchia, dallo stadio fino all’incrocio con la Marecchiese a San Martino dei Mulini, passando per il ponte sul Marecchia, che, volendo, dà la possibilità di scendere sulla ciclabile sulle sponde del fiume e proseguire verso mare o salire verso monte per la bellissima Valmarecchia.

A Sant’Ermete sarà invece finalmente realizzata la ciclabile su tutta la via Casale, opera attesa credo da almeno 20 anni. Apriremo a breve il collegamento ciclabile lungo tutta la via San Vito e in primavera verrà finita la riqualificazione della ciclabile sulla Santarcangiolese, aprendo su quello stesso tratto due nuovi parchi in meno di un anno: il Macabucco inaugurato in aprile e un secondo a San Michele, consegnando ai santarcangiolesi quasi 20.000 metri quadri di nuove aree verdi.

Infine, due progetti a cui tengo e a cui lavoro da tanti anni che vedranno la luce in modo organico: il primo è la ciclabile sulla via Emilia che dal confine di Santa Giustina arriverà in un’unica linea retta fino al parco Francolini portando una riqualificazione e una ricucitura urbana in sicurezza, con 5 nuovi attraversamenti protetti, a una delle ferite della città che è appunto la via Emilia in quel punto. A tal proposito, apro una parentesi e cito con orgoglio due infrastrutture verdi definite lungo il percorso in questi anni: la vasca di laminazione a Santa Giustina che aiuta a contenere i danni dagli allagamenti durante le piogge, e il “Bosco per la città” che contribuisce a fornire aria pulita allo svincolo della zona produttiva, impattando positivamente sugli effetti negativi dell’inquinamento.

Il secondo progetto, che incrocia tutte queste arterie verdi, è la costruzione della ciclabile sulla ex ferrovia Santarcangelo-Urbino. Una ferrovia mai esistita, un treno mai passato, un’infrastruttura immaginata ma non realizzata, che ha lasciato qualcosa di più di una fantasia: un tracciato salvato dall’intelligenza di chi ci ha preceduto, ben sette caselli che ne segnavano le fermate e le ripartenze. Noi riusciremo ad attivare una prima linea ciclabile che dalla stazione arriva all’incrocio con via Celletta dell’Olio. Sono alcuni km, non è tutta, ma ci prepariamo intanto ad arrivare fino alla fabbrica, alla ex Buzzi Unicem, che a breve andremo ad acquisire al patrimonio comunale.

La cosa che trovo ancora più affascinante della trasformazione di questa infrastruttura verde in un luogo di comunità e sostenibilità è anche l’impatto sociale dei due interventi in corso su due di questi caselli, che diventeranno sempre nel 2025 spazi sociali vissuti. Uno per un progetto di housing first per persone senza fissa dimora, l’altro per persone con disabilità che progettano la propria autonomia abitativa. La ex ferrovia passa fra l’altro anche vicina a LABO380, che molti si chiedono cosa sia. È il nuovo centro giovani. Nuovo solo per noi in realtà, perché è dentro la vecchia scuola del maestro Federico Moroni. Leggendo la sua storia, penso sinceramente che ne sarebbe fiero, essendo stato un maestro elementare (le cui tecniche di insegnamento poi negli anni 60/70 sono state seguite e studiate in diverse parti del mondo) che ha educato alla creatività, lasciato i suoi studenti liberi di esprimersi e apprendere attraverso il disegno e il rapporto con la natura.

Lì sta nascendo qualcosa, magari non sappiamo neanche bene cosa sia perché abbiamo lasciati liberi i ragazzi di occuparsene e i futuri inquilini di deciderlo, ma sono sicuro che dalla ex scuola del Bornaccino, oggi LABO380, qualcosa di buono verrà fuori.

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Anche su questo la solidità del nostro tessuto sociale sta dando effetti straordinari di innovazione. In questi giorni abbiamo infatti inaugurato un progetto di autonomia abitativa per neo maggiorenni nell’appartamento confiscato alla criminalità organizzata, mentre nella “Casa di Michela” è partito il primo progetto in Regione di autonomia abitativa incentrato sul “Dopo di Noi”.

Al centro di questa città connessa ci sono i servizi, le scuole, l’ospedale, la biblioteca, il cinema. C’è un “opificio”, un luogo di lavoro in cui la materia prima si trasforma in prodotto finito. E in questo straordinario processo ci sono le persone. Quindi non si può agire in serie, ma servono l’attenzione e la cura di un artigiano.

Tra i servizi segnalo la prospettiva straordinaria che avrà la “Cittadella dello sport”, il progetto di rilancio della zona sportiva in chiave di eccellenza e riqualificazione delle strutture con la costruzione di un nuovo complesso polifunzionale per ospitare tutti gli sport al chiuso, il rifacimento dei campi da calcio e da tennis, i percorsi outdoor e l’inclusività della disciplina sportiva. Non a caso quest’anno abbiamo scelto di esaltare anche nel giorno delle premiazioni le nostre eccellenze sportive, per far vedere quanto sport, comunità e benessere possono stare insieme e far crescere la qualità della nostra città. Grazie anche a servizi centrali come le scuole e l’ospedale.

Lasciatemi ringraziare qui anche i medici, gli operatori sanitari, i professionisti che ogni giorno danno l’anima nel nostro presidio “Achille Franchini” e tutti gli insegnanti e il personale scolastico che si prendono cura dei nostri ragazzi. Come comunità abbiamo sempre lottato per la salvaguardia del nostro ospedale, e l’Azienda Sanitaria della Romagna guidata dal dottor Tiziano Carradori ci ha riconosciuto questo straordinario valore.

Rivolgo un plauso anche alla spinta che siamo stati in grado di dare per il rafforzamento dei primariati di Medicina e Chirurgia, oggi dotati di strutture robuste e solide e nelle mani di grandi professionisti come i dottori Luca Morolli e Gianluca Frisoni. E ancora i lavori alle strutture, i servizi collegati, l’implementazione dei servizi della Casa della Comunità a cui stiamo lavorando con il dottor Tamagnini.

Spero di essere riuscito a tratteggiare un po’ la prospettiva su cui stiamo cercando di camminare insieme e la traiettoria dei prossimi anni. Dopo aver raccontato quello che siamo, mi sento di raccontare anche qualcosa di mio.

Un mese dopo essere stato eletto, iniziava il Festival. La mattina del 5 luglio in cui dovevamo trovarci in piazza per il brindisi inaugurale della manifestazione, ho ricevuto una notizia terribile: due santarcangiolesi sono stati trovati annegati nel Po. La cosa mi ha sconvolto e ho provato a mettermi subito in contatto con i Carabinieri, per chiedere informazioni su una tragedia simile.

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Per ore è stato difficile avere risposte e più passava il tempo, più il fatto assumeva i contorni della cronaca nera. Non era stato un incidente. Finché, la sera, la vicenda ha iniziato a essere chiara. Si trattava quasi certamente, come poi si è rivelato, di un omicidio-suicidio.

Le nostre operatrici dei Servizi sociali si sono messe all’opera fin dal primo minuto e voglio ringraziarle pubblicamente per quello che hanno fatto e per come l’hanno fatto in quelle ore. Le parole in certi momenti vengono a mancare, credetemi, la tristezza si alterna all’angoscia, e poi ti assale il vuoto, riempito solo dai media, dal diffondersi della notizia, la ricerca spasmodica, quasi perversa di dettagli e particolari che alimentano la curiosità. Giornali, tv, tutti a voler sapere quello che ancora non si poteva sapere. Un sentirsi chiedere continuamente chi fossero queste persone (“Ma sono di Santarcangelo? Si conoscono? Di chi erano figli, amici o parenti?”). Un “assalto” da cui è difficile difendersi.

Cosa rispondere? Cosa dire? Cosa fare? Come deve comportarsi il sindaco in questi casi? Non lo sapevo. Non lo si sa mai a fondo, probabilmente. Tutto troppo confuso e frastornato per sapere e poter dare ogni tipo di risposta.

Vi voglio confessare che ho avuto paura. Paura che fossimo soli, ognuno a gestire singolarmente questa tragedia, che non fossimo in grado di fare abbastanza. Paura che la necessità di sapere i nomi e cognomi ci spingesse a non generare una reazione collettiva. Che quanto accaduto non trovasse elaborazione in un paese felice in cui va tutto bene. Che fosse più facile andare oltre e lasciarsi tutto alle spalle che guardare in faccia la realtà triste.

Poi, a un certo punto, ci si raccoglie in ciò che si sente giusto fare. Era giusto chiedere ai santarcangiolesi di essere lì, in piazza, nel centro di quella comunità che non può non reagire insieme, non può dimenticare, non potrà mai lasciare soli due ragazzi di neanche diciotto anni. Quel 17 luglio siamo scesi in piazza. In più di 500.

E lì c’è stata la città. Lì inermi, impotenti e in silenzio, abbiamo fatto tutto quello che abbiamo potuto fare. Prometterci che fatti così in questa città non devono accadere più. Per Lorena, per tutte le altre.

Abbiamo seminato segni di presenza nella celebrazione del 25 novembre, Giornata internazionale contro la violenza sulle donne, con 5 nuove panchine rosse in tutta la città comprese le frazioni, cerchiamo di tenere alta l’attenzione e la cultura del rispetto che le persone si devono. In quanto persone prima di tutto.

Proprio “Rispetto” è stata scelta dalla Treccani quale parola simbolo del 2024 e noi, da quella piazza, dobbiamo cercare ogni giorno di farla nostra.

Oggi siamo qui per i saluti di fine anno, in questo periodo che abbiamo ribattezzato “Nei luoghi dell’anima” per collegare il Natale che è un luogo dell’anima universale a un luogo dell’anima che è Santarcangelo, il nostro paese, i suoi borghi, la sua aria e la sua gente. Il Natale è il momento in cui ci si ferma e ci si raccoglie, con la famiglia, con sé stessi, con il calore di un momento comunque ancora sacro, e i luoghi dell’anima sono anche il titolo del Festival di cinema in memoria di Tonino Guerra che si è chiuso qualche giorno fa. È tutto in connessione, con collante quella cultura che ancora ci rende vivi e presenti.

Credo fosse quindi giusto per tutte le ragioni che ho cercato di evidenziare fino a qui, che il più importante riconoscimento della nostra città, l’Arcangelo d’Oro, andasse a chi ha messo l’anima per tutta la vita in quello che ha fatto. A maggior ragione se quel tutto è sempre stato rivolto agli altri. E queste persone, spesso, sono le meno note alle cronache. Sono quelle che si conoscono di meno, ma che lavorano di più. Sono quelli che con la forza d’animo non si abbattono e combattono per gli altri, ma anche per cambiare un po’ il sistema e contribuire quindi a migliorare la vita di tutti.

La scelta dell’Arcangelo d’Oro è Guido Fontana, che si definisce operatore sociale ma sappiamo che è molto di più. È un formatore per i formatori, un maestro per molti che oggi fanno i maestri. Tanti in lui riconoscono anche un esempio di condotta di vita, una capacità testarda e anche burbera di abbattere steccati, superare confini, forzare tutti quegli orpelli che spesso complicano il riuscire a fare qualcosa di buono.

Guido è sempre stato un moltiplicatore di bene e sono felice, lo dico col cuore, che fra i simboli della nostra città possano esserci persone come lui.

 

L’Arcangelo d’Oro a Guido Fontana e tutte le onorificenze cittadine consegnate nel corso del saluto di fine anno



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