Salva-Milano, i tormenti del Pd che punta a cambiare la legge al Senato

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Maurizio Giannattasio e Maria Teresa Meli

Si allungano i tempi per l’approvazione della legge. Il pressing del sindaco Sala: «Il quadro normativo non è per nulla chiaro»

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Galeotta fu la casa nel cortile di piazza Aspromonte. Parte da lì, nel 2022, la slavina giudiziaria che ha investito l’urbanistica milanese: dalla definizione di che cosa è un cortile e se è possibile costruire un edificio che superi in altezza quello demolito grazie alla semplice presentazione di una Scia, la Segnalazione certificata di inizio attività. 

Da quel giorno le inchieste della magistratura si sono allargate a macchia d’olio. Quelle attualmente conosciute sono 7, ma le pratiche acquisite dalla Procura sono una trentina e per autotutela il Comune ne ha «congelate» 150 in attesa di capire cosa succederà del Salva Milano, la norma che fornisce «l’interpretazione autentica» delle leggi urbanistiche che si sono accumulate nei decenni.




















































Beppe Sala anche sabato, dalle colonne del Foglio, ha cercato di sollecitare quella normativa che sbloccherebbe la situazione nella sua città. Ma nel Pd come nella maggioranza si sta facendo strada l’ipotesi di modificare la legge che, a fine gennaio, approderà in commissione al Senato. Il che significa che il «Salva Milano» dovrà poi tornare alla Camera, dove era stato approvato in ottobre dal centrodestra e dai dem. Questo comporterà un allungamento dei tempi, che è proprio quello che Sala voleva evitare. Il sindaco di Milano ne ha parlato nei giorni scorsi sia con Elly Schlein che con il capogruppo dem a palazzo Madama Francesco Boccia. 

Ma la strada, che sembrava in discesa dopo il voto alla Camera, si sta rivelando come la Cima Coppi dove ognuno gioca la propria partita politica. Tanti i mal di pancia. Nel Pd, strattonato dai 5 stelle e con un pezzo della base milanese in rivolta. E anche nel centrodestra dove in molti si chiedono perché dover tirare via le castagne dal fuoco a Sala. Lo fa capire il presidente del Senato, Ignazio La Russa: «Più che un Salva Milano è un Salva Sala».

L’ordine di scuderia è: aspettiamo di capire come votano tutti i partiti che a Milano sostengono Sala,poi si decide. Da qui la preoccupazione, o per dirla con le sue parole, «l’incazzatura» del sindaco che da una parte chiede lealtà ai suoi e dall’altra rivendica quello che è stato fatto in materia d’urbanistica sia da lui sia dal suo predecessore Pisapia «senza che nessuno in questi anni si sia mai alzato per dire che qualcosa non va». Lo ribadisce nella lettera al Foglio dove bolla come «orrenda» l’etichetta di «Salva Milano» perché «Milano non ha bisogno di essere salvata, ma ha bisogno di agire in un quadro normativo chiaro e oggi non lo è per nulla» e risponde punto su punto ai rilievi della magistratura.

Nel Pd prevale l’imbarazzo. Per uscire dall’angolo si punta alle modifiche. Pierfrancesco Majorino è stato uno dei primi a indicare la strada: «Si può trovare un punto d’equilibrio — è il suo ragionamento — verificando la possibilità di alcune modifiche della norma, oppure accompagnandola a vincoli inequivocabili con la realizzazione di una legge nazionale di riordino della materia urbanistica». Non che nel Pd non si rendano conto che il dietrofront rispetto al voto della Camera non sia esattamente indolore perché, come dice Alessandro Alfieri, «c’è la consapevolezza che non si può sbagliare. È una partita delicata e importante per tutto ciò che rappresenta Milano per il centrosinistra». «Una partita — commenta un altro senatore dem — che finirà con la sconfitta del centrosinistra alle prossime elezioni di Milano».


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