La Sardegna ha limitato i parchi eolici e solari all’1 per cento del territorio

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Mercoledì il consiglio regionale della Sardegna ha approvato una legge per individuare le aree idonee alla costruzione di impianti per la produzione di energia da fonti rinnovabili, principalmente eolici e solari. I criteri individuati dalla maggioranza di centrosinistra sono molto rigidi: gli impianti potranno essere costruiti solo sull’1 per cento del territorio. L’approvazione è arrivata al termine di un lungo dibattito che ha coinvolto la politica sarda e la popolazione che si è mobilitata per opporsi all’installazione di pannelli solari e turbine eoliche. Negli ultimi mesi sono state organizzate molte manifestazioni e i comitati avevano proposto una legge ancora più restrittiva di quella approvata dal centrosinistra, la cosiddetta legge di Pratobello.

All’inizio dell’anno, durante la campagna elettorale che l’ha portata alla presidenza, Alessandra Todde – esponente del Movimento 5 Stelle – aveva promesso una moratoria sull’installazione di nuovi impianti. Dopo la sua elezione la moratoria è stata uno dei primi provvedimenti della sua maggioranza, sostenuta anche dal Partito Democratico. La legge approvata dal Consiglio regionale lo scorso 2 luglio ha sospeso per 18 mesi la realizzazione di nuovi impianti gestiti dalle aziende energetiche, in attesa dell’approvazione della legge sulle aree idonee.

La nuova legge ha introdotto una serie di criteri e vincoli che valgono sia per gli impianti nuovi sia per quelli che hanno già iniziato le procedure di autorizzazione. Di fatto non si potranno costruire parchi eolici e solari in quasi tutto il territorio perché la Sardegna è ricca di parchi naturali e zone di interesse naturalistico e storico. Disegnando sulla mappa tutte le aree che rientrano nei vincoli decisi dalla Regione ne rimangono libere solo poche, che corrispondono a circa l’1 per cento del territorio.

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Le aree della Sardegna in cui non si possono costruire impianti per la produzione di energia da fonti rinnovabili, che comprendono quasi tutto il territorio (ogni colore rappresenta uno dei diversi criteri che escludono la possibilità di costruire impianti)

Secondo Carlo Comandè, avvocato dello studio legale Cdra che nei mesi scorsi ha presentato alcuni ricorsi contro la moratoria, queste nuove regole sono in contrasto con la legge europea e per questo nei prossimi mesi saranno presentati molti ricorsi al tribunale amministrativo regionale (TAR). «Questa normativa contrasta con il diritto comunitario e con la disciplina italiana di applicazione della direttiva comunitaria. Quindi, comunque, ci sono profili di incostituzionalità molto importanti», ha detto al Sole 24 Ore.

Questo tema quindi continuerà a monopolizzare il dibattito politico, come già avvenuto negli ultimi due anni. Tutto è cominciato con una serie di semplificazioni introdotte dal governo di Mario Draghi, che hanno permesso di presentare richieste per connettere alla rete elettrica nazionale gli impianti per la produzione di energia da fonti rinnovabili: queste richieste sono in sostanza il primo passo per poter presentare un progetto e realizzare un nuovo impianto.

In Sardegna sono state create centinaia di società, che hanno acquisito i diritti di superficie dei terreni dove costruire gli impianti. Per la maggior parte sono campi incolti, poco redditizi e di cui la regione abbonda. Una volta acquisito, il diritto di superficie può essere messo sul mercato, venduto al miglior offerente a un prezzo molto maggiore rispetto all’investimento iniziale e senza nessun tipo di controllo da parte dei comuni interessati o della Regione Sardegna.

La principale conseguenza di questa liberalizzazione è stato un aumento notevole delle richieste di connessioni alla rete elettrica. Nel giro di due anni Terna, la società pubblica che in Italia si occupa di gestire la rete, ha ricevuto circa 800 richieste di connessione di nuovi impianti, pari a più di 50 gigawatt di potenza. Sono molti di più rispetto agli obiettivi fissati dal governo e dall’Unione Europea con il piano contro il riscaldamento globale chiamato Fit for 55: secondo le quote decise dal governo, la Sardegna dovrebbe installare 6,2 gigawatt di potenza entro il 2030.

Sia la moratoria che la legge sulle aree idonee approvata mercoledì sono state criticate dalle aziende, ma anche dai sostenitori delle rinnovabili – tra cui l’associazione ambientalista Legambiente – che ritengono la politica della Sardegna in contrasto con la necessità di limitare l’utilizzo delle fonti fossili sfruttando sempre di più le fonti rinnovabili di energia, come il sole e il vento. Todde ha detto in più occasioni di non essere contraria alla transizione energetica, ma di aver agito per evitare le speculazioni. «Quando siamo arrivati al governo della Sardegna, abbiamo trovato un territorio spaventato e abbiamo respirato la preoccupazione dei sardi rispetto alla speculazione energetica», ha detto Todde.

La posizione di Todde è invece considerata troppo moderata da parte dei comitati che si sono mobilitati contro l’installazione degli impianti. Mercoledì fuori dalla sede del consiglio regionale alcuni rappresentanti dei comitati hanno protestato contro l’approvazione della legge sulle aree idonee che non considera le richieste contenute nella proposta di legge chiamata Pratobello, sostenuta da oltre 200mila firme. La proposta dei comitati puntava a fermare anche i cantieri in corso a eccezione delle comunità energetiche e degli impianti agrisolari sui tetti delle aziende agricole.

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Il coordinamento dei comitati sostiene che la transizione energetica debba partire dalle comunità locali con un processo decisionale più trasparente e un coinvolgimento della popolazione, che la produzione di energia sia proporzionata ai reali fabbisogni della Sardegna, che sia sostenibile e quindi rispettosa dell’ambiente e delle attività agricole e che sia diversificata privilegiando gli impianti piccoli e medi.



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