Svizzera e Unione Europea tra ideologia e interessi nascosti – NAUFRAGHI/E

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Le relazioni tra la Svizzera e l’Unione Europea (UE) rappresentano un tema cruciale e controverso nella politica elvetica. Negli ultimi decenni, i negoziati bilaterali hanno dato vita a una serie di accordi che regolano settori fondamentali come il commercio, la mobilità, e la ricerca scientifica. Tuttavia, le trattative e gli accordi raggiunti vengono spesso valutati con affermazioni altisonanti: si parla di rispetto dell’indipendenza, di salvaguardia della democrazia diretta, e di protezione contro una presunta minaccia derivante dall’assunzione automatica, seppur limitata, del diritto europeo. Ma quanto di questa narrativa è reale? E quanto è invece il risultato di interessi egoistici mascherati da visioni ideologiche?

L’ombra degli interessi nascosti

Dietro le dichiarazioni di principio che animano il dibattito pubblico, si stagliano interessi ben più tangibili e prosaici. La lotta contro l’avvio di nuovi negoziati per un terzo pacchetto di accordi bilaterali (i cosiddetti “Bilaterali III”) non è guidata esclusivamente da una preoccupazione per la sovranità nazionale o per la democrazia diretta. Al contrario, essa è alimentata da un ristretto gruppo di miliardari e cerchie legate al mondo della finanza speculativa. Questi attori, con il loro potere economico e mediatico, contribuiscono a plasmare una narrativa che, pur evocando principi alti, nasconde interessi egoistici volti a preservare i propri privilegi fiscali e commerciali.

I casi Stadler Rail e EMS Chemie e l’industria svizzera

Esempi emblematici di queste dinamiche sono rappresentati da Stadler Rail e EMS Chemie, aziende leader nel settore ferroviario e chimico, controllate da Consiglierei nazionali dell’UDC che hanno delocalizzato parte delle loro attività commerciali in Europa per sfuggire ai problemi che l’industria svizzera avrebbe potuto incontrare in caso di deterioramento delle relazioni con l’UE. Un comportamento che rivela come, dietro il patriottismo sbandierato, vi sia una strategia ben precisa: minimizzare i rischi per il proprio business anche a costo di contraddire la narrativa ufficiale.

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Il brand “Swissness” e le oasi fiscali

Non meno significative sono le manovre del mondo finanziario. Sotto il marchio “Swissness”, molti attori di spicco hanno già delocalizzato parte delle loro attività in oasi fiscali, in parte, paradossalmente rispetto alla narrativa ufficiale, all’interno dell’EU (Lussemburgo e Monaco). Questa strategia è dettata dalla paura di una possibile armonizzazione fiscale con l’UE, che limiterebbe i privilegi di cui godono attualmente. In altre parole, dietro l’opposizione ai “Bilaterali III” vi è il timore concreto di dover abbandonare un sistema di competizione fiscale che ha finora favorito questi gruppi a scapito di una maggiore equità.

La retorica ideologica e la realtà

Purtroppo, i discorsi ideologici hanno un forte impatto sull’opinione pubblica. Le argomentazioni basate sulla protezione della sovranità e dell’identità nazionale fanno spesso più presa rispetto a constatazioni pragmatiche sui costi e benefici degli accordi con l’UE. Ma queste narrative nascondono una domanda fondamentale: davvero la Svizzera è l’unico paese in Europa in grado di difendere i propri interessi? Oppure esistono esempi che dimostrano il contrario?

Austria e Lussemburgo: modelli alternativi

Un confronto con paesi come l’Austria e il Lussemburgo offre spunti interessanti. Questi Stati, pur essendo membri dell’UE, non hanno visto diminuire il loro tenore di vita o la loro indipendenza. Al contrario, hanno saputo sfruttare l’adesione all’UE per sviluppare soluzioni autonome in settori cruciali, come quello delle migrazioni. Questi esempi dimostrano che l’Europa è ben lontana dall’essere un blocco monolitico. Al contrario, offre spazi di autonomia che possono essere sfruttati da chi ha la volontà di negoziare con intelligenza.

Un appello alla lucidità

Alla luce di queste considerazioni, è fondamentale superare la retorica ideologica e affrontare la questione delle relazioni con l’UE in maniera pragmatica. La narrativa promossa da un ristretto gruppo di miliardari e finanziatori speculativi non può rappresentare l’interesse generale del Paese. La Svizzera, con la sua tradizione di democrazia diretta e il suo ruolo di mediatore internazionale, ha tutte le risorse per negoziare accordi che rispettino la sua sovranità senza rinunciare ai benefici derivanti da una stretta collaborazione con l’UE. 

La vera sfida consiste nel riconoscere che l’interdipendenza è una caratteristica inevitabile del mondo moderno. Pensare di poter restare isolati o di essere gli unici “furbi” in Europa è un’illusione. Solo attraverso un confronto aperto e onesto si potrà costruire un futuro sostenibile per la Svizzera e per le sue relazioni con l’UE. Tanto più che anche noi subiamo le conseguenze dell’invecchiamento della popolazione e della denatalità e che quindi la scelta della cooperazione è in qualche modo obbligata, se vogliamo preservare il nostro benessere.

Nell’immagine: propaganda contro “il previsto accordo quadro 2.0” con l’UE, in bella vista sulla pagina personale della miliardaria Magdalena Martullo-Blocher, azionista di maggioranza della EMS-Chemie. L’illustrazione riproduce il “Mangiatore di bambini” della celebre fontana di Berna, che secondo gli esperti della città ha anche connotazioni antisemite



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