La messa a sistema delle competenze strategiche e delle eccellenze presenti sul territorio lombardo è la “prima missione” dell’assessore regionale Alessandro Fermi (Lega). Comasco, avvocato, Fermi fa politica da quando era ventenne. Sindaco di Albavilla nel 2009, poi sottosegretario alla presidenza di Regione Lombardia nel 2015, presidente del consiglio regionale a seguito delle elezioni del 2018, dal 2023 è assessore all’Università, Ricerca, Innovazione nella seconda giunta Fontana.
In questa conversazione, Fermi spiega al Sussidiario le principali sfide che lo vedono impegnato, a cominciare dalla lunga consultazione degli atenei lombardi, perno naturale dell’innovazione regionale e italiana. Dal sistema universitario al trasferimento tecnologico, dagli Irccs alle Pmi, ecco cosa c’è scritto nell’agenda di Fermi.
Con all’orizzonte un obiettivo politico, necessario perché funzionale: l’autonomia differenziata. “Chi l’ha compresa – spiega Fermi – sa che non porterà svantaggi a nessuno e nemmeno un aumento della spesa da parte dello Stato centrale, ma consentirà invece di responsabilizzarci su alcune materie importanti. È la vera riforma che consentirà di mettere realmente a sistema le eccellenze lombarde”.
Assessore Fermi, lei si sta recando di persona a incontrare i rettori e i ricercatori. Ci dia un quadro della situazione.
In questo 2024 ho voluto fortemente organizzare un tour in tutti gli atenei lombardi. “Un viaggio tra le eccellenze. Università e Regione Lombardia si incontrano”: questo il titolo scelto per rappresentare al meglio un momento di confronto e crescita reciproca. Arrivato quasi alla fine di questo viaggio – mancano solo Politecnico e Bocconi – posso dire di aver avuto l’impressione che il sistema universitario lombardo rappresenti davvero un’eccellenza nazionale. Lo confermano anche i numeri: Regione Lombardia ospita il maggior numero di studenti universitari italiani, oltre 330mila, di cui l’8% sono stranieri, e 15 università. Il nostro sistema universitario è il più attrattivo d’Italia.
Quali sono le principali istanze che stanno emergendo e cosa può fare la Regione?
Gli atenei lombardi hanno necessità di continuare a essere attrattivi, in Italia e all’estero. Per ottenere questo risultato è importante soprattutto che possano offrire ai giovani tecnologie all’avanguardia e al passo con i tempi. Da inizio legislatura mi sono impegnato affinché venissero aumentate le risorse messe a disposizione per sostenere la ricerca. Investire in quest’ambito è fondamentale.
E che cosa ha messo in campo?
Due nuove misure, una delle quali totalmente dedicata alle università, per l’ammodernamento tecnologico e dei centri di ricerca. Abbiamo dunque presentato agli atenei una manifestazione di interesse, che ha riscosso un grandissimo successo: abbiamo registrato l’adesione dell’87% degli atenei lombardi (tutti gli 8 pubblici e 5 privati), presentando un totale di 50 fabbisogni, un risultato che va ben al di là di ogni più rosea aspettativa. Nei prossimi mesi, dunque, uscirà un bando ad hoc, che cuberà circa 40 milioni di euro e che, visto il successo, vorrei far diventare strutturale.
Il “trasferimento tecnologico” è una parola magica che attende puntualmente di essere riempita. Cosa dice il programma strategico regionale e come state investendo le risorse?
Ritengo che sia fondamentale che il trasferimento tecnologico non rimanga solo una chimera. La manifestazione di interesse di cui abbiamo parlato ha come obiettivo proprio la “ricognizione dei fabbisogni d’investimento per le Infrastrutture di Ricerca delle università lombarde che svolgono attività di trasferimento tecnologico verso le imprese”. Ma abbiamo anche lavorato a una nuova misura, in arrivo nel primo semestre del 2025, che abbiamo chiamato “Rafforza & Innova”, a supporto dell’innovazione delle Pmi.
In questo caso, come verrà promossa l’innovazione?
Facilitando accordi di collaborazione tra Pmi – cuore del tessuto produttivo lombardo – e organismi di ricerca quali università o istituti di ricerca, agenzie incaricate del trasferimento di tecnologia, intermediari dell’innovazione, entità collaborative orientate alla ricerca.
L’importo dedicato?
In tutto, “Rafforza & Innova” stanzierà per il trasferimento tecnologico tra organismi di ricerca e piccole e medie imprese 6 milioni di euro a valere su risorse del Programma regionale del Fondo Europeo di Sviluppo Regionale 2021-2027.
Nelle sue deleghe la principale leva sono i bandi: quali sono i principali? Stanno avendo successo?
Abbiamo già detto del bando per le università e di “Rafforza & Innova”. Ma abbiamo almeno altri due bandi che hanno riscosso un successo notevole. Innanzi tutto “Collabora & Innova”, per il quale sono stati presentati ben 137 progetti. Regione Lombardia mette a disposizione 100 milioni di euro per promuovere le relazioni tra imprese, università, centri di ricerca per la messa a sistema delle competenze strategiche e delle eccellenze presenti sul territorio, al fine di favorire il trasferimento tecnologico e l’utilizzo di nuove tecnologie da parte del sistema produttivo lombardo. Poi “Smart Mobility Data Driven”, bando da 25 milioni di euro per lo sviluppo di soluzioni innovative di mobilità. Hanno partecipato ben 40 soggetti pubblici e privati organizzati in 14 partenariati che dovranno implementare sul territorio lombardo interventi innovativi per offrire ai cittadini l’esperienza di una mobilità facilmente accessibile, sicura e sostenibile. Ma voglio ricordare anche i 6 milioni di euro a sostegno dello “sviluppo delle competenze per la transizione industriale e la sostenibilità delle imprese”, grazie a “Competenze&Innovazione”, una misura studiata per supportare la trasformazione industriale che consente alle imprese lombarde di traguardare gli obiettivi di transizione digitale e sviluppo sostenibile e l’aumento della resilienza e la capacità di adattamento del sistema lombardo a un mercato in continua evoluzione e ai rapidi cambiamenti nel contesto sociale.
Parliamo di Irccs, Istituti di ricovero e cura a carattere scientifico, altra eccellenza regionale. Che cosa sta avvenendo sotto la sua gestione in questo ambito?
Come per le università, anche per gli Irccs abbiamo studiato una misura totalmente innovativa, per stimolare il trasferimento tecnologico verso il tessuto imprenditoriale lombardo e favorire futuri investimenti nelle soluzioni innovative, prototipi e nuovi prodotti o servizi sviluppati nell’ambito delle scienze della vita, a beneficio dei pazienti e della società. A questa seconda manifestazione di interesse hanno aderito 15 Irccs (3 pubblici e 12 privati), proponendo in totale 32 fabbisogni.
E cosa emerge?
Emerge un grande potenziale di innovazione che rischia di rimanere inespresso, poiché le fasi di sviluppo immediatamente successive alla ricerca di base richiedono mix di competenze, tempi di realizzazione e rispetto di rigorosi standard regolatori che gli investitori sono restii a supportare a causa dell’alto rischio di fallimento e dei lunghi tempi per il raggiungimento del mercato. È proprio in questa fase che l’impatto dell’investimento pubblico può essere più significativo e diventare il volano di ulteriori investimenti di grande valore per la collettività.
La resilienza del sistema lombardo permette di considerare la “fase Covid” definitivamente archiviata? O ci sono degli strascichi? Le sue deleghe sono interpellate?
La pandemia ha modificato alcuni ambiti in maniera importante, soprattutto facendo capire come la tecnologia consenta di svolgere attività e lavori a distanza. Quella che durante la pandemia era una necessità ora è diventata un’opportunità, proprio grazie all’innovazione e a strumenti tecnologici utili per la qualità della vita di chi lavora. Voglio poi sottolineare che la Lombardia ha reagito in maniera straordinaria al Covid, facendo registrare un grande balzo economico dopo il blocco. Questo grazie non solo al Pnnr, ma anche al Piano Lombardia, istituito con la legge 9 e fortemente voluto dal presidente Fontana, grazie al quale abbiamo immesso sul mercato 4 miliardi di euro. Questi fondi ci hanno permesso di rispondere alle esigenze territoriali che erano da qualche tempo nel cassetto e di immettere risorse importanti nella filiera lombarda.
Diritto allo studio vuol dire studenti e scenario nel lungo termine. Una sfida sempre difficile da impostare in un sistema-Paese che si pensa nel breve. Quali sono i progetti e gli importi?
È vero, quello del diritto allo studio è un tema complesso che purtroppo è stato affrontato sempre nel breve termine e senza visione futura. Il tema degli interventi per il diritto allo studio universitario e il sotto-dimensionamento delle relative fonti di finanziamento ha assunto nel corso del tempo una dimensione di sempre maggiore urgenza a livello nazionale, come già più volte portato all’attenzione del ministro dell’Università e della Ricerca e nell’ambito della Conferenza Stato-Regioni. Con riferimento specifico alle borse di studio, negli ultimi due anni si è registrata un’esplosione del fabbisogno finanziario determinata, in particolare, dall’applicazione delle previsioni normative statali attuative del Pnrr che hanno generato per Regione Lombardia un aumento non previsto di circa 48 milioni di euro per l’anno accademico 2022/2023, portando il fabbisogno a 150 milioni di euro.
E come avete fatto a coprire questo aumento?
È stato coperto nell’anno accademico 2022-2023 – oltre che con risorse regionali – anche grazie a un contributo straordinario degli atenei. Per l’anno accademico 2023-2024 si è registrato un ulteriore incremento del fabbisogno finanziario di oltre 10 milioni di euro a seguito dell’adeguamento Istat (+8%) del valore delle borse stabilito a livello statale. Pertanto, le modifiche normative effettuate dal ministero dell’Università e della Ricerca negli ultimi due anni accademici hanno comportato un aumento dei fabbisogni finanziari in Lombardia di quasi 60 milioni di euro l’anno, di cui solo 20 sono stati coperti da risorse aggiuntive derivanti dal Pnrr.
Continui.
Le criticità correlate al finanziamento delle borse di studio per l’anno accademico 2023-2024 sono state parzialmente superate con la recente legge regionale di assestamento di bilancio 2024-2026, che ha stanziato ulteriori risorse finanziarie autonome pari a 3,5 milioni di euro per le borse di studio, consentendo di assegnarle a circa il 97% degli studenti idonei. Per la prossima annualità il fabbisogno, a seguito di ulteriore adeguamento all’Istat, si stima che sia circa 170 milioni, che contiamo di poter coprire anche grazie al recupero della tassa regionale non introitata in anni passati da alcune università telematiche.
Dispersione scolastica: è vero che non rientra nelle sue deleghe, ma si può “innovare” sotto questo punto di vista? Cosa suggerisce?
Non fa parte delle mie deleghe, ma quello dell’orientamento scolastico è sempre stato un tema che mi ha appassionato, tanto che quando ero assessore provinciale a Como ho sostenuto la nascita di una fiera dell’orientamento scolastico che ancora oggi ha un grandissimo successo. Anzi, proprio quest’anno ho voluto che fosse presente in maniera attiva anche il mio assessorato, affiancato da tutte le università lombarde. Sono certo che una buona scelta iniziale possa aiutare a diminuire la dispersione scolastica. In questi anni mi sono sempre battuto affinché si dia sempre maggior importanza nelle scuole superiori, ma anche prima, all’orientamento dei ragazzi, che spesso arrivano impreparati a scelte che sono poi cruciali per il loro futuro.
Qual è la sua opinione sull’orientamento nel nostro Paese?
Abbiamo ancora la tendenza a dividere le scuole in categorie, privilegiando i licei rispetto agli istituti tecnici. Peccato che il mondo del lavoro poi richieda tutt’altro… Oggi in Italia, e ovviamente anche in Lombardia, c’è un divario ancora troppo profondo tra quello che serve al mercato del lavoro e quello che viene imparato sui banchi di scuola. Questo gap è particolarmente ampio se lo paragoniamo ad altri Stati o altre regioni europee, come ad esempio la Germania, e ha anche radici culturali radicate. Per anni in Italia c’è stata una classificazione degli studi in serie A e serie B, come se la formazione tecnica fosse un ripiego rispetto alla formazione umanistica o come se la scelta di seguire una scuola di formazione professionale fosse destinata solo a quegli studenti che non avevano voglia di impegnarsi. Questa radice culturale va rimossa profondamente.
Tutti invocano il ruolo del decisore politico della Regione e i suoi finanziamenti nella “messa a sistema” delle eccellenze italiane e lombarde. Ma ribaltiamo per un attimo il punto di vista. C’è questa propensione al “sistema” oppure lei riscontra un approccio non costruttivo?
A prescindere dal ruolo del decisore politico, la Lombardia è e rimarrà il traino dell’economia del Paese. È poi evidente che la volontà politica, suffragata peraltro da quella popolare manifestata democraticamente, è di arrivare all’autonomia, che permetterebbe di “mettere a sistema” maggiormente l’economia dei nostri territori. Purtroppo ora questa opportunità di sperimentazione è diventata bandiera politica e oggetto di mistificazione rispetto allo svantaggio che potrebbe portare ad altri territori. Chi ha capito l’autonomia differenziata sa che non porterà svantaggi a nessuno e nemmeno un aumento della spesa da parte dello Stato centrale, ma consentirà invece di responsabilizzarci su alcune materie importanti. Certo un punto fondamentale, su cui non ci possono essere passi indietro, è che eventuali risorse risparmiate grazie alla maggiore efficienza rimangano nel territorio lombardo. Questo permetterebbe di esprimere tutte le nostre potenzialità e di diventare un modello da esportare. La politicizzazione di questo tema, le dissertazioni giuridiche e le ultime sentenze, però, non aiutano…
Il suo assessorato ha sinergie in atto con quello allo sviluppo economico? Quali sono e con quali aspettative?
Sin dal primo giorno di mandato, con il collega Guidesi abbiamo deciso di abbattere qualsiasi steccato ci potesse essere tra i nostri due assessorati, visto che ci sono ambiti di grande sinergia, legati sia alla Ricerca che all’Innovazione. Quello su cui stiamo lavorando con maggiore energia è il rapporto tra università e Pmi. Oggi c’è una maggiore apertura da parte degli atenei e credo che un lavoro comune possa essere importante per la crescita delle università ma anche delle aziende.
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