Nella casa circondariale pistoiese il mercoledì i detenuti dividono il campo da calcio con i ragazzi della squadra juniores del Capostrada Belvedere. Per poi un «secondo tempo» di confronto
Il campo di calcetto più particolare di Pistoia ha la superficie in cemento, e al posto delle porte ha due rettangoli di vernice bianca disegnati sui muri. Al posto della tribuna ci sono le grate delle finestre delle celle dei detenuti che costituiscono il rimando visivo più lampante riguardo il luogo nel quale l’impianto sportivo è collocato.
Siamo all’interno del carcere cittadino, ed è mercoledì pomeriggio, il giorno speciale in cui i detenuti che fanno sport in questo fazzoletto di cemento giocano a pallone non da soli. Il mercoledì pomeriggio infatti nel campo di calcetto più particolare di Pistoia ci sono, insieme ai detenuti, anche i ragazzi della squadra juniores del Capostrada Belvedere: giovani calciatori che hanno aderito al progetto educativo della Figc da me coordinato, e che con coraggio e disponibilità hanno accettato di mettersi in gioco in un allenamento settimanale supplementare e molto originale.
I ragazzi del Capostrada arrivano alla portineria della casa circondariale già in abbigliamento sportivo. Le porte automatiche si aprono e i ragazzi (insieme a un loro dirigente, a un volontario in carcere di lungo corso e al sottoscritto) raggiungono il campetto di calcio contornato da muri e inferriate. Dopo un rapido riscaldamento si formano le due squadre e la partita ha inizio: un’ora di gioco ad altissima intensità, bella anche da vedere per chi come me la osserva dal gradone a bordo campo.
I ragazzi e i detenuti settimana dopo settimana si dimostrano sempre più a loro agio nell’interagire fra loro. I detenuti sfoderano la gentilezza che si conviene ai migliori «padroni di casa», preparando a volte la merenda per i ragazzi che vengono a trovarli e a giocare con loro, e altre volte prestando le loro scarpe da calcetto ai giovani calciatori che per un disguido si erano presentati in carcere senza l’outfit adatto per giocare a pallone. Dopodiché l’arbitro senza fischietto (il dirigente del Capostrada Mauro) fischia in stile Trapattoni la fine del primo tempo.
I ragazzi e i detenuti si dissetano e ricaricano le pile in vista dell’inizio della seconda parte del nostro incontro settimanale, che non si svolge più sul campetto bensì in una sala comune messaci a disposizione dalla direzione del carcere. Facciamo un cerchio di sedie e la partita si trasforma in una piccola tavola rotonda per 10-15 persone. I ragazzi del Capostrada e i detenuti iniziano a confrontarsi, mentre io in questo «secondo tempo» sostituisco Mauro nel ruolo di arbitro, cercando di moderare la conversazione e di dare degli input sensati.
A volte ci confrontiamo a partire da qualche argomento di attualità, a volte invece sono i vissuti dei singoli detenuti nostri compagni di tavola o le avventure dei giovani calciatori del Capostrada a indirizzare in modo spontaneo il confronto. I contenuti delle conversazioni sono spesso pieni di vita vera e di aneddoti personali, quindi ce li teniamo per noi. Quello che invece ci piace condividere è la soddisfazione che noi persone libere ci portiamo fuori e che i detenuti si portano in cella al termine di queste due ore del mercoledì passate insieme.
I ragazzi del Capostrada mi parlano dell’umanità che riconoscono in queste persone che sì, hanno commesso dei reati, ma che ai loro occhi si mostrano nei loro risvolti più apprezzabili. Risultato? Sabato scorso all’ultima partita in casa del Capostrada juniores c’erano anche un detenuto in permesso premio e un ex detenuto (tornato in libertà condizionata da appena un giorno) che al suo secondo giorno fuori dal carcere ha voluto fare un salto al campo per salutare i suoi nuovi amici in maglia arancione a pochi minuti dall’inizio del loro match di campionato.
Anche i dirigenti della Figc e l’assessore allo sport di Pistoia sono venuti a vedere il Capostrada per congratularsi di questi allenamenti di educazione civica da fuoriclasse assoluti. Potere di un pallone che rotola oltre i pregiudizi, e che crea nuove traiettorie di cittadinanza solidale fra un carcere e il resto della città.
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