Il presidente della Regione traccia un bilancio della sua amministrazione.«La mia Puglia cresce il doppio dell’Italia. La norma blocca-sindaci? Ero uscito dall’aula»
Presidente Emiliano, salvo slittamenti elettorali, questo è il suo ultimo Natale in Regione. Come vorrebbe fare gli auguri ai pugliesi?
«Vorrei che tutti noi vivessimo il dono della pace. I conflitti in Ucraina, in Palestina, in Libano sono cose che ci inquietano e ci preoccupano: sul piano individuale e per il destino dell’umanità. Quindi è inevitabile augurarsi la pace, tanto più in Puglia, una Regione vocata al confronto e al dialogo».
Si sta per chiudere un ciclo politico ventennale cominciato nel 2004, non privo di difetti e degenerazioni.
«Non c’è un ciclo che si chiude, ma un ciclo che si evolve. Tutto quello che verrà, sarà possibile solo grazie a quello che è stato fatto. Quindi non c’è nessuna interruzione».
Lei lascerà la Regione, Decaro ha già lasciato il Comune di Bari.
«Ma non sono i nomi delle persone che determinano il ciclo dei pugliesi. Sono convinto che le ragioni che ci hanno spinto in questi venti anni e hanno portato a rivoluzionare le vite dei pugliesi, consentiranno alla nostra impostazione di proseguire».
Cosa ha caratterizzato il suo decennio in Regione? Turismo, spinta al mondo produttivo, welfare, cultura: già c’erano.
«Noi abbiamo creato un blocco sociale non ideologico ma basato sul buon senso, sull’armonia e sulla partecipazione. Ciò ha consentito alla Regione di organizzare le regole dell’economia in maniera da ottenere una crescita che è il doppio di quello dell’Italia. Nel periodo 2019-2023 abbiamo incrementato il Pil del 6,1% mentre l’Italia è cresciuta del 3,5. Sono cresciuti i posti di lavoro ed è aumentata l’occupazione femminile. Questo scatto, onestamente, si è creato con la mia amministrazione, non le precedenti. Con la quale c’è una differenza specifica».
A che cosa si sta riferendo di preciso?
«La precedente amministrazione aveva un carattere più ideologico, basato sulla forma dell’appartenenza a un mondo di partito che per molti pugliesi era complicato da sposare. Noi non abbiamo mai chiesto ai pugliesi di aderire ad un’opzione politica o ideologica, abbiamo proposto il miglior modo per governare la Regione. Ed è questo il motivo di questi successi straordinari nell’economia. Nei Paesi del G7, la manovra economica post Covid ha collocato il territorio pugliese al secondo posto per crescita, dopo l’economia degli Stati Uniti. A proposito di turismo e cultura: non c’è paragone possibile tra il livello di investimento e razionalità raggiunto dagli interventi degli ultimi dieci anni e quello che c’è stato prima».
Lei dice si evolve un ciclo. Ma allora dove si deve indirizzare lo sviluppo, sociale ed economico, della Puglia?
«Non siamo a zero. A proposito di coesione sociale: siamo la Regione che ha inventato un ammortizzatore sociale universale, il reddito di dignità. Uno strumento copiato dai governi che hanno poi varato il reddito di cittadinanza. Il quale, come avevamo avvertito, aveva il difetto di non avere con sé politiche attive che indirizzassero al lavoro i percettori del contributo. Il nostro ReD invece prevedeva la caduta dell’assegno in caso di rifiuto del lavoro offerto. E non basta, perché c’è dell’altro».
Ossia?
«Siamo tra le pochissime regioni che finanzia le borse di studio di tutti gli studenti meritevoli, a prescindere dal reddito. Abbiamo decuplicato la spesa per il sostegno alle disabilità gravi e gravissime. Ma soprattutto abbiamo sostenuto l’agenda di genere. Cioè la necessità di mettere in campo sistemi che consentissero alle donne la piena espressione della loro personalità nell’economia. E poi l’ultima iniziativa: offriamo alle donne (in una fascia di reddito determinata) la possibilità di congelare i propri ovociti per scegliere con maggiore serenità il momento in cui diventare madri. È il simbolo di un’attenzione al genere femminile che è stata quasi ossessiva in questi anni e che mira a superare una mentalità patriarcale difficile da scardinare».
L’evoluzione di questo ciclo politico è in direzione delle donne: possiamo dire così?
«È auspicabile. D’altra parte più della metà dei miei collaboratori più stretti appartiene al genere femminile. Di recente abbiamo nominato alla guida dell’Arti (l’agenzia regionale per il trasferimento tecnologico, ndr) la professoressa Luisa Torsi, accademica dei Lincei. La quale ha ricevuto un premio per la ricerca scientifica a Vienna: prima di lei l’unico altro italiano ad esserne stato insignito è stato Guglielmo Marconi».
Il centrosinistra, con la figura di Antonio Decaro, è pronto alla sua successione. Perché non si procede?
«Come avevo preparato la mia successione al Comune di Bari, così l’ho preparata in Regione. Rivendico tutta la storia politica di Decaro come uno dei risultati di questi 20 anni meravigliosi. Non è l’unico. C’è Francesco Boccia, già ministro e ora capogruppo in Senato; c’è Raffaele Piemontese, che quando abbiamo cominciato era un ragazzo dei giovani democratici; Alessandro Delli Noci, straordinario assessore allo sviluppo economico; c’è la presidente del consiglio regionale Loredana Capone; c’è Paola Romano al Comune di Bari. C’è un elenco di persone straordinarie che possono dare sicurezza, non solo ai prossimi dieci anni, come potrà fare Decaro, ma anche ai prossimi venti».
Sta dicendo che se Decaro non fosse della partita, ci sarebbero altre figure pronte?
«Non ho detto questo. Io sono stato chiaro sulla mia indicazione verso lui. Però non posso ulteriormente forzare la mano. Evidentemente ci sono ragioni, per un quadro non ancora del tutto chiaro, che hanno indotto Decaro a non sciogliere la riserva. Ma non credo che questo sia un problema pressante».
Perché non lo è?
«Noi siamo tutti in campo, siamo tutti pronti, siamo tutti in grado di sostenerci gli uni con gli altri. Qui c’è una comunità politica con nomi, cognomi, incarichi, ruoli che ha la capacità di allargarsi e di estendersi: di tutte le generazioni, di tutte le età. E approfitto per ringraziare del loro aiuto Gianni Giannini e Ludovico Abbaticchio (rispettivamente ex assessore regionale ed ex assessore comunale, ndr). Personalità che si sono impegnate per far nascere questo processo politico. Il tempo passa e organizzare la successione delle generazioni è la cosa più importante. È un po’ come la questione del buco demografico nella popolazione italiana».
Il buco demografico?
«Lo dico per costruire un parallelismo. Il calo della popolazione, italiana e direi anche europea, non è più rimediabile con metodi naturali. E così bisogna pensare di organizzare flussi migratori che rafforzino la nostra comunità. Alla stessa maniera, alla politica serve il continuo mescolarsi del dna politico. Ho sempre pensato per esempio che l’alleanza con il Movimento 5 Stelle fosse molto importante».
Ma l’accordo non si riesce a costruire.
«Purtroppo oggi abbiamo di fronte una crisi di consenso del M5S che probabilmente rende più complicato questa mescolanza. Ma questo significa che dobbiamo continuare a insistere su questa strada. Come d’altra parte bisogna insistere su un fatto: la coalizione progressista che vuole battere Giorgia Meloni deve avere anche una componente liberal, più centrista, più capace di rappresentare quelle istanze meno ideologiche ma altrettanto commoventi dal punto di vista dei valori. Questa larga coalizione in Puglia è stata realizzata».
Al prezzo di subire qualche sbandamento e imbarcare le personalità più disparate.
«Ovviamente ognuno è responsabile delle condotte individuali. Ma non è accaduto mai nulla che possa essere considerato particolarmente preoccupante in 20 anni. Che è un tempo lunghissimo. Tutti sanno che, con me, chi sbaglia paga. Anche duramente. Però bisogna provare che abbia sbagliato».
A gennaio avrà una grana: il Pd chiede di cambiare la norma sulle dimissioni sei mesi prima dei sindaci che si candidano in Regione.
«Non ho nessun ostacolo. È una norma che non ho mai voluto né votato: sia pure per caso, ero uscito dall’Aula. È stato un blitz di tutti i partiti, credo anche di qualche componente di forze politiche che oggi se ne dolgono. Se la si vuole cambiare, non può che farmi piacere. È una norma che impedisce a molti miei amici sindaci di candidarsi in modo un po’ più semplice, perché erano in tanti che si stavano predisponendo alla candidatura e adesso rischiano di essere frenati. Penso sia stata concepita come una norma che serve a salvaguardare la concorrenza tra i vari potenziali candidati. Ma non credo sia una cosa che appassioni i pugliesi».
Che cosa farà il presidente Emiliano quando tra un anno presumibilmente finirà il suo mandato da governatore?
«Farò quello che ho sempre fatto negli ultimi vent’anni: continuare a curare le cose per le quali mi sono speso e che ho contribuito a migliorare e far crescere in questi anni. Non ho nessuna intenzione di abbandonare il compito che mi sono dato. Poi, certo, ti puoi occupare delle cose che ti sono care nelle maniere più diverse e nei luoghi più diversi o anche semplicemente studiandole, approfondendole, dando consigli».
Diciamo che non ha ancora deciso?
«Diciamo che ci sono tante possibilità diverse, io ovviamente credo in quel proverbio diffuso tra i militari: solo chi sa obbedire sa comandare. Io so obbedire, nel senso che se ci saranno gerarchie diverse sono perfettamente in grado di servire la causa anche in luoghi diversi. Quando mi candidai tanti anni fa a sindaco di Bari fu un atto un po’ di incoscienza, ma anche di speranza: mi spinse a prendere tutto ciò che avevo costruito nella mia vita e a sacrificarlo nel tentativo di cambiare la vita prima dei baresi e poi dei pugliesi. Questo risultato di cambiamento si è realizzato».
Cosa si è realizzato?
«Un processo di consapevolezza: milioni di pugliesi che vent’anni fa o si piangevano addosso o additavano la destra o semplicemente non facevano niente, a un certo punto si sono rimboccate le maniche. Si sono messi a lavorare. E, per dirla con Antonio Gramsci, sono diventati culturalmente egemoni. Una comunità che oggi si fa rispettare da tutto il mondo».
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