Lavoro il muro del carovita, i dipendenti non si spostano e metà dei posti resta vacante

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A cavallo tra la fine del 2024 e l’inizio del 2005 le imprese dell’Emilia Romagna hanno programmato oltre 104mila assunzioni.

Ma quasi la metà di questi posti – stando alle stime di Unioncamere-Excelsior – rischia di restare vacante. Le aziende del Lazio sono ancora più ambiziose: vogliono allargare le loro piante organiche con 132mila addetti: il 44 per cento delle posizioni potrebbe non trovare candidati. In Calabria – in una delle aree del Paese dove la disoccupazione è più alta con il 14,3 per cento – è partita la caccia per 28mila dipendenti. Circa il 40 per cento potrebbe non essere mai trovato.
Le proporzioni non sono diverse in Lombardia (265.380 posti e l’indice di mancato reperimento al 48,7 per cento), in Veneto (111.370 e 53,5 per cento), in Umbria (14.160 e 52,4 per cento), nelle Marche (29.370 e 55,1 per cento), in Campania (101.490 e 43,6 per cento) o in Puglia (69.860 e 37 per cento). Il costo stimato in mancata crescita è pari a 44 miliardi, 2,5 punti di Pil.
Parliamo di laureati in ingegneria elettronica o informatica, sistemisti, installatori, manutentori di ascensori o operai nel settore del legno. Braccia e cervelli, professioni e mestieri che mancano nelle zone più ricche del Paese come in quelle più deboli, indipendentemente se siano proposti contratti stabili a tempo indeterminato o indeterminato. Perché non è soltanto una questione di soldi.

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LE DIFFICOLTÀ

L’altra faccia della disoccupazione è il mismatch, il disallineamento tra domanda e offerta di lavoro: le aziende cercano nuovi addetti ma non trovano candidati adatti alle loro esigenze. Anzi, spesso si fa anche fatica a reperire persone che si presentino ai colloqui. Confindustria ha rilevato che nella prima metà del 2024 «oltre due terzi delle imprese italiane con ricerche di personale in corso (il 69,8 per cento) riscontrava difficoltà di reperimento».
Le cause sono note: l’assenza di competenze e specializzazioni tra i lavoratori rispetto alle richieste delle imprese; un sistema di formazione (scuole, università, Its) non in grado di aggiornarsi con la stessa velocità delle tecniche di produzione o della qualità dei servizi e che finisce per immettere sul mercato figure non sufficientemente preparate; stipendi più bassi rispetto alle aspettative del lavoratore. Il tutto acuito – anzi esacerbato – dalla costante denatalità, dalla fuga dei cervelli verso l’estero, da una bassa mobilità interna e dall’ancora più scarso appeal dell’Italia verso immigrati con idonee qualifiche. «Con la digitalizzazione e la diffusione dell’intelligenza artificiale – nota il giuslavorista Francesco Rotondi – le aziende riusciranno a battere la concorrenza soprattutto se avranno personale che saprà meglio tarare le soluzioni tecnologiche alle proprie esigenze per aumentare la produzione. Di conseguenza servirà sempre più uscire dal proprio percorso formativo con le competenze necessarie».
Senza misure ad hoc la situazione è destinata a peggiore. Anche perché il mismatch si sta trasformando in una sorta di federalismo al contrario, che rende alcune aree meno attrattive nella ricerca di personale rispetto ad altre. Sono zone dove in teoria il lavoro non manca, ma il costo della vita – dalla spesa ai divertimenti – è più alta; è più difficile prendere casa in affitto; è più oneroso anche accedere ai servizi basilari. Brutalmente, non ce la si fa con gli stipendi. Anche perché in Italia si guadagna in media 14mila euro annui in meno della Germania e 10mila in meno rispetto alla Francia.
Confindustria ha segnalato come molto problematiche in questa direzione le aree di Milano, di Como, di Venezia, di Bologna, di Firenze o di Roma. E non a caso, parla di «”trappola della mobilità”: i lavoratori, pur volendo, non possono permettersi di trasferirsi, contribuendo così a un immobilismo economico che tiene alta la disoccupazione “strutturale”».

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FRINGE BENEFIT

In questa direzione Viale dell’Astronomia ha appena presentato un piano in collaborazione del governo per costruire nuove abitazioni o rigenerare stabili in disuso per garantire locazioni a prezzo più basso. Il governo ha alzato a 5mila euro il fringe benefit per i datori che contribuiscono al pagamento degli affitti dei neoassunti che spostano la loro residenza di almeno 100 chilometri. Mentre aziende e sindacati, nella contrattazione collettiva o individuale, accelerano sempre di più sull’erogazione del welfare aziendale. Perché contribuire alle spese sanitarie o a quelle per le attività scolastiche o sportive dei figli può spingere un lavoratore ad accettare un posto dal quale sarebbe tentato di tenersi lontano. «In alcuni territori – conclude Rotondi – si dovrà alzare verso l’alto l’asticella dei salari, legandoli al costo della vista e a quello della produttività».





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