Nel 2024, il settore industriale italiano ha affrontato un peggioramento significativo. Coinvolti più di 118 mila lavoratori. La CGIL denuncia speculazioni, mancate politiche pubbliche e crisi che colpiscono intere filiere che aggravano la deindustrializzazione e la precarietà.
Nel 2024, la situazione del settore industriale italiano ha subito un netto peggioramento. Secondo i dati della CGIL, anticipati dall’Ansa, i tavoli di crisi aperti, ossia gli incontri istituzionali presso il Ministero delle Imprese e del Made in Italy (Mimit), per discutere le emergenze delle aziende in difficoltà, hanno coinvolto più di 105mila lavoratori, quasi il doppio rispetto ai 58mila di gennaio. A questo bilancio si aggiungono 12mila lavoratori di piccole e medie imprese che hanno perso il lavoro senza che le loro vertenze arrivassero all’attenzione delle istituzioni. Complessivamente, quindi, il numero di persone colpite dalla crisi industriale sale a 118.310.
Una crisi aggravata da speculazioni e politiche inadeguate
Secondo la CGIL negli ultimi trent’anni il tessuto produttivo italiano è stato fortemente condizionato dalle multinazionali e dai fondi speculativi. Questi attori, spesso attratti da incentivi e agevolazioni statali, avrebbero acquisito aziende a basso costo senza preoccuparsi di investire a lungo termine. Questo avrebbe reso il tessuto produttivo italiano sempre più fragile, impoverendolo e riducendo la sua capacità di affrontare sfide globali, come la transizione ecologica e digitale.
Anche il Governo Meloni è stato criticato per la mancanza di una visione strategica su settori chiave come l’automotive, la chimica, la moda, la carta e l’energia. Politiche frammentarie, come l’abbandono del carbone, secondo il sindacato, non sono state accompagnate da adeguati interventi per sostenere le filiere produttive, aggravando ulteriormente le difficoltà.
L’impatto sull’occupazione e la perdita di intere filiere produttive
Nel corso del 2024, numerose aziende appartenenti a settori strategici dell’economia italiana hanno vissuto situazioni di crisi, con pesanti ricadute sull’occupazione. Tra i casi più emblematici emerge quello di Beko, azienda del settore elettrodomestici, dove circa 2.000 lavoratori rischiano il licenziamento a seguito di una ristrutturazione che ha coinvolto sia i processi produttivi che le attività logistiche.
Anche il settore biomedicale, cruciale per la salute pubblica e l’innovazione, è stato colpito con la recente crisi di Mozarc Medical, precedentemente nota come Bellco, uno dei pilastri storici più rilevati del distretto biomedicale, a Mirandola, in provincia di Modena, che ha messo a rischio 500 posti di lavoro. Un altro comparto fondamentale è quello della chimica di base, che ha visto pesanti conseguenze con la crisi di Eni Versalis, che coinvolge non solo 8mila lavoratori diretti ma anche 24mila dell’indotto, minacciando l’intero ecosistema produttivo legato alla chimica.
Nel commercio, marchi storici come Coin e Conbipel si sono trovati a dover avviare procedure di crisi, con un impatto occupazionale significativo. Tutto questo riflette le difficoltà crescenti di un settore già sotto pressione per la riduzione dei consumi e la forte concorrenza del commercio online, che continua a trasformare le abitudini d’acquisto degli italiani.
Assenza di politiche pubbliche lungimiranti
Il sindacato attribuisce la crisi a decenni di assenza di politiche industriali lungimiranti che hanno lasciato lo sviluppo economico in balia delle dinamiche di mercato. Questo vuoto programmatico ha contribuito a una costante contrazione della produzione industriale, che ormai segna un calo continuo da quasi due anni. Per affrontare questa situazione e invertire la tendenza, secondo la CGIL sono necessari interventi mirati e strutturali: implementare quindi politiche pubbliche di reindustrializzazione, creare ammortizzatori sociali specifici per le crisi e promuovere la riqualificazione professionale dei lavoratori, affinché possano essere reintegrati in settori legati alla transizione ecologica e digitale.
Senza un’azione tempestiva e coordinata, per CGIL, la deindustrializzazione e l’aumento della precarietà rischiano di creare conseguenze ancor più drammatiche per il futuro del sistema produttivo e sociale del Paese.
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