Il Natale con gli alberelli di ulivo addobbati è una sorpresa. Una provocazione. Una suggestione. Fate voi. Riproduce un paesaggio che in gran parte della Puglia non c’è più, annientato dall’effetto micidiale di un batterio che più di dieci anni fa ha colto tutti impreparati (aria di festa e nenia pastorale sconsigliano intemerate su santoni, complottisti, inchieste fuori scala e via dicendo: ognuno sa, i lettori anche, inutile andare oltre). Un paesaggio che nel resto della Puglia, invece, dalla piana dei millenari e monumentali in su, si cerca di difendere in tutti i modi, con appelli, campagne stampa e opere di sensibilizzazione di vario genere, dall’adozione degli alberi fino alla raccolta fondi per favorire sovrainnesti e interventi di tutela. Ma il punto, adesso, oggi, è in questa splendida iniziativa, doppiamente importante perché spontanea, che ha portato dal piccolo paese del Basso Salento a una capitale del turismo internazionale come Ostuni a scegliere l’ulivo, e non gli alberelli finto-Dolomiti, per addobbare vicoli, strade e viali di centri storici e piazze dello shopping.
Ha un significato e un valore, tutto questo? In realtà ne avrebbe tanti, tutti comunque riconducibili a uno: la tutela di un elemento dall’evidente carattere identitario, il marchio di qualità di questo territorio, come il sole, forse più del mare. E non è un caso, probabilmente, che accada ora, alla fine di un anno segnato doppiamente dal “potere dei segni”, una frase molto cara a don Tonino Bello, anche lui risalito nella sua missione pastorale lungo la stessa direttrice seguita anni dopo dalla xylella: per il vescovo, dal Capo di Leuca fino a Molfetta; per il batterio, chissà fino a dove, fino a quando. Il richiamo fortemente evocativo e rappresentativo dell’ulivo, quindi. Prima come simbolo del G7, nell’appuntamento di metà giugno a Borgo Egnazia con i potenti del mondo e i grandi della Terra (non sempre i due tratti – potente e grande – hanno significato sovrapponibile). E poi come emblema centrale nel nuovo logo stilizzato della Puglia, tracciato dalla mano artistica e immaginifica del designer Antonio Romano su incarico della Regione, sulla falsariga dello stemma araldico che ha il suo fulcro proprio nella pianta ottagonale di Castel del Monte e nell’altra pianta, qui in senso arboreo, che in sé racchiude i tratti della pace e della fratellanza.
L’ulivo, dunque.
La conta dei danni dà lo spessore dell’emergenza: 20 milioni di piante devastate dal contagio, in pratica un terzo degli esemplari pugliesi; quasi il 40 per cento del territorio ridotto a paesaggio spettrale. Un disastro moltiplicato dagli effetti collaterali e convergenti: lo spopolamento delle campagne, aggravato dall’estrema parcellizzazione delle proprietà; il peggioramento delle condizioni ambientali (se gli alberi producono ossigeno, la mancanza di alberi cosa comporta?). E, ad abundantiam, altri fattori determinanti. Ad esempio, la fine dei fondi a disposizione: centoventi i milioni spesi per indennizzare i danni riconosciuti, ma solo fino al 2019. Dal 2020 niente più soldi. La Regione li ha finiti e scarica sul governo. Seguirà replica. Su cui si innesterà inevitabile polemica. Altro tempo perso. E poi ancora: l’oblio istituzionale – al di là di loghi e simboli – in cui sembra essere precipitata l’emergenza. La xylella (diversamente declinabile in termini apocalittici: devastazione, terremoto, strage) non entra in nessuno dei piani di intervento o dei bilanci redatti, sottoscritti e approvati in questa fine d’anno. Non nell’Accordo di Coesione; non nel conto economico regionale, pure sottoposto all’estenuante tiremmolla di emendamenti e mancette con affaccio sul voto, dalla sagra dell’aria fritta fino al festival delle magnifiche sorti e progressive. Una desolazione che rispecchia esattamente il panorama sempre più sinistro e tetro con cui giorno dopo giorno dobbiamo fare i conti.
Tutto perso? Non proprio. La ricerca va avanti, nonostante la carenza di finanziamenti e non pochi bastoni tra le ruote. I reimpianti provano a far ripartire l’agricoltura nelle aree desertificate dal passaggio del batterio. La diversificazione introduce nuove produzioni, anche nell’ottica di un cambiamento climatico con cui occorre necessariamente fare i conti. Slanci di iniziativa e di fantasia con cui questa parte d’Italia da sempre cerca di porre rimedio alle distrazioni, ai ritardi, ai divari infrastrutturali. Il problema è che si sente la mancanza di una visione lungimirante, insieme politica e programmatica, la più ampia possibile, per uscire da questa lenta agonia. E, ancor più, la mancanza di uno studio partecipato e condiviso sulla riqualificazione e rigenerazione del paesaggio, che tenga conto delle caratteristiche del territorio rispetto a una duplice contingenza: le esigenze delle nuove specie da mettere a dimora e la carenza di risorse idriche. Un aspetto, quest’ultimo, con cui la Puglia è chiamata a fare i conti, non come emergenza ma come dato endemico in tendenziale peggioramento per uno sconvolgimento epocale che sembra prolungare i periodi di siccità e moltiplicare gli eventi atmosferici estremi e devastanti.
Arriva Natale. Gli alberelli addobbati illuminano le radici della nostra essenza. Ma mettono in risalto anche gli aspetti preoccupanti della nostra trascuratezza. Ripartiamo dal simbolo, l’ulivo. E dal logo in cui è racchiuso come emblema della Puglia, l’ottagono. Un elemento a sua volta suggestivo nei significati cui rimanda: su tutti, la Rinascita. Come augurio, davvero niente male.
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