Per la libertà di ricerca sulla carne coltivata. No ai bandi preventivi

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Agricoltura

 


L’articolo “Cultivated meat beyond bans: Ten remarks from the Italian case toward a reasoned decision-making process”, accolto su One Earth open access, a partire dal 20 dicembre alle 17:00, è un doppio sforzo interdisciplinare.

Innanzitutto, rappresenta la volontà di creare una rete collaborativa e di confronto nell’ambito dell’agricoltura cellulare da parte di ricercatrici e ricercatori italiani, con la partecipazione di ben cinque università, di cui tre piemontesi. Si tratta di atenei diversi, con storie per certi versi incomparabili, in cui lavorano cultori di scienze dure, sociali e umane, che si occupano di cibo nella loro ricerca e nel loro insegnamento.

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In secondo luogo, l’articolo promuove la necessità esplicita di un approccio interdisciplinare alla questione della carne prodotta con agricoltura cellulare, perché riconosce, sin dalle premesse, che gli approcci compartimentati hanno consentito delle narrazioni incoerenti o addirittura insensibili ai dati scientifici (persino quelli solidi, alla base delle pronunce del WHO in merito alla sicurezza del consumo di carne da agricoltura cellulare), che hanno contribuito a diffondere sentimenti negativi e ostilità preconcette, verso questa opportunità, oggi al centro di molteplici ricerche.

È fondamentale considerare l’attenzione all’applicazione dei principi giuridici che garantiscono la libertà di ricerca, nell’interesse al progresso come diritto umano, insieme all’igiene dell’informazione che vada dalla scelta di neologismi accurati (invece di termini inappropriati quali “carne sintetica”) al bando dell’illustrazione di questa ricerca attraverso immagini irrealistiche, come le piastre di coltura riempite di tartare.

È inoltre opportuno sottolineare l’applicazione incoerente del principio di precauzione, ufficialmente sottesa alla legge 172 del 2023 con cui si vieta la produzione e la vendita in Italia di alimenti a base di cellule coltivate, ricordando che l’indipendenza delle istituzioni scientifiche nella valutazione dei rischi connessi ai novel food non è un valore di parte e  che, una volta che un cibo dovesse essere testato e valutato sicuro dagli organismi preposti, come l’EFSA per l’Europa, se lo si voglia mangiare o meno spetta deciderlo al singolo cittadino e non a una maggioranza, quantunque numerosa.

È tempo di raccontare la realtà e contrastare il fumo negli occhi, come risultano essere le oggi inesistenti questioni monopolistiche, spesso usate come mere provocazioni di reazioni contro le presunte élite, o l’agitazione dello spettro della tecnologia “cattiva e pericolosa”, a vantaggio della naturalità, sempre ritenuta benevola.

Se la carne coltivata potrà costituire un approccio sicuro, sostenibile e alternativo all’allevamento intensivo, anche se non capace di sostituire completamente la carne prodotta con la zootecnia tradizionale, anche se è solo un pezzo della strategia che si basa sulla drastica riduzione del consumo alimentare di carne, sarà compito della ricerca scientifica chiarirlo. Quest’ultima, però, in un ambiente ostile alla ricerca stessa non può svilupparsi efficacemente né condurre a risultati affidabili. Primo fra tutti, e più rilevante per la società: l’agricoltura cellulare è una strada percorribile e sostenibile per produrre proteine sicure e di qualità? La risposta a questa domanda, la sola che dovrebbe determinare il futuro dell’innovazione produttiva ad essa connessa, deve venire dalla scienza libera di esercitare le proprie ricerche, per le quali sono necessari stabilità normativa e reperibilità di risorse.

Riportare il confronto ideale sulla carne coltivata nel giusto ordine delle cose, riconoscendo alla ricerca l’onere di verificare sicurezza e sostenibilità, per poi lasciare alla politica le scelte inerenti la regolamentazione, anche etica, dell’innovazione produttiva conseguente, è l’obiettivo che gli autori e le autrici di questo articolo hanno inteso perseguire. Nato in Italia – in un contesto caratterizzato dalla mancanza di informazione e dai proclami di Coldiretti, determinato dalle conseguenti scelte del governo – questo documento aspira a fornire argomenti e strumenti per arginare simili derive che, purtroppo, si stagliano all’orizzonte in diversi Paesi.

Gli autori dell’articolo hanno lanciato anche una petizione, che ad oggi ha circa 1000 firme ma a fronte di ben 12mila visualizzazioni: un tasso di conversione bassissimo. E non mancano commenti sprezzanti e, francamente, irricevibili, che inneggiano al made in Italy o alla sempiterna tradizione da tutelare.

Sciocchezze, per il semplice fatto che la carne coltivata non sarà mai un alimento obbligato, perché non c’è alcuna spectre che ne promuove le sorti ma solo il mercato che ne considera l’opportunità. E le stesse cose che si leggono sui vini dealcolati o sui rischi connessi al consumo di alcol, si leggono e si ascoltano sulla carne coltivata: un mix di anti modernità, anti-capitalismo (di comodo, ça va sans dir, perché non risulta che nessuno dei commentatori vive in una comune mangiando i frutti del proprio lavoro e vestendo tessuti fatti in casa) e nostalgia di un tempo mai esistito in cui si azzannavano fiorentine bevendo ottimo vino e campando cent’anni.

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C’è bisogno di dare una sonora svegliata a questo Paese, inquinato da quarant’anni di retorica passatista assolutamente bipartisan, in cui hanno sguazzato partiti e politici, alimentati da una società civile che non chiedeva di meglio che essere abbindolata con la storia dell’agroalimentare che è nostro petrolio (balle), che vale 600 miliardi (ballissime) e che non ha bisogno di innovazione per essere sempre il migliore al mondo (iperballe).

Non siamo i migliori al mondo in nessun grande settore alimentare, per valore; non è vero che tutti vogliono mangiare italiano e non è vero che i cibi italiani più esportati sono l’emblema della dieta mediterranea.

La dieta mediterranea è la dieta della frugalità, a larghissima base vegetale e con poche proteine di origine animale. Se quelle poche potranno arrivare nel piatto senza ammazzare animali, lo dirà la scienza. Decidere di mangiarne, sarà un’opzione individuale. Garantire che ogni scelta individuale riguarderà cibi sicuri, un compito delle istituzioni.

Non è tutto ciò che serve, ma non è nemmeno così poco.


Firma la petizione: Libertà di ricerca sulla carne coltivata. No ai bandi preventivi!








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