Sanità, Italia spezzata in due. Caos sulle nuove tariffe in Sicilia

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La rivista scientifica Lancet ha lanciato l’allarme sulla Sanità italiana: disparità tra Regioni ricche e povere, iniquità delle cure, fallimento della medicina digitale.

In Italia c’è una Sanità, definita da Lancet, “spezzatino”, con la grande criticità delle Regioni che non riescono a comunicarsi dati e informazioni utili a curare i pazienti.

Tutto questo si traduce in infiniti sistema di raccolte dati, ovviamente non omogenei, che comportano l’ impossibilità del trasferimento di referti e immagini diagnostiche anche all’interno di una stessa città.

Quindi se un paziente viene curato in strutture o Regioni diverse, incapaci di leggere l’una i referti dell’altra, si eseguono doppi o tripli esami, questo ha un costo per il Paese di circa 3,3 miliardi.

Con l’entrata in vigore dell’autonomia differenziata si servirebbe di fatto un altro disastro, acuendo le disparità tra le Regioni.

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Oggi, ad esempio i Lea, cioè i Livelli essenziali di assistenza, vengono garantiti solo in Regioni del Centro-Nord, tranne la Puglia che sui Lea è performante. Mentre nel Nord Europa hanno una banca dati centralizzata, che ogni medico può consultare, in Italia non decolla nemmeno il famoso fascicolo sanitario elettronico.

Eppure per la sanità digitale, ricorda la rivista Lancet, l’Italia ha speso 1,8 miliardi nel 2022: il 7% in più dell’anno precedente: “Ma resta un mistero se questi fondi siano stati spesi e come siano stati usati”.

In questo momento non ci sono azioni rapide, che sarebbero necessarie, per garantire l’adozione su tutto il territorio nazionale di un omogeneo sistema di raccolta dei dati.

Caos nuovo tariffario

Il “Tariffario delle prestazioni di specialistica ambulatoriale e protesica” prevede tagli su tutte le prestazioni erogate dalle strutture convenzionate. Il nuovo nomenclatore tariffario, voluto con decreto dal ministero della Salute, noto come Decreto Schillaci, contiene i corrispettivi a carico del Servizio Sanitario Nazionale, un cambio di codici per visite ed esami, quindi nuove tariffe rimodulate con un abbattimento in alcuni casi fino al 70%. Grido di allarme per tutti i privati convenzionati, che hanno ottenuto la sospensione in sede amministrativa dell’efficacia.


Stato di agitazione

Studi medici, laboratori di analisi, centri convenzionati sono sul piede di guerra. Attendono il 28 gennaio quando si dovrà pronunciare il Tar del Lazio a seguito di una serie di contro ricorsi presentati. Nel frattempo il rischio è che le strutture private, non riuscendo a coprire i costi, debbano non erogare le prestazioni, quindi l’utente intaserà la sanità pubblica, che non reggerà e ci sarà un ulteriore tracollo, con annesso allungamento delle liste di attesa.

La nota di Cimest

Il Coordinamento Intersindacale della Medicina specialistica del territorio ha chiesto un incontro urgente con il presidente della Regione, Renato Schifani. Nella nota si legge la preoccupazione: “L’ introduzione del nuovo Nomenclatore Tariffario Nazionale è carente ed inadeguato, con macroscopici tagli che raggiungono in alcuni casi il 50% costringerebbe alla chiusura le Nostre strutture. E’ paradossale che dopo 26 anni le tariffe siano riviste al ribasso anziché adeguarle a fronte di un aumento dei costi, ma è anche pericoloso, perché in questo modo si spalancano le porte a un privato più aggressivo e si incentiva la mobilità sanitaria fuori regione”.

Il Cimest fa degli esempi chiari: “La diagnosi del tumore alla prostata (antigene prostatico) da euro 7.41 ribassato a euro 3.95; la diagnosi del diabete (emoglobina glicata) scende da 7.41 euro a 4.70. Una Visita Specialistica cardiologica di controllo passa da euro 12.00 a euro 6.30. “Da oggi non potremo erogare diverse prestazioni sottocosto ad eccezione di quelle prescritte entro il 29 dicembre 2024 che prevedono tariffe non ribassate. Ci scusiamo con i cittadini per l’incresciosa situazione di cui non siamo responsabili ma non possiamo accettare una norma che decreta il fallimento delle nostre strutture ed il licenziamento di oltre 10.000 dipendenti. Molti Governatori di altre Regioni hanno immediatamente emanato tariffari adeguati al costo della vita sanando queste criticità. La Sicilia no”.


La richiesta dei privati convenzionati

Al governatore Schifani è stata avanzata la richiesta di negoziare i termini del piano di rientro della Sicilia con la premier Giorgia Meloni, ovvero di aprire una fase interlocutoria per trovare una soluzione per evitare il blocco delle prestazioni.

Pietro Miraglia, presidente regionale di Federbiologi, propone una azione collettiva per chiedere un risarcimento dei danni subiti dalla strutture sanitarie di tutto il Mezzogiorno. Si tratta di strutture che sull’Isola offrono elevate prestazioni.

Il Piano di rientro

La Sicilia dovrebbe venirne fuori nel 2027 ma soffre lacrime e sangue dal 2007, quando il governo nazionale ha chiesto un piano di rientro per spese troppo “allegre” della sanità siciliana. Gli ultimi anni di lavoro dell’assessorato regionale alla Salute sul deficit sanitario sono andati bene ma non bastano, ecco che la Sicilia allora non può provvedere, come il Veneto, a mettere mani al portafoglio per riequilibrare le tariffe.

Piano di rientro e nuovo tariffario per la Sicilia camminano mano nella mano. Seppure ci sia stata una accelerata sui conti così non si può dire sulla elaborazione della rete ospedaliera, non c’è ancora un potenziamento della medicina territoriale, indietro si è anche per la prevenzione. Chiesto maggiore impegno a Salvatore Iacolino, alla Pianificazione strategica, dovrà elaborare in fretta il POCS, programma operativo di consolidamento e sviluppo per il 2025/2027. E’ lo strumento di aggiornamento proprio sul disavanzo.

 


 

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