Secondo uno studio della Bce, la spinta al Pil potenziale di Spagna e Italia – i due maggiori beneficiari – è la metà delle previsioni, con ricadute anche sul debito, anche per via dei ritardi nella realizzazione concreta
Si sgonfia la spinta alla crescita dal Next Generation Eu, il maggior programma di finanziamento europeo visto finora, approvato nel 2020 per rendere i Paesi membri più robusti e competitivi dopo lo choc pandemico. Con una spinta minore del previsto per il Pil potenziale di Spagna e Italia, i due maggiori beneficiari, e ricadute anche sul debito: un trend da invertire con una corsa a mettere a terra gli investimenti e adottare le riforme del Pnrr. Lo rileva, fra formulazioni tecniche da banca centrale e mille cautele, uno studio della Bce che fa il punto sui primi quattro anni di vita del programma tramite i Pnrr nazionali (qui l’analisi su dati di Bankitalia e Ance di novembre 2024).
Gli effetti per la crescita
Gli autori, a due anni di distanza da un report analogo del 2022, tracciano gli effetti per la crescita legati allo stimolo fiscale da quasi 500 miliardi di euro; all’aumento di produttività tramite le riforme strutturali impegnate dai Pnrr; infine alla «compressione degli spread» grazie all’indebitamento comune, che «può aumentare permanentemente il Pil dell’area euro dello 0,2%, con benefici maggiori per Italia e Spagna», i due maggiori destinatari degli aiuti Ue.
Al di sotto delle aspettative
Quello che ne esce è un quadro fin qui al di sotto delle aspettative, con rischio di un «flop» a programma concluso, ma anche il potenziale di un colpo di reni, una corsa alle riforme e a investimenti produttivi, negli ultimi due anni di vita del Pnrr, che termina nel 2026. Il colpevole, infatti, è lo «slittamento di effetti attesi in precedenza, a fronte di ritardi nell’implementazione» delle riforme strutturali e della effettiva realizzazione degli investimenti previsti dai Pnrr nazionali.
Solo lo 0,2% del Pil
La conseguenza, messa nero su bianco dalle stime pubblicate dalla Bce, è che nel 2024 il Next Generation Eu ha aumentato il Pil dell’area euro di appena lo 0,2% rispetto a uno scenario senza quel programma: meno della metà dello 0,5% inizialmente atteso. Il programma – si legge – «ha il potenziale di aumentare il livello del Pil dell’area euro fra lo 0,4% e lo 0,9% entro il 2026, e fra lo 0,8% e l’1,2% entro il 2031». Numeri, finora, ben inferiori a quelli del precedente studio Bce, con grosso modo gli stessi autori, che nel 2022 stimava un aumento potenziale del Pil al 2026 «di circa l’1,5%». Per la Spagna quel precedente studio indicava rispettivamente un beneficio al 2026 «poco sotto il 3%» e «del 3,5% per l’Italia».
Il nuovo studio della Bce non quantifica revisioni sull’impatto complessivo del Pnrr per i due Paesi. Lo fa limitatamente agli effetti dello stimolo fiscale sul Pil: per l’Italia la stima precedente di un +1,4% sul Pil al 2026 è ora confermata solo nel caso di un elevato assorbimento dei fondi europei nel periodo 2024-2026: nel caso di un basso assorbimento si fermerebbe allo 0,9%. Le conseguenze si vedono anche sul contributo atteso dal Pnrr nella riduzione del debito Pil, rivista a 7-8 punti percentuali per Italia e Spagna contro i 12 dello studio Bce del 2022, a fronte di «ritardi di implementazione» che «hanno portato a una significativa revisione al ribasso del Pil potenziale».
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