Lo sci in Valle d’Aosta di fronte al cambiamento climatico

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LA NEVE DI DOMANI

di Viola Feder e Martina Praz

La Valle d’Aosta, che ha un terzo della superficie glaciale d’Italia, ha perso 32 ghiacciai negli ultimi 22 anni. I restanti 184 si stanno invece ritirando ad una velocità impressionante: ben 1,5 chilometri quadrati all’anno. Questo è solo uno degli effetti del cambiamento climatico che la regione più piccola d’Italia sta mostrando negli ultimi 20 anni. Questi cambiamenti sono legati essenzialmente all’intensificazione del ciclo dell’acqua, degli eventi estremi correlati ad esso (frane, valanghe, alluvioni) e ai cambiamenti nella criosfera (neve, ghiacciai, permafrost).

Rapporto Clima Arpa

Nel frattempo, però, l’aumento delle temperature e le sempre più scarse nevicate hanno introdotto un altro grande quesito: quello della sostenibilità del turismo invernale legato allo sci di fronte al cambiamento climatico.

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Il turismo invernale: numeri record e valore economico

Nel 2023 la Valle d’Aosta è la prima meta per le settimane bianche degli italiani insieme al Trentino Alto Adige con il 13,4% di preferenze. L’ultima stagione invernale (2023/24) ha registrato 3.711.069 presenze, un +11,56% rispetto alla stagione precedente, è stato un anno record anche per gli arrivi che sono cresciuti del 12,63%.

Ma quanto vale in numeri il settore degli impianti a fune? Per avere una stima, la Finaosta spa ha affidato alla società di consulenza Althesys Strategic Consultants di Milano uno studio sulle ricadute socio-economiche delle sei società funiviarie controllate dalla finanziaria regionale – la Cervino spa, la Courmayeur Mont Blanc Funivie spa, la Funivie Monte Bianco spa, la Funivie Piccolo San Bernardo spa, la Monterosa spa e la Pila spa – sul territorio valdostano. 

L’analisi, presentata lo scorso novembre, ha stimato il valore condiviso generato dal settore considerando, oltre all’attività degli impianti, anche quella dei loro fornitori e la spesa nel settore dell’ospitalità e dei servizi dei soli frequentatori dei comprensori sciistici nella stagione invernale e estiva 2022-2023. Il valore ammonta a 356 milioni di euro, pari al 7,6 del Pil regionale del 2023 e a 2.892 euro per ogni residente in Valle. Una cifra che “è sei volte i contributi stanziati per il settore negli ultimi tre anni”, si legge nello studio. 

L’arco alpino è una delle zone in cui l’incremento delle temperature sarà fino a tre volte maggiore rispetto alla media dell’emisfero boreale


Nel dettaglio, il numero comprende 92,2 milioni di euro di ricadute dirette delle attività sul sistema socio-economico, 158,2 milioni di ricadute indirette sul resto della filiera e i restanti 105,4 milioni di ricadute indotte dei consumi, degli investimenti e del gettito fiscale sull’economia. Nei risultati dello studio, la società di consulenza evidenzia che “ogni euro di ricavi negli impianti di risalita genera 3 euro di valore condiviso sul sistema economico valdostano” e “ogni euro di contributi regionali erogati al settore durante la stagione 2022-2023 ne genera 5,2 di gettito fiscale”.

Il settore produce anche “il 9,4% delle entrate fiscali regionali, concorre a creare oltre 4.500 occupati a tempo pieno, l’8,2% degli occupati della regione, generando 117 milioni di salari lordi“. Non solo. Gli impianti di risalita “garantiscono un ampio ritorno economico per le attività sul territorio”, si legge nell’analisi. Il 60% del valore condiviso riguarda l’ospitalità che vale 212 milioni di euro e che comprende le strutture ricettive (106,7 milioni di euro), le attività sportive e commerciali (56,6 milioni di euro) e la ristorazione (50,2 milioni di euro). Il contributo nei fornitori è dato principalmente dai servizi di supporto, come le agenzie di viaggio o le consulenze, per 4,7 milioni di euro. L’edilizia vale, invece, 1,9 milioni di euro. Cifre che portano la Althesys a evidenziare come gli impianti di risalita siano “un motore per l’economia valdostana, creando valore condiviso nel territorio con un forte effetto moltiplicativo”.

 

Le previsioni climatiche e le sfide del futuro

Gli impianti a fune in Valle d’Aosta, soprattutto nei grandi comprensori di Pila, Cervinia, Courmayeur e La Thuile, stanno continuando ad attirare turisti, creare posti lavoro e fatturare in positivo. Ma, la possibilità di praticare sport invernali dipende dalla frequenza e dall’affidabilità delle precipitazioni nevose. Precipitazioni nevose che – secondo le previsioni degli scienziati in questo caso il Rapport Climat stilato dalla Regione Valle d’Aosta nel 2019 – nei prossimi dieci anni subiranno variazioni notevoli. È previsto un aumento delle precipitazioni invernali (+15/+20%), in particolare di quelle piovose, e una riduzione delle precipitazioni nevose al di sotto di 2300/2500 metri. Inoltre, rispetto agli anni ’70, nelle Alpi settentrionali, la ​durata del manto nevoso tra 1100 e 2500 metri si è ridotta di 5 settimane.

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L’innevamento artificiale è la prima soluzione al problema della neve ed è in grado di fornire risultati anche piuttosto soddisfacenti: secondo gli scienziatiil numero di giorni durante le vacanze natalizie con almeno 30 cm di neve naturale e tecnica non subirà riduzioni né al 2030 né al 2050. Ma la neve artificiale è anche molto dispendiosa sia per quanto riguarda la risorsa idrica sia quella energetica e per sparare sono necessarie condizioni specifiche, ovvero i giorni di gelo (giorni dell’anno con temperatura minima <0°C) che secondo il Rapport Climat diminuiranno di circa il 10% entro il 2035 e del 16%/18% entro la fine del secolo nelle zone di media e alta montagna (dai 1000 metri in poi).

La seconda soluzione adottata è quella di spostare gli impianti sempre più in alto; è da anni allo studio un progetto nel Vallone protetto delle Cime Bianche tra la Val d’Ayas e la Valtournenche a quota 2980 metri, in cui si vorrebbe costruire un nuovo comprensorio sciistico dal costo stimato di oltre 150 milioni di euro, in parte finanziato dalla Regione.

Una proposta contestata anche per l’impatto ambientale di un’opera di queste proporzioni, soprattutto in una regione che conta diversi impianti di risalita abbandonati.

Come se non bastasse, gli studi climatici degli ultimi 20 anni (vedi i grafici qui sopra, in cui si nota la variazione della temperatura in relazione con la quota nel periodo analizzato, ndr) sostengono che l’arco alpino è una delle zone in cui l’incremento delle temperature sarà fino a tre volte maggiore rispetto alla media dell’emisfero boreale. Dall’elaborazione del Rapport Climat, nel 2019, abbiamo a disposizione solamente dati metereologici, quelli raccolti dal Centro Funzionale Regionale. Nel 2022 abbiamo vissuto uno degli anni con le temperature più alte di sempre, con medie annuali sopra lo zero anche a quote medio-alte (vedi grafico). Le temperature medie degli inverni (in media e alta montagna) sono sempre più alte della media storica di riferimento e lontane dai valori di fine secolo.

temperatura media annua
temperatura media annua

Le precipitazioni nevose, anche a causa dell’innalzamento delle temperature, stanno diminuendo: in particolare nella prima parte dell’inverno, tra novembre e dicembre. Questo è un grande problema per le stazioni sciistiche valdostane che spesso sono costrette a rimandare la data di apertura e a sparare neve artificiale con i cannoni per garantire l’apertura in tempo per il  ponte dell’Immacolata. 

altezza neve
altezza neve

A rendersi conto del problema, il 3 ottobre 2024, è arrivata anche la FIS. Come si legge sul sito ufficiale, infatti, “La Federazione Internazionale di Sci e Snowboard (FIS) e l’Organizzazione Meteorologica Mondiale (WMO) hanno annunciato una nuova partnership per sensibilizzare sul fatto che gli sport invernali e il turismo stanno affrontando un futuro incerto a causa del cambiamento climatico”.

Riuscirà lo sci a sopravvivere a queste prospettive in modo sostenibile o è destinato a diventare una pratica per pochi ricchi a costo di “sfruttare” una grande quantità di risorsa idrica ed energetica?

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C’ERA UNA VOLTA UN IMPIANTO A 1000 METRI

di Silvia Savoye

Challand
Challand

Gli effetti del cambiamento climatico non sono una realtà lontana: in Valle d’Aosta, molte località sciistiche a bassa quota sono oggi solo un ricordo.

C’è stato un tempo, non troppo lontano, che di neve in Valle d’Aosta ne cadeva tanta, anche a basse quote. Chi è nato fra gli anni Settanta e Ottanta ricorderà la gioia per quelle maxi nevicate che portavano le scuole a chiudere anche ad Aosta. Ricordi lontani. A ricordarci la presenza della Dama Bianca per tutto l’inverno anche sotto i 1000 metri di quota sono i resti di una ventina di impianti col tempo dismessi.
Sciovie dove migliaia di bambini valdostani hanno messo per la prima volta gli sci ai piedi, appassionandosi a questo sport: Ozein, frazione di Aymavilles a 1363 metri, Flassin, frazione di Saint-Oyen a 1280 metri, Semon, frazione di Saint-Denis a 1360 metri, Morgex a 920 metri, La Salle a 1000 metri o ancora Doues a 1.176 metri.

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Skilift di Ozein

Nel 1976, anno della fondazione dell’Associazione valdostana impianti a fune (Avif), la Valle d’Aosta contava ben 56 gestori di impianti sciistici.

Molte di queste aziende erano piccole realtà locali, nate grazie all’intraprendenza di poche persone e spesso senza alcun sostegno pubblico, fatta eccezione per alcuni interventi comunali.

Negli anni Ottanta, lo sci è diventato il motore principale del turismo valdostano, ma le piccole società sono state progressivamente travolte da due fattori critici: la scarsità di nevicate a basse quote e la difficile sostenibilità economica.

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Un esempio emblematico è la STICSA, la Società Turistica Incremento Challand-Saint-Anselme, fondata nel 1973. Con uno skilift a 1.000 metri di quota, ha operato per circa dieci anni. Oggi restano solo i pali, visibili dalla strada regionale, a testimoniare un passato ormai distante.

Negli anni Ottanta, alcune realtà iniziarono a consolidarsi e a investire in innovazione tecnologica, soprattutto con i primi impianti di innevamento artificiale: Champoluc nel 1985 e Val Veny nel 1986 furono pionieri in questo ambito. Si puntò a competere con Francia, Svizzera e altre realtà alpine migliorando l’offerta turistica.

Il settore si è progressivamente concentrato. Dalle 33 società attive negli anni Novanta si è passati a 29 all’inizio degli anni Duemila, per arrivare alle attuali 10 aziende che gestiscono 159 impianti. Questi hanno una capacità complessiva di poco meno di 240.000 persone all’ora e dispongono di 3.370 postazioni e 2.600 generatori per la produzione di neve programmata.

Rispetto agli anni ’70, nelle Alpi settentrionali, la ​durata del manto nevoso tra 1100 e 2500 metri si è ridotta di 5 settimane


Nonostante questa potenza tecnologica, gli inverni degli ultimi anni hanno spesso visto gli impianti fermi a causa di condizioni climatiche tutt’altro che invernali. Eppure, le società hanno registrato fatturati record, a dimostrazione della resilienza del settore, spinto dall’ottimizzazione dei sistemi di innevamento artificiale e dall’afflusso turistico.

Per fronteggiare le sfide del cambiamento climatico, la strategia delle aziende e della Regione punta su investimenti ambiziosi. Tra questi, lo stoccaggio di acqua in bacini artificiali, sistemi di innevamento più performanti e la realizzazione di mega comprensori a quote più alte. Tuttavia, resta aperta la domanda: quanto a lungo sarà sostenibile questo modello?

IL CAMBIAMENTO CLIMATICO COSTRINGE A CAMBIARE ROTTA

di Alice Dufour

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Il Comune di Saint-Vincent ha dovuto arrendersi all’evidenza: il cambiamento climatico rende impossibile garantire l’innevamento a quota 1.640 metri, compromettendo il futuro sciistico del Col de Joux. Anche l’attuale amministrazione, che nel 2020 aveva puntato sul rilancio del comprensorio durante la campagna elettorale, ha preso atto dell’incompatibilità tra l’aumento delle temperature e lo sci come attrattiva principale. La scelta è stata inevitabile: svincolare il destino del Colle dal turismo invernale tradizionale e puntare su alternative, come un bike park, in grado di valorizzare il territorio senza dipendere dalla neve. La seggiovia, ora revisionata, continuerà a funzionare, ma il suo scopo principale sarà quello di portare i bikers a monte, segnando così un cambio di prospettiva per l’intera area.

Col de Joux, la stazione sciistica “è un disastro”: i continui rinvii di apertura per assenza di neve

Col de Joux – Saint-Vincent (AO)

Dal 2014, anno in cui il comprensorio si amplia con una terza pista e vengono abbattuti oltre 600 alberi per allargare la pista già esistente, i dati testimoniano i continui rinvii di apertura degli impianti di risalita a causa della scarsità di neve. Nelle stagioni invernali dal 2014/2015 al 2016/2017 l’apertura degli impianti di risalita slitta a fine gennaio. Soltanto nel dicembre 2017, quindi durante la stagione 2017/2018, la stazione apre per le festività di fine anno.

Clima, costi di gestione, spese per la revisione della seggiovia, prossima alla scadenza, e continue chiusure per mancanza di neve mettono a rischio la sopravvivenza del piccolo comprensorio sciistico del Colle. L’allora Sindaco Mario Borgio nel maggio del 2019 invita l’intera popolazione a discutere sul futuro del Col de Joux. Per il primo cittadino, da un’analisi costi-benefici, la stazione sciistica “è un disastro”. Emerge quindi la necessità di trasformare l’offerta turistica del Colle proponendo delle soluzioni alternative allo sci.

Il cambiamento climatico rende impossibile garantire l’innevamento al Col de Joux (quota 1.640 metri)


“Salviamo il comprensorio sciistico del Col de Joux”

A distanza di qualche mese, a luglio 2019, arriva la petizione: “Vogliamo che il Col de Joux torni a essere un gioiello”. 750 firme per richiedere che la stazione sciistica del Colle non venga “né chiusa, né smantellata” e per insistere sulla necessità di procedere con la revisione della seggiovia.

Per tutta risposta, a ottobre 2019, la Giunta comunale affida una consulenza all’Università della Valle d’Aosta per valutare la sostenibilità economica della stazione sciistica, alla luce degli investimenti necessari per mantenere in funzione gli impianti. I risultati della ricerca mostreranno, fra le altre cose, che a Saint-Vincent 8 albergatori su 10 ritengono di nessuna importanza il mantenimento della stazione sciistica ai fini del risultato economico del proprio albergo.

Durante la stagione invernale 2019/2020 gli impianti di risalita non entrano in funzione. Debutta il “Fiabosco”, un parco esperienziale rivolto a famiglie con bambini. Durerà un solo inverno.

Il futuro del Col de Joux: la revisione della seggiovia e un’alternativa allo sci

Le elezioni del settembre 2020 segnano una svolta per il futuro del Col de Joux. Con la vittoria della lista “Noi con voi per Saint-Vincent” del candidato Sindaco Francesco Favre, diventa Assessore allo Sport, Ambiente e Montagna Alex Sabolo, primo firmatario della petizione.

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La neo eletta amministrazione, favorevole al mantenimento del comprensorio, sceglie di procedere con la revisione generale della seggiovia “Tête de Comagne”. La spesa complessiva ammonta a circa 650 mila euro. Costi che possono essere ulteriormente abbattuti grazie ai finanziamenti regionali per gli impianti a fune.

Salvaguardare il Col de Joux e le sue infrastrutture diventa una priorità senza però dimenticare gli effetti del cambiamento climatico. La Giunta Favre decide così di svincolare il futuro del Col de Joux dal turismo dello sci.

Il progetto del bike park si concretizza

Col de Joux foto Alice Dufour
Col de Joux foto Alice Dufour

Nel gennaio 2023 la società di consulenza turistica Dolomeet presenta il progetto, commissionato dal Comune di Saint-Vincent, per lo sviluppo dell’area: un bike park.

La volontà di costruire un bike park si concretizza a fine novembre 2023: 800 mila euro dal Fondo per lo sviluppo delle montagne italiane – FOSMIT arrivano nelle casse comunali per la valorizzazione dell’area del Col de Joux. Il finanziamento, stanziato dalla Giunta regionale, ha come primo obiettivo la riqualificazione degli impianti di risalita esistenti al fine di avviare la realizzazione di un bike park. Inoltre, nella seduta consiliare di aprile, la maggioranza approva una variazione di bilancio da 800 mila euro per la costruzione del bike park al Col de Joux. Le prime forniture del bike park – pump track e skill park, giochi legati al mondo delle due ruote – sono attese per l’estate 2025.

“PIÙ IN ALTO, PIÙ LONTANO, PIÙ VELOCE”

di Luca Ventrice

Cime Bianche, soluzioni progettuali
Cime Bianche, soluzioni progettuali

Se la neve a bassa quota è ormai poco più che un “miraggio”, il tentativo, ora, è quello di portare gli impianti più in alto. La questione – diventata nel frattempo politica e arrivata fino in Commissione europea –, qui in Valle,  ha un nome e un cognome: Cime Bianche.

Il vallone – che si sviluppa per dieci chilometri nel Comune di Ayas, passando dai 1.689 metri di Saint-Jacques ai 2.980 del Colle superiore delle Cime Bianche – è totalmente privo di impianti di risalita. Da qui, le visioni diametralmente opposte sul suo futuro: “l’ultimo vallone selvaggio” – e che tale deve rimanere – secondo il Comitato Ripartire dalle Cime Bianche, da un lato, e l’occasione di uno sviluppo economico e turistico che deriverebb eda un collegamento funiviario tra la Val d’Ayas e Cervinia, dall’altro.

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Il progetto è nei cassetti di piazza Deffeyes da tempo, ma l’inserimento nel Documento di economia e finanza della Regione 2024/26 era stato apostrofato dal Comitato come “una dichiarazione di guerra all’ambiente”. Anche quest’anno, però, la questione è stata scritta nero su bianco nel nuovo Defr. Tra gli investimenti strategici, come nel 2023, si parla de “l’avvio dell’iter autorizzatorio di fattibilità tecnico−economica per il collegamento intervallivo ‘Cime Bianche’”.

Il che significa: andare avanti con il progetto – lo studio di fattibilità è già stato affidato nel 2021, sfociato poi in uno scontro tutto interno allo stesso governo regionale – per stanziare le risorse economiche in seguito. E a promuovere il progetto è un altro Comitato, il Cervino Monterosa Ski Paradise, che lo ritiene un “fiore all’occhiello”.

Lato ambientalista, nel febbraio 2020 viene lanciata una petizione che ad oggi si avvicina alle 21mila firme, mentre quelle raccolte fisicamente dalla petizione popolare “Salviamo le Cime Bianche” – consegnate in Consiglio Valle – sono state oltre 2.300. Intanto, al Comitato si unisce anche il Cai, mentre nasce un ulteriore Comitato – “Insieme per le Cime Bianche” – che si presenta lanciando una raccolta fondi “con il fine di proteggere il vallone” (inserito nella Zona di Protezione Speciale, parte di Rete Natura 2000) e dicendosi pronto alla battaglia legale.

Una domanda resta però inevasa: alzare la quota degli impianti contribuirà davvero a “salvare” lo sci dal cambiamento climatico? E se sì, fino a quando?

Se la neve a bassa quota è ormai poco più che un “miraggio”, il tentativo, ora, è quello di portare gli impianti più in alto


“CHI È IN QUOTA VINCERÀ”

di Silvia Savoye

Il termometro è appena sopra lo zero termico, ma il sole che spunta dietro la montagna promette una calda giornata. Sono le 8 del mattino di un giorno feriale quando arriviamo al parcheggio di Frachey. Sono gli ultimi giorni di apertura per gli impianti di Champoluc di Monterosa Ski. Assieme a noi qualche turista, soprattutto straniero, si sta preparando per una delle ultime sciate. La neve, che si è fatta attendere per buona parte della stagione, è ora abbondante. Il paesaggio invernale inganna: basta calpestare la dama bianca per ricordarsi che siamo a metà aprile. Gli impianti, tra pochi giorni, chiuderanno, perché i passaggi, soprattutto quelli del fine settimana, parlano chiaro: i turisti sono tornati al mare.

La stagione (1° dicembre 2023 – 14 aprile 2024) di Monterosa Ski anche quest’anno è stata positiva, da record, come spiegherà settimane dopo, a consuntivo, la società. 21 milioni di euro di fatturato, 627.542 primi ingressi, per un aumento del 2,4% rispetto alla stagione precedente, 6.965.544 passaggi totali, +7,9%.

Un record messo anche quest’anno a dura prova dal meteo. Le precipitazioni nevose sono state irrilevanti in tutta la prima parte della stagione. Dal 1° dicembre gli impianti hanno potuto aprire grazie alla neve artificiale.

“Da circa dieci anni, Monte Rosa continua a investire in sistemi di innevamento sempre più performanti, che ci consentono, anche con pochi giorni di freddo, di preparare le piste per l’inizio stagione. Questo ci permette di garantire l’apertura già per il 7 o l’8 dicembre. Naturalmente, l’arrivo della neve naturale cambia il paesaggio e l’esperienza complessiva, ma riusciamo comunque a partire con una buona base innevata grazie alla tecnologia. racconta Giorgio Munari, amministratore delegato di Monterosa Ski – Per quanto riguarda l’approvvigionamento idrico, disponiamo di un bacino in quota e, soprattutto nella valle di Gressoney, utilizziamo un bacino gestito da Cva, da cui preleviamo l’acqua necessaria. Le riserve accumulate durante la primavera vengono poi utilizzate nei mesi di novembre e dicembre, durante la stagione dell’innevamento. A Champoluc, invece, utilizziamo ancora l’acqua della falda, ma i costi per produrre neve senza un lago in quota sono praticamente il doppio: circa un euro e mezzo al metro cubo di neve prodotta”.

L’energia necessaria per produrre la neve rappresenta una parte importante dei nostri costi operativi, pari al 15-20% del bilancio. Tuttavia, ci tengo a sottolineare che utilizziamo energia fornita da Cva, che è completamente pulita e rinnovabile. Inoltre, stiamo lavorando per rendere tutte le nostre operazioni più sostenibili: quest’anno, ad esempio, abbiamo già sperimentato l’utilizzo di gasolio biologico e speriamo, il prossimo anno, di riuscire a far funzionare i nostri gatti delle nevi esclusivamente con questo tipo di carburante rinnovabile.”


Ogni metro cubo di acqua permette a Monterosa Ski di produrre due metri cubi di neve. A stagione, la società riesce a produrre tra gli 800 e i 900 metri cubi di neve.

“E’ evidente che la quota stia diventando un fattore decisivo – riconosce Munari – poiché per effettuare l’innevamento è necessario un certo numero di giornate fredde. Da questo punto di vista, la Valle d’Aosta è in una posizione favorevole: rispetto al Trentino o anche all’Austria, le nostre piste si trovano circa 400 metri più in alto, il che ci dà una ragionevole speranza di poter continuare a svolgere la nostra attività. Per poter sparare la neve artificiale, abbiamo bisogno di una temperatura di almeno meno cinque gradi, calcolata sulla cosiddetta ‘temperatura umida’, che dipende da un mix di temperatura e umidità. Più l’aria è secca, meno è necessario che le temperature siano rigide. Al contrario, maggiore è l’umidità, più è necessario che faccia freddo affinché l’acqua possa cristallizzarsi e trasformarsi in neve. Tuttavia, devo sottolineare che, in alcune giornate, non siamo riusciti a produrre neve, soprattutto alle quote più basse. Al di sopra dei 2000 metri, però, la situazione è buona.”

L’attuale sistema richiede forti investimenti e conseguenti ammodernamenti.
“Per ottimizzare i consumi di energia e acqua, abbiamo installato radar sui nostri gatti delle nevi che rilevano costantemente l’altezza del manto nevoso. Questo sistema permette agli operatori di sapere esattamente quanta neve si trova sotto i mezzi, consentendo di gestirla in modo più efficiente, spostandola o spingendola solo quando necessario. Inoltre, quando dobbiamo rinforzare l’innevamento, i radar ci garantiscono di sparare neve esattamente dove serve, evitando sprechi sia di energia sia di acqua. Speriamo di costruire un altro bacino nella zona del Crest in modo da non prelevare più dalla falda di San ma azionare anche lì in primavera quest’acqua che ti serva per l’autunno”.

Ma per Monterosa Ski è sostenibile un futuro senza neve naturale?
“Posso dire di sì, perché già ora riusciamo a lavorare anche per uno o due mesi senza nevicate significative. Tuttavia, se mi chiedi se è bello e piacevole, ti direi di no, perché il paesaggio invernale non si limita alla pista innevata, ma include tutto ciò che lo circonda, dalla natura imbiancata che crea l’atmosfera tipica della stagione. Quando c’è solo una striscia di neve artificiale, l’effetto visivo è sicuramente meno appagante. Detto ciò, con qualche giornata di freddo riusciamo comunque a garantire un servizio adeguato alla clientela. Chi è in quota vincerà“.

BIONAZ, LA PATRIA DEL BIATHLON CHE PUNTA SULLO SNOWFARMING

di Orlando Bonserio

A Bionaz è un inizio di aprile caldo. In maglietta una decina di persone stanno coprendo con degli appositi teli una montagnola di neve. È il deposito dello snowfarming, un’attività su cui il comune della Valpelline ha deciso di investire da un paio d’anni: accumulare neve (artificiale) nel periodo invernale, stoccarla e poi utilizzarla già dall’autunno in una pista da sci di fondo e biathlon.

Bionaz, paesino della Valle d’Aosta a 1.600 metri di quota con 221 abitanti (dati Istat al 1° gennaio 2023), è la patria valdostana del biathlon. Agli scorsi Mondiali di Nove Mesto c’erano ben cinque bionassins: da Patrick Favre, allenatore della Francia femminile “pigliatutto”, a Mattia Nicase e Christian Favre, skiman e direttore tecnico dell’Italia, fino agli atleti Julien Petitjacques, che corre per il Belgio, e soprattutto Didier Bionaz, che con la staffetta mista azzurra è stato capace di vincere un argento ai Mondiali di Oberhof del 2023.

Proprio Didier Bionaz è una di quelle persone che stanno coprendo il cumulo di neve: “Quello che fa il Comune è un grande progetto”, dice. “Grazie allo snowfarming si può iniziare a sciare molto prima, già a novembre. È una tecnica che viene utilizzata da molto tempo in diversi posti, come Trentino o Scandinavia. Secondo me è un progetto che sarà il futuro degli sport invernali, perché col cambiamento climatico in atto è sempre più difficile poter sciare”.

L’amministrazione comunale di Bionaz, guidata dal sindaco Valter Nicase, crede e punta molto su questo progetto. “Vedere che insieme a noi ‘vecchietti’ ci sono i giovani a dare una mano mi fa capire che stiamo andando nella direzione giusta”, dice. “Abbiamo aperto l’impianto attorno al 10 novembre 2023, coprendo circa 1,3 km di pista. A novembre avevamo ad allenarsi comitati e sci club, persone che si fermano sul territorio, e a cui abbiamo dato un servizio. Siamo riusciti a fare una gara di biathlon a dicembre: erano 15 anni che non succedeva”.

Il cumulo di neve sorge proprio di fianco al poligono di tiro e alla pista (che d’estate viene utilizzata per lo skiroll). Nel primo anno sperimentale erano stati accumulati 3.400 metri cubi di neve, nel 2023 erano 4.300 e al termine dell’inverno 2024 erano 3.800. Prima di venire scoperto, inevitabilmente il mucchio diminuisce di una cifra che, per essere considerata positiva, si attesta attorno al 30%. “Il nostro obiettivo sarebbe aprire la prima settimana di novembre con una pista di 2 km, ma per farlo ci vorrebbero almeno 5-7.000 metri cubi di neve”, spiegava Nicase nell’aprile 2024.

Oggi, all’inizio della nuova stagione invernale, quei 3.800 metri cubi di neve sono diventati una pista da sci di fondo di 1 chilometro: “Abbiamo aperto il 16 novembre, quindi un po’ più tardi e con una pista un po’ più corta rispetto all’anno scorso”, commenta, “ma siamo comunque soddisfatti, perché il mucchio ha reagito bene con una perdita di poco più del 30%, anche se siamo ancora sotto il nostro obiettivo di accumulo. Sto valutando di spostare il mucchio da dov’è adesso, in un luogo ancora più all’ombra, perché è visivamente e logisticamente molto impattante e difficilmente si possono superare i 6.000 metri cubi”. I volumi di produzione – e di successiva perdita – dipendono ovviamente dalle condizioni climatiche. Nell’inverno 2023/24 si sono avuti dei mesi invernali molto caldi e con poche precipitazioni, causando uno scioglimento della neve abbastanza consistente.

Bionaz
Bionaz

Quindi, lo snowfarming è sostenibile? “Sono conti difficili da fare, perché il Comune e la Regione, che fortunatamente ha deciso di credere in questo progetto con una legge regionale, hanno investito spese importanti”, prosegue il Sindaco. “Probabilmente un privato non lo farebbe. Come detto, però, noi offriamo un servizio e facciamo venire persone sul territorio. Se io penso che quest’anno sia stata un’anomalia, con un mese e mezzo di temperature alte, allora si può andare avanti, ma se le cose continuano così o peggiorano diventa difficile. Credo che sopravviveranno solamente le stazioni che avranno tantissimo da investire, ma si arriverà a un punto in cui l’investimento sarà talmente importante che non converrà più farlo. Noi stessi abbiamo un impianto di innevamento che è minimo, ci accorgiamo che avremmo bisogno di un impianto più performante che sia in grado di coprire due chilometri in una settimana. Noi a queste quote ancora per una decina o ventina d’anni dovremmo riuscire a continuare a sciare, poi bisognerà ragionare diversamente. Noi ci stiamo attrezzando con lo skiroll, ma certo che fare una gara di skiroll a Bionaz a dicembre sarebbe davvero brutto”, conclude Valter Nicase con un sorriso amaro.

La situazione climatica non è diversa nel resto d’Europa e del mondo, e Didier Bionaz può fornirne una testimonianza diretta: “Tra Mondiali e Coppa del Mondo ho girato parecchio, e si fa sempre più fatica ad avere neve, oppure si trova caldo e pioggia, condizioni che un po’ di anni fa sicuramente non c’erano. Bisogna iniziare a ragionare su come agire, perché la situazione è complicata e bisogna fare attenzione. Ogni anno sembra davvero sempre più difficile”.

DALLO SCI DI DISCESA ALLO SCIALPINISMO E FREERIDE

di Orlando Bonserio

In una regione, la Valle d’Aosta, da sempre “dicotomizzata” tra sci di discesa e sci di fondo, con le rispettive località solitamente vocate ad una sola delle due discipline, mancava un’opzione in cui lo scialpinismo ed il freeride venissero in qualche modo riconosciuti. È proprio in questo che Saint-Rhémy-en-Bosses, piccolo comune nella Valle del Gran San Bernardo, ed in particolare Crévacol, hanno saputo emergere e differenziarsi, proponendo una vera e propria rete di circa 40 itinerari confluiti nel progetto Skialp Grand Saint Bernard, a cui si aggiungono quelli sul versante svizzero.

Da pratica di nicchia, lo scialpinismo è diventato molto popolare nel periodo del lockdown, con gli impianti di risalita chiusi ma con la possibilità di poter indossare gli sci con le pelli per risalire i pendii e scendere nella neve intonsa. Da allora in tanti hanno continuato a dedicarsi a quest’attività e la vallata del Gran San Bernardo ha saputo anticipare i tempiil progetto nasce nel 2018 ma l’idea è ancora precedente – venendo ripagata con una forte presenza turistica, anche straniera, e con prospettive nuove.

Pian piano, quindi, la piccola stazione di Crévacol sta mettendo in secondo piano la sua vocazione per lo sci di discesa – esiste un impianto gestito dalla Pila spa – per puntare su scialpinismo e freeride. Ettore Personnettaz incarna, vive e respira lo sport valdostano outdoor, in particolare queste due discipline e la splitboard, di cui ha anche scritto. Il progetto Skialp GSB rappresenta un punto di svolta: “Sono state fatte diverse azioni grazie al progetto, tra cui la costruzione di bivacchi, la creazione di un’associazione che raggruppa i diversi attori del territorio, e soprattutto la valorizzazione dei percorsi scialpinistici che già esistevano attraverso mappe e applicazioni”, spiega l’istruttore nazionale di snowboard. “Per valorizzare lo scialpinismo servono le strutture, i servizi, fare rete, ed è quello che è stato fatto con il progetto. In parallelo sono state anche organizzate diverse attività di sensibilizzazione e prevenzione: aumentando i frequentatori della montagna bisogna aumentare anche la consapevolezza e l’attenzione”. Tra le azioni legate alla diminuzione del rischio ci sono dei campi per insegnare l’utilizzo dell’attrezzatura di autosoccorso, di pala, artva e sonda. 

Crevacol
Crevacol

I cambiamenti climatici, infatti, non impattano soltanto su questa differenziazione della vocazione, ma anche sul discorso della sicurezza: “Vista l’imprevedibilità del meteo, spesso dopo una nevicata la gente si organizza per fare una gita e sfruttare la finestra giusta, anche se sarebbe meglio aspettare qualche giorno. Anche per noi professionisti la valutazione del rischio diventa sempre più complessa, perché passiamo da un weekend invernale ad uno primaverile”, continua Personnettaz. “Quando ero bambino nevicava meno ma più costantemente. Oggi ci ritroviamo con un metro e mezzo di neve, poi per un mese magari non nevica più, poi fa di nuovo un metro che si posa sulla neve sciolta e non compatta, anche a causa della sabbia del deserto, e questo crea molta instabilità e aumenta i pericoli. Il rischio zero non esiste, esiste il fattore ‘doppia F’: fortuna e fatalità”.

Personnettaz ha circa 40 anni di esperienza sulla neve ed è in grado di sottolineare come il mondo dello sci sia inesorabilmente cambiato: gli skilift che usava da bambino – a Doues, a Etroubles, a Flassin, al Col Menouve sul versante svizzero – non esistono più. “Le località sotto una certa quota e con una certa esposizione non possono più funzionare se non con l’innevamento artificiale. Ma io mi sono occupato per due anni di una piccola stazione sciistica, e se non ci sono determinate condizioni di clima e acqua sotto una certa quota diventa impossibile anche quello, è quasi un accanimento terapeutico”.





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