A Bari siamo abituati a pensare alle persone georgiane nelle nostre case, mentre si prendono cura dei nostri nonni o sono impegnate in lavori umili e silenziosi. È un triste stereotipo che parte dal fatto che la maggior parte delle donne georgiane è impiegata nel settore dell’assistenza domiciliare, fornendo supporto essenziale alle famiglie locali. Dietro questa immagine semplice c’è un popolo dalla grande dignità, un popolo che aspira alla libertà e ai valori europei, come dimostrato dalle continue mobilitazioni in patria e dalle aspirazioni di adesione all’Unione europea sancite dalla Costituzione georgiana.
La provincia di Bari, che ospita oltre cinquemila georgiani, la più grande comunità d’Italia, è oggi il palcoscenico di una protesta. Questa manifestazione collega il capoluogo pugliese alle piazze di Tbilisi, dove il popolo georgiano lotta per un futuro libero dall’influenza russa.
La manifestazione si è svolta davanti al Consolato georgiano di Bari, in via Nicolò De Nicolò, nel quartiere Madonnella. Una settantina tra italiani e georgiani, tra cui giovani studenti, hanno preso parte alla protesta, sventolando bandiere e gridando slogan contro il governo filo-russo di Irakli Khobadidze. Presenti anche rappresentanti della comunità ucraina, che hanno portato la loro solidarietà, consapevoli di condividere la stessa lotta per l’indipendenza e la libertà.
«Noi non siamo il nostro governo. Noi vogliamo l’Europa» — ha dichiarato Rusudan Gelashvili, in rappresentanza della comunità georgiana a Bari. La sua testimonianza è intrisa di emozione: racconta la paura, la sofferenza e la resistenza di chi è determinato a non cadere sotto il giogo russo. Rusudan parla dei suoi connazionali che manifestano giorno e notte in Georgia, pacificamente, cantando e ballando, ma che vengono brutalmente aggrediti dalla polizia appena scende la notte. «Le notizie dai nostri familiari ci arrivano di continuo — racconta — e sappiamo che quelli che manifestano in pace vengono picchiati, costretti a nascondersi. Noi siamo qui per essere solidali con loro».
In questi giorni, la situazione in Georgia è sempre più tesa. Da otto notti, i manifestanti pro-europei scendono nelle piazze, affrontando una dura repressione da parte del governo. A Tbilisi, le sedi di alcuni partiti di opposizione sono state perquisite e diversi leader arrestati, incluso Nika Gvaramia, malmenato dalla polizia prima di essere preso in custodia. Nonostante l’uso di idranti e gas lacrimogeni, e nonostante le temperature gelide, i manifestanti non si sono lasciati scoraggiare e continuano a sfidare il governo, chiedendo un futuro libero dall’influenza russa e il ripristino del percorso di adesione all’Unione Europea.
In piazza a Bari, accanto alle bandiere georgiane, sventolavano anche quelle ucraine. «Per noi la Georgia è come l’Ucraina. Siamo due popoli che lottano per la libertà. Ciò che sta accadendo oggi in Georgia è successo all’Ucraina nel 2014. Vogliamo vivere secondo le nostre regole, non vogliamo più essere sotto gli stivali della Russia», hanno dichiarato i rappresentanti della comunità ucraina presenti alla manifestazione. La comunità georgiana chiede nuove elezioni, denunciando il governo filorusso che ha, a loro dire, truccato le ultime consultazioni, allontanando il paese dall’adesione all’Unione Europea e avvicinandolo sempre più al regime di Vladimir Putin.
La protesta di Bari è un segno tangibile del legame che unisce le comunità georgiane in Europa con la patria. Con oltre duemila residenti georgiani solo nel capoluogo, questa comunità rappresenta una parte significativa della popolazione straniera locale, contribuendo non solo economicamente ma anche culturalmente, come dimostrato dall’apertura di ristoranti georgiani come l’Old Tbilisi. La scelta del governo di sospendere i negoziati di adesione all’Unione Europea fino al 2028 ha scatenato rabbia e indignazione. «Noi dobbiamo essere amici dell’Europa, come dice la nostra Costituzione. L’articolo 78 parla chiaro: è stato scritto dal popolo georgiano, e noi faremo tutto il possibile per aderire all’Unione Europea», conclude Gelashvili.
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