l’M23 è in Nord Kivu per restare

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Nell’ultimo report degli esperti si documenta un’organizzazione di stile statale per poter sfruttare le risorse della provincia

Rd Congo. Denuncia dell’ONU: l’M23 è in Nord Kivu per restare

C’è anche l’amministrazione «in stile statale» di risorse chiave come il coltan, con tanto di ministero designato, fra le azioni messe in campo dall’M23 in Nord Kivu, provincia nord orientale della Repubblica democratica del Congo in cui la milizia porta avanti un’offensiva da oltre tre anni. Una gestione parallela a quella ufficiale che serve a contrabbandare verso il Rwanda e come mai prima d’ora materie prime essenziali per la transizione energetica.

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A documentarlo è l’ultimo report semestrale del gruppo di esperti sulla Repubblica democratica del Congo delle Nazioni Unite, secondo cui la milizia sta puntando a un’«occupazione a lungo termine» della regione nell’ottica di sfruttarne il territorio. 

Occupazione per conto terzi 

Una presenza a lungo termine che avrebbe implicazioni non da poco per tutta l’area dei Grandi Laghi. Soprattutto perché per l’ONU – oltre che per Kinshasa – l’M23 è da considerarsi a tutti gli effetti un proxy del vicino Rwanda. Il cerchio attorno al governo del presidente Paul Kagame si sta stringendo in effetti.

Se già in passato ricerche dell’ONU avevano documentato il sostegno rwandese alla milizia, gli ultimi due report del gruppo di esperti definiscono in modo molto dettagliato i contorni di questo supporto. L’esercito rwandese sarebbe presente sul territorio congolese con fino a 4mila unità, un numero pari o forse superiore a quello dei guerriglieri dello stesso M23, e alla milizia fornirebbe supporto a tutti i livelli. Compresi armamenti di ultima generazione in violazione dell’embargo delle Nazioni Unite valido per i gruppi armati non statali. 

E l’UE?

Ma le analisi contenute nel documento dell’ONU dovrebbero interrogare anche l’Unione Europea. Bruxelles ha siglato con Kigali un controverso e contestato protocollo d’intesa per la cooperazione sulle materie prime “critiche”, fra le quali proprio il coltan che il Rwanda otterrebbe in larga parte dai traffici garantiti dall’M23.

L’UE inoltre, sostiene economicamente le forze armate rwandesi di stanza nel nord del Mozambico. Diversi analisti e attivisti hanno fatto notare i rischi di travaso di risorse fra i due scenari che vedono impegnati le truppe di Kigali.

Un’eventualità questa, che  in realtà sarebbe esclusa dai termini dell’accordo con il Rwanda. Nonostante questo, il già citato report di luglio degli esperti ONU ha documentato come ci siano già stati trasferimenti di personale dal Mozambico alla Rd Congo, anche fra figure di alto rango come l’ex comandante dei militari schierati nel paese dell’Africa australe, il maggiore-colonello Nkubito.

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Il contesto: gli scontri sul campo e i negoziati 

Il contesto generale è quello di un’offensiva che l’M23 ha lanciato in Nord Kivu sul finire del 2021 e che ha contribuito alla fuga di circa due milioni di persone, più di 100mila solo nella prima settimana dell’anno. Negli ultimi giorni gli scontri si sono concentrati attorno alla cittadina di Masisi, rilevante centro da oltre 40mila abitanti situato a meno di 100 chilometri dal capoluogo Goma. Dopo una serie di rapidi avvicendamenti, la località sembra essere caduta nella mani dell’M23. 

Kinshasa e Kigali proseguono da mesi dei negoziati diplomatici mediati dall’Angola nell’ambito di un’iniziativa regionale, mentre un’azione negoziale parallela per la pace mediata dal Kenya è per adesso in una fase di stallo.

La mediazione del presidente angolano João Lourenço ha portato a un cessate il fuoco che però è stato presto disatteso sia dall’M23 che da milizie alleate dall’esercito. Diversi tentativi di avanzare verso una tregua sono falliti, anche all’ultimo momento.

Uno dei nodi principali resta il supporto di Kigali all’M23. Il Rwanda vorrebbe infatti che Kinshasa negoziasse direttamente con la milizia. Il governo del presidente Félix Tshisekedi considera il gruppo armato un organizzazione terroristica e respinge con forza questa eventualità. 

Come detto, il peso di Kigali emerge con chiarezza dall’analisi degli esperti ONU. Il Rwanda avrebbe avuto un ruolo fondamentale nelle conquiste territoriali che l’M23 ha fatto registrare nell’ultimo anno.

Da aprile a novembre del 2024 l’area controllata dal gruppo armato è cresciuta del 30% mentre nei sei mesi precedenti era aumentata addirittura del 70%, stando a quanto riportato nella precedente edizioni del report ONU. Nel documento si legge che durante l’avanzata nel territorio di Walilake, ricco di minerali, «ogni unità dell’M23 era supervisionata e supportata dalle forze speciali rwandesi». 

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Il ruolo dell’AFC congolese 

L’M23 è nato nel 2012 da un ammutinamento all’interno delle forze armate congolesi ed è composto perlopiù da persone appartenenti alla comunità dei tutsi. La difesa degli interessi di questo gruppo è ufficialmente il primo obiettivo di questa milizia, che accusa il governo centrale di discriminare le persone di questa comunità e di aver abbandonato le regioni dove abitano. Nell’affrontare il conflitto che vede l’M23 protagonista non sono quindi da sottovalutare le dinamiche interne congolesi.

Lo dimostra l’alleanza con il gruppo politico-militare dissidente Alliance Fleuve Congo (AFC), nato a Nairobi nel dicembre 2023 su iniziativa dell’ex presidente della Commissione elettorale congolese Corneille Nangaa. Lo scorso agosto, il politico è stato condannato a morte in contumacia da un tribunale militare di Kinshasa per vari reati, fra i quali tradimento e crimini di guerra. Secondo gli esperti delle Nazioni Unite, l’M23 è di fatto il «braccio armato» del partito. 

Joint venture del saccheggio 

Il Rwanda resta però anche il principale partner dell’M23 nel suo saccheggio delle risorse minerarie del Nord Kivu. Dallo scorso aprile i miliziani controllano anche la miniera di Rubaya, una delle più importanti riserve di coltan del pianeta, distante appena 50 chilometri dal confine rwandese. Più del 60% di tutta la produzione mondiale di questo minerale proviene da Rd Congo e Rwanda.

Secondo quanto calcolato nell’ultimo report degli esperti ONU, l’M23 gestisce il contrabbando di circa 150 tonnellate di coltan al mese, guadagnando all’incirca 800mila dollari dalla tassazione su produzione e commercio del minerale.

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Cifre ancora più elevate di quelle denunciate lo scorso ottobre da Bintou Keita, rappresentante speciale del segretario generale delle Nazioni Unite in Rd Congo nonché guida della missione dell’ONU nel paese, la MONUSCO. La dirigente aveva parlato di un guadagno di circa 300mila dollari al mese per l’M23. 

A colpire però è soprattutto il grado di organizzazione mostrato dall’M23, che nella zona di Rubaya avrebbe istituito un “ministero” responsabile dello sfruttamento minerario che fornisce permessi ai minatori e ai commercianti e che ha raddoppiato gli stipendi dei minatori per convincerli a continuare a lavorare nelle miniere.

Il risultato di un tale livello di articolazione è che, secondo gli specialisti dell’ONU, le catene di approvvigionamento delle cosiddette 3T – tantalio (componente del coltan), tungsteno e stagno (in inglese, tin) – non sono mai state così tanto «contaminate» da minerali da conflitto come oggi.

Una valutazione che mette in una nuova luce la denuncia avanzata da Kinshasa nei confronti di filiale europee di Apple. La multinazionale è stata accusata di utilizzare minerali saccheggiati dal paese. La compagnia ha però respinto quanto sostenuto dal governo congolese, sostenendo di aver già chiesto ai suoi fornitori di non acquistare minerali provenienti da Rd Congo e Rwanda a causa del persistere di una situazione di conflitto. 

La risposta di Kagame 

Qual è la versione di Kigali? Il presidente Kagame ha negato il coinvolgimento rwandese nell’avanzata dell’M23. Il capo di stato, al potere dal 2000 ma alla sostanziale guida del paese dal 1994,  ha inoltre definito come «fine a se stesso» il processo di Luanda. 

Il leader rwandese ha poi spostato l’attenzione su quella che è considerata la vera emergenza da Kigali: il supporto congolese alle Forze democratiche per la liberazione del Rwanda (FLDR), milizia fondata in Rd Congo da veterani di alto grado del genocidio del 1994 appartenenti alla comunità hutu. Nella visione rwandese, Kinshasa sosterebbe questo gruppo armato con l’intento di destabilizzare il vicino. 

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L’esecutivo del presidente Tshisekedi si sarebbe in teoria impegnato a mettere fuori dai giochi il gruppo armato nell’ambito del processo di Luanda (contestualmente però, al ritiro delle truppe rwandesi). A detta di Kigali, questo non sta avvenendo.

Una valutazione che trova sostanziale riscontro in quanto descritto nel report ONU su cui si concentra questo articolo: se è vero che le forze armate congolesi hanno lanciato un’offensiva contro le posizioni della milizia nei mesi scorsi, è anche vero che questa si è dimostrata inefficace.

Nessuno esponente di spicco delle FDLR è stato arrestato mentre, cosa ancor più grave, fra i vertici dell’esercito schierato in Nord Kivu sono emersi sostanziali disaccordi rispetto alla gestione del rapporto con la milizia.

Gli esperti dell’ONU concludono che Kinshasa continua a fare sistematico affidamento su uomini del gruppo armato oggetto delle attenzioni di Kigali. 

Confessioni di un guerrigliero 

Non da ultimo, un’intervista a uno dei leader dell’M23 pubblicata nei giorni scorsi dall’emittente Al Jazeera ha permesso di fare maggior luce sulle posizioni della milizia.

Bertrand Bisimwa, questo il nome del dirigente del gruppo armato, ha affermato che l’offensiva della sua organizzazione rappresenta una «lotta per la sopravvivenza» a fronte dei sistematici abusi contro la popolazione tutsi, usata dal governo congolese come «capro espiatorio» dei suoi fallimenti. Il guerrigliero ha accusato il governo congolese di numerosi voltafaccia e tradimenti durante le fasi negoziali. 

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Sollecitato sulla gestione della miniera di Rubaya infine, Bisimwa ha affermato che l’ingresso nell’area della miniera si è reso necessario solo perchè questa zona ospitava un centro di addestramento gestito dall’esercito del Burundi e da milizie sue alleate (Bujumbura è un altro degli attori coinvolti nel conflitto nell’est della Rd Congo).

In quanto allo sfruttamento dei minerali, il leader dell’M23 ha riconosciuto che la milizia percepisce una «piccola tassa» per garantire il funzionamento del sito minerario e nulla di più. Anzi, Bisimwa ha sottolineato che l’intervento dell’M23 ha messo fine allo sfruttamento di minori e donne incinte che veniva permesso a Rubaya prima del loro arrivo. 





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