L’Avvocatura generale dello Stato: «Differire il divieto della non rieleggibilità consente alle Regioni di rinviarlo sine die»
L’Avvocatura generale dello Stato, in rappresentanza del presidente del Consiglio dei ministri, nel ricorso presentato alla Corte costituzionale asserisce che «la legge (16/2024 della Regione Campania, ndr ) oggi censurata, ribadendo il divieto di terzo mandato, questa volta in maniera esplicita e specifica (sulla base del primo periodo della disposizione censurata: “Non è immediatamente rieleggibile alla carica di Presidente della Giunta regionale chi, allo scadere del secondo mandato, ha già ricoperto ininterrottamente tale carica per due mandati consecutivi” ), produce il solo effetto (sulla base del secondo periodo della disposizione: “Ai fini dell’applicazione della presente disposizione, il computo dei mandati decorre da quello in corso di espletamento alla data di entrata in vigore della presente legge ”) di far decorrere ex novo il computo dei mandati, privando di efficacia e sterilizzando quelli già svolti, ad eccezione di quello in corso. In questo modo — è riportato nel ricorso ex articolo 127 della Costituzione — si genera un quadro elusivo in base al quale una nuova legiferazione regionale in materia, che è iniziativa in astratto di certo non preclusa ai Consigli regionali, avrebbe l’effetto di rendere irrilevante lo svolgimento di mandati già effettuati dal singolo soggetto di volta in volta interessato».
Il differimento
Dunque, per la parte ricorrente, lasciando ampio esercizio legiferativo al Consiglio regionale della Campania in materia di legislazione concorrente, si corre il rischio di moltiplicare all’infinito — a seconda delle convenienze del presidente della giunta di turno — il tentativo di differire l’effetto della norma statale sui limiti dei mandati. Da qui la necessità di affermare che «la disciplina del sistema elettorale e dei casi di ineleggibilità e di incompatibilità del presidente e degli altri componenti della giunta regionale è demandata alla potestà normativa della Regione»; tuttavia «nei limiti dei principi fondamentali stabiliti con legge statale». E si è ancora più espliciti successivamente, quando si ravvisa il rischio che «se si ammettesse che le Regioni siano libere di differire l’operare del divieto della non rieleggibilità dopo il secondo mandato consecutivo, e se addirittura si concedesse che il principio debba essere necessariamente e formalmente recepito dalla legislazione regionale per essere operante, senza peraltro porre alcun termine al recepimento, ne deriverebbe che le Regioni resterebbero del tutto libere di ridimensionarne la portata precettiva e, addirittura, di rinviarne l’attuazione sine die». Ovviamente, le argomentazioni tecniche riecheggiano stringenti motivazioni di carattere democratico, come l’esigenza «di prevenire rischi di concentrazione e di personalizzazione del potere».
Il principio applicativo
Peraltro, nel ricorso alla Consulta si difende la efficacia autoapplicativa delle leggi statali, punto sul quale, invece, insistono le controdeduzioni che la dirigente dell’Ufficio attività normativa della Regione Campania, Josè Fezza, ha inviato alla presidenza del Consiglio («In relazione all’ipotesi di mancata approvazione delle disposizioni regionali volte a recepire i principi fissati dalla legislazione statale nessuna disposizione normativa — si asserisce — offre spunto per far ritenere che la norma statale, in assenza di recepimento, sia autoapplicativa. Al contrario — è aggiunto — a porre rimedio ad eventuali inadempimenti, provvede sempre la citata legge statale n. 131/2003, la quale all’art. 8, prevede e disciplina il potere sostitutivo previsto dall’art. 120 della Costituzione». Ma per l’Avvocatura generale dello Stato non è così, tanto che «non può obiettarsi che le norme di leggi cornice non sarebbero suscettibili di diretta applicazione, in quanto ben può il legislatore nazionale dettare norme di dettaglio che rispondano, come nel caso di specie, ad una prevalente esigenza di disciplina uniforme a livello nazionale». E il riferimento giurisprudenziale suggerito è la sentenza n.70 del 2020 che ha escluso l’incostituzionalità di norme di dettaglio statali in tema di governo del territorio.
La norma campana
Ma torniamo alla legge elettorale campana 4/2009 successiva alla legge statale 165 del 2004. L’Avvocatura, riportando le disposizioni dell’articolo 1, cita il punto 3, con il quale si definisce che «si applicano, inoltre, in quanto compatibili con la presente legge, le altre disposizioni statali o regionali, anche di natura regolamentare, vigenti in materia». Pertanto, sottolineano i ricorrenti, «dovrebbe comunque ritenersi vigente, fin dal 2009, anche la limitazione del numero dei mandati e ciò in virtù di un richiamo alle ulteriori disposizioni statali vigenti chiaramente onnicomprensivo, in quanto esteso finanche alle disposizioni regolamentari; e, quindi, ampiamente, ed autonomamente, sufficiente a fondare l’applicabilità anche della menzionata disposizione recata dalla legge n. 165 del 2004, la quale certamente non può ritenersi ostacolata dalla generale condizione di compatibilità fissata dal rinvio medesimo». Insomma, per la presidenza del Consiglio, le obiezioni opposte dalla Regione Campania non sarebbero da accogliere, ma da respingere. E in particolare «si ritiene che l’articolo 1, comma 1 della legge impugnata sia illegittimo per violazione dell’articolo 122 della Costituzione in relazione all’art. 2, lett. f), della legge n. 165 del 2004, nonché per contrasto con l’articolo 3 (principio di uguaglianza e ragionevolezza) e con l’articolo 51 (principio di uguaglianza nell’accesso alle cariche elettive) della Costituzione».
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