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Stellantis: come erogare dividenti scintillanti senza vendere automobili

Stellantis: in latino, “scintillante”. Il logo, secondo i creatori,  è «la rappresentazione visiva dello spirito di ottimismo, energia e rinnovamento di un’azienda diversificata e innovativa, determinata a diventare uno dei nuovi leader della prossima era della mobilità sostenibile».

Le prime pagine di notiziari, giornali e social network pullulano in questi giorni della notizia secondo cui il dimissionario/dimissionato AD di Stellantis (società nata dalla fusione tra Fiat Chrysler e PSA-Peugeot Citroen), Carlos Tavares, incasserebbe una buonuscita di 100 milioni di euro dopo avere gestito in maniera industrialmente sciagurata la società, in caduta libera sia nei ricavi, sia nel numero di auto vendute – con particolare crollo nel settore elettrico – sia, ovviamente, nel numero degli addetti, quando non già licenziati, spesso in cassa integrazione; per tacere dell’altrettanto grave problema di tutto l’indotto.

Non mi permetto in questa sede di fare considerazioni sulla crisi dell’industria nel nostro paese e in particolare del settore dell’ automotive in Europa, dentro la quale la situazione di Stellantis è un drammatico “di cui” (siamo anche alla vigilia di un imponente sciopero in Wolkswagen ad opera del più rappresentativo sindacato metalmeccanico europeo, la IG Metall). Sono talmente tante le variabili e le concause di questa crisi che mi sentirei inadeguato a fare un ragionamento non banale su uno dei processi economici che rappresentano in modo plastico – questo si può dire – i morti e i feriti lasciati sulla strada della “transizione ecologica”, quando non viene gestita con la indispensabile capacità strategica.  Peraltro, gestire in modo appropriato, che si faccia gli ingegneri, i manager, i climatologi o i politici, un processo di questa portata non è affatto uno scherzo.

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Quello che invece vorrei focalizzare è il rapporto, da molti considerato (giustamente) immorale, da molti ritenuto (meno giustamente) inspiegabile, tra gli emolumenti di Tavares – ricordiamo anche il suo ultimo stipendio annuo da 23 milioni di euro –  e i pessimi risultati industriali del gruppo che ha guidato per quattro anni. Chi lo giudica immorale, disgustoso, fa una elementare considerazione umana, anche se forse figlia di un umanesimo naif, vista la spietatezza connaturata al rapporto globale tra capitale e lavoro. Chi lo giudica inspiegabile commette un errore di correlazione: pensa, sbagliando, che il valore attribuito dal Consiglio di Amministrazione a Tavares sia correlato unicamente ai risultati industriali dell’azienda. Non è così.

Se ti viene dato un obiettivo non prevalentemente industriale, ma prevalentemente finanziario, cioè garantire ai tuoi azionisti di riferimento dividendi stellari, tanto per stare in tema, e tu lo fai, il tuo obiettivo principale lo hai raggiunto. Negli ultimi quattro anni Stellantis ha fatto distribuire dividendi per circa 23 miliardi di euro. Negli stessi anni, tra il 2021 e il 2024, negli stabilimenti italiani dell’ex Fiat si è passati da 53.000 a 40.000 dipendenti: -25%. Senza minimamente preoccuparsi di distrarre i soldi (6,3 miliardi) prestati dal governo Conte 2 dallo scopo industriale cui erano destinati, Tavares senza alcuna opposizione distribuì 5 miliardi di utili agli azionisti – primo tra tutti Exor, la cassaforte degli Agnelli ed Elkann, primi responsabili di questa deriva. C’è un dato che racconta il succo della faccenda: lo Stato italiano ha erogato a Stellantis, in tre anni, 703 milioni in ammortizzatori sociali (cassa integrazione). Nello stesso periodo di tempo, Tavares si è portato a casa da solo un settimo di quella cifra, e la Exor circa due miliardi in dividendi.

Quando un amministratore delegato riempie le tasche degli azionisti di soldi e contemporaneamente sposta le produzioni fuori dall’Italia, peraltro commettendo gravi errori strategici – ma non tattici, se guardiamo alla consistenza del suo portafoglio – appare evidente che la sua mission principale aveva a che fare con la finanza, non con l’industria. Questa mission viene trasfusa negli accordi privatistici tra l’AD e la società, e questa “trasfusione” viene operata prima di conferirgli l’incarico: bonus legati all’andamento dell’azione nel breve termine, non solo nel medio e lungo. Bonus legati alla misura dei dividendi erogati ai soci. Patti chiari, amicizia lunga: lunga quel tanto che basta per diventare tutti ricchi sfondati, dove per tutti si intendono i contraenti del patto che privatizza i profitti e socializza le perdite. Molte aziende hanno aggiornato in questo senso da tempo le politiche di remunerazione del top management, e quelle che lo stanno facendo adesso seguono la cresta di un’onda scellerata. Questi patti indicano che la proprietà fa una scelta netta e inequivocabile a favore di uno stakeholder (se stessa) a scapito degli altri due: clienti e dipendenti(diretti e indiretti). Infatti, come si fa ad erogare utili monstre rischiando di mandare a picco le prospettive industriali di un’azienda? Si fa aumentando i prezzi delle auto e tagliando i costi, alias delocalizzando dove la manodopera costa meno ed espellendo personale.  Peccato che poi le tue auto sono troppo costose, i clienti se ne accorgono e preferiscono comprare veicoli cinesi, e tu te la cavi dicendo che la colpa è del fatto che gli incentivi statali europei per favorire l’acquisto di auto elettriche sono troppo bassi.

Ci sarebbe qualcosa di osceno in questa ostentazione spudorata della propria arrogante autodifesa, se non fosse che è il concetto stesso di oscenità che va rivisto alla luce degli ultimi decenni di capitalismo finanziario. Abbiamo salutato con favore l’evoluzione libertaria del costume che ha spostato molto in avanti la frontiera del comune senso del pudore, ma forse abbiamo esagerato. Adesso il senso del pudore è morto, e con esso il ritegno e la vergogna.

 

 

E’ avvocato, ma ha fatto il bancario per avere uno stipendio. Fa il sindacalista per colpa di Lama, Trentin e Berlinguer. Scrive romanzi sui rapporti umani per vedere se dal letame nascono i fiori.



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