Tramandare la cancellazione degli attivisti: una battaglia culturale

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L’attacco intenzionale alle opere d’arte è una tradizione che precede la nozione giuridica di patrimonio culturale. La damnatio memoriae a Geta, il falò delle vanità di Savonarola, tra gli altri, sono esempi storici che ci aiutano a comprendere il valore culturale dell’interazione ostile con il patrimonio storico. A Roma, centinaia di vandali sparano ogni giorno, da decenni, proiettili metallici contro una fontana barocca. Sicuramente, se la tradizione turistica non fosse stata quella di lanciare soldi, ma piccole pietre, sarebbe stata perseguita penalmente.

Tuttavia, parlare di “iconoclastia” sarebbe impreciso per il paradigma degli attivisti del clima: essi non cercano di danneggiare le icone. Non cercano rappresentazioni figurative, né la loro distruzione. Le nuove tecnologie permettono di accontentare entrambe le parti: gli attivisti avranno la loro fotografia con cui ottenere la pubblicità che merita una crisi come il collasso climatico; il museo manterrà intatta l’opera. Salvatore Settis sostiene giustamente che la damnatio memoriae non mira a cancellare l’opera, ma a mostrare l’attacco, poiché il residuo dell’immagine è essenziale al proceso; così come la neoiconoclastia è un’azione performativa [1]. Nel caso degli attivisti climatici questo residuo è fittizio, una costruzione di quella che Umberto Eco chiamò “macchina del fango”. E questo è confermato dalle istituzioni culturali “colpite”, compresi i rapporti della Sovrintendenza Capitolina: non ci sono stati danni.

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Quale può essere il motivo di tanto stigma nei confronti degli attivisti se non distruggono beni culturali? Cosa differenzia l’attivista che tinge di nero la Fontana di Trevi e affigge manifesti “Ultima Generazione” dalle campagne pubblicitarie di Fendi? La stessa cosa che fa la differenza tra il lancio di pietre e quello di monete: il loro vantaggio economico. Ma c’è molto di più. Autorità pubbliche di diverso colore, ma con posizioni vicine, si sono pronunciate sulla prima azione a Trevi, un evento che accomuna l’ex ministro Sangiuliano e il sindaco Gualtieri, che hanno criminalizzato gli attivisti sul social X prima di conoscere la valutazione del danno, che di fatto è stato nullo. Le cronache dei vari giornali hanno ripetuto ed evocato le stesse idee: ignoranza, terrorismo, vandalismo, distruzione. Il fatto è che gli interessi del patrimonio culturale sono una potente arma politica. Nell’ottobre del 2023, un gruppo di attivisti contrari al genocidio del popolo palestinese decise di apporre una bandiera su Castel Sant’Elmo, ricevendo le critiche dell’ex ministro che avvertì:

“Non ci sarà alcun tipo di tolleranza verso coloro che permetteranno di esporre striscioni o vessilli a favore di Hamas sui beni culturali delle città italiane. Per quanto riguarda quanto accaduto ieri a Napoli, in particolare a Castel Sant’Elmo, dov’è stata esposta una bandiera della Palestina, poi immediatamente rimossa, viste le manifestazioni annunciate per le prossime ore, ho chiesto al Direttore generale dei Musei, Massimo Osanna, responsabile ad interim dei musei campani, la massima attenzione affinché nessuno utilizzi i siti culturali statali per esibire simboli anti-Israele”.

Sangiuliano si era già espresso sulle azioni climatiche qualche mese prima con un comunicato in cui affermava che “la cultura, che è alla base della nostra identità, va difesa e tutelata, non certo usata come megafono per altre forme di protesta”. Tuttavia, tralasciando il significato che l’ex ministro ha dato alla bandiera palestinese, la credibilità del comunicato è discutibile, dal momento che l’azione di Napoli è stata solo una risposta “dal basso” all’appropriazione del patrimonio culturale da parte del governo Meloni, quando ha proiettato la bandiera israeliana sull’Arco di Tito. Il patrimonio culturale è subordinato a interessi di parte? È lecito sostenere un massacro con il patrimonio di tutti? Chi, ad esempio, combatte per il drama del genocidio al popolo palestinese, è escluso dall’identità culturale? La questione è molto più complessa.

Sebbene l’attivismo climatico non abbia danneggiato il patrimonio culturale italiano, questo è messo in pericolo dalla crisi climatica. Allagamenti di archivi e centri culturali nel nord Italia, incendi boschivi in parchi naturali e archeologici nel sud. Tuttavia, i media non parlano di eco-terrorismo in questi casi di distruzione del patrimonio, né ricevono la dovuta indignazione sociale e mediatica. È molto coerente che, nel bel mezzo di catastrofi legate all’inquinamento, i gruppi di attivisti si indignino per il museo. Da un lato, perché l’impegno ambientale è un obbligo dell’istituzione. Dall’altro, perché è un atto di vanità contemplare un paesaggio verde in un olio su tela nella navata centrale di una galleria d’arte mentre i veri parchi naturali bruciano; ma è ancora peggio indignarsi nel vedere il primo (protetto da un vetro) coperto da un minestrone ed essere indifferenti al secondo. Un punto di riferimento per le azioni di attivismo climatico contemporaneo è stata l’azione di Mary Richardson durante la sua lotta per il suffragio femminile. L’attivista manifestò l’alienazione della società rispetto alla situazione delle donne colpendo la Venere di Velázquez alla National Gallery nel 1914 [2].

I “Girasoli” e “Il Seminatore” di Van Gogh; il “Giardino dell’artista a Giverny” di Monet; la “Primavera” di Botticelli; “Il carro di fieno” di Constable o le stesse fontane di Roma, che evocano fiumi e oceani, sono indiscutibilmente opere suscettibili di protesta climatica perché il loro soggetto è intrinseco a questa realtà. Anche se l’assessore alla cultura di Roma ha coniato il termine “ecoidioti” [3], è chiaro che queste azioni hanno un riflesso artistico, estetico e culturale che nessuno storico dovrebbe sottovalutare.

D’altra parte, la Convenzione di Faro, firmata dal Consiglio d’Europa nel 2005, è entrata nell’ordinamento italiano con 15 anni di ritardo. La convenzione non richiede l’applicazione di alcuna legge in modo obbligatorio; quindi, il suo valore è di fatto comunicativo. La sua ratifica nel 2020 non ha avuto alcun effetto giuridico. Questo trattato internazionale, che il sottosegretario Sgarbi ha definito “una schifezza del politicamente corretto” [4], è il documento che garantisce una reale ed effettiva democratizzazione del patrimonio culturale. Riconosce ad ogni individuo il diritto di beneficiare del patrimonio culturale e che l’esercizio di tale diritto possa essere soggetto solo alle limitazioni necessarie in una società democratica per la protezione dell’interesse pubblico, sottolineando l’interesse europeo per il valore pubblico dell’arte, con riferimento all’articolo 27 della Dichiarazione Universale dei Diritti Umani. La Convenzione sostiene, inoltre, l’accesso al patrimonio culturale e la partecipazione democratica, impegnando le parti a incoraggiare la comunità alla partecipazione al processo di riflessione e dibattito pubblico sulle opportunità e le sfide rappresentate dal patrimonio culturale.

Lontano dalla democratizzazione dei beni culturali attraverso il dialogo sociale e i canali partecipativi, nel gennaio 2024 il governo italiano ha approvato la cosiddetta “Legge ecovandali”, che rappresenta il più alto aumento di sanzioni penali e amministrative nella legislazione europea a causa degli attivisti del clima negli ultimi due anni. Prima di questa legge, il governo Draghi aveva già approvato una riforma del Codice penale, nota come Legge Orlando-Franceschini, che aumentava le sanzioni pecuniarie e le pene detentive per l’imbrattamento di beni culturali. La legge del governo Meloni non solo innalza nuovamente le pene (questa volta fino a 40.000 euro), ma crea anche un reato penale per l’imbrattamento di teche dei musei. Tuttavia, questa privatizzazione dell’uso effettivo dei beni culturali per via penale costituisce una grave minaccia per la libera espressione come diritto costituzionale, avvicinando il paradigma italiano alla pena inflitta agli attivisti di Just Stop Oil nel Regno Unito, condannati a tre anni di carcere per aver gettato zuppa di pomodoro sul vetro che proteggeva la tela dei “Girasoli”.

Insomma, diventa urgente ripensare le politiche pubbliche e il ruolo del patrimonio culturale, la cui fruizione appartiene alle comunità (e non agli Stati o ai governi). Recita Luigi Gallo alla Camera dei Deputati nel 2017:

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Bisogna trasformare i luoghi pubblici culturali, il paesaggio, i beni artistici e gli spazi per promuovere un’attività di ricerca e azione degli studenti, che li renda di nuovo cittadini protagonisti del proprio quartiere e non semplici spettatori che non possono né toccare né vivere la città, e magari non possono neanche appunto abbracciare un monumento, la statua della propria città.

L’attivismo, sia esso climatico, femminista, antimperialista, antifascista, antirazzista (e una lunga lista di movimenti in difesa dei Diritti Umani –sempre meno garantiti–), è un’espressione culturale. Così come l’abbattimento delle statue della Liberazione. Così come l’erezione di nuove statue. Così come la patrimonializzazione come fenomeno sociale e giuridico. Tuttavia, seguendo i precetti di Giannini del 1970, il patrimonio culturale, in quanto entità esclusivamente immateriale, deve essere protetto nella sua immaterialità. Vale a dire, nella sua funzione sociale e pubblica. Pertanto, le politiche repressive e le riforme del Codice penale non fanno altro che danneggiare l’effettiva conservazione del patrimonio culturale, ovvero il suo valore pubblico per le comunità contemporanee. Lontano da quanto auspicato dal Consiglio d’Europa, il paradigma italiano mostra una recessione della libertà di espressione e delle libertà culturali che, insieme al turismo di massa e liberale, porta a un allontanamento in termini identitari e affettivi tra società e patrimonio culturale.

NOTE

[1] Cfr. Settis, S. (2017; 2022)
[2] Cfr. Richardson, M. (1953)
[3]Cfr. Carta, M (2022)
[4 ]Cfr. Adnkronos (2020)

RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI

Carta, Marco. “Liquido nero a Fontana di Trevi. Nuovo blitz degli eco-attivisti”. La Repubblica, 22 maggio 2022.

Richardson, Mary. Laugh a Defiance. London: George Weidenfield & Nicolson, 1953.

Settis, Salvatore. Cieli d’Europa. Milano: Fondazione Cassa di Risparmio di Pistoia e Pescia, 2017.

—. “Tramandare la cancellazione delle immagini”. Il Manifesto, 28 agosto 2022.

“Sgarbi: Convenzione Faro è una schifezza del politicamente corretto’”. Adnkronos, 24 settembre 2020.

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ABSTRACT

Actions by environmental activists at Italian cultural sites have highlighted the tension between conservation and enjoyment of cultural heritage, which is always considered immaterial. This study examines how heritage, seen as a ‘witness of civilisation’, is instrumentalised by entities and governments, and argues for a democratisation of its use, in favour of communities rather than states, as stated in the Faro Convention ratified in Italian law.



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