Nei campi profughi Saharawi gli attivisti di Solidarity Rising

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di Renato Viviani, dai campi profughi saharawi nel deserto algerino

Il 5, 6 e 7 gennaio 2025 si è tenuto, nel campo profughi Saharawi di Boujdour, il summit di Solidarity Rising, organizzazione fondata dagli attivisti svedesi Sanna Ghotbi, co-fondatrice di Digidem Lab che si occupa di promuovere la democrazia partecipativa e Benjamin Ladraa, difensore dei diritti umani. I due attivisti hanno pedalato, in quasi tre anni, per oltre 30.000 chilometri attraverso 30 paesi, dalla Svezia al Giappone passando per l’Italia, per sensibilizzare l’opinione pubblica mondiale sul problema del Sahara Occidentale, l’ex provincia spagnola occupata dal Marocco dal 1975. La grande marcia si è conclusa proprio nei campi profughi saharawi nel deserto algerino.

Sanna Ghotbi apre i lavori del Summit (foto di Renato Viviani)

Il Solidarity Rising Summit ha visto la partecipazione di oltre settanta persone, tra cui attivisti, studenti, fotografi, accademici provenienti da Svezia, Palestina, Italia, Lituania, Germania , Algeria, Croazia, Giappone, Colombia, Portogallo, Australia, Spagna. La mattina del 5 gennaio i partecipanti sono stati accolti, come in un grande abbraccio, dall’allegria festante delle donne di Boujdour, che hanno accompagnato Sanna e Benjamin alla sede dell’incontro.  Dopo i saluti delle autorità Saharawi, tra cui il Ministro della Gioventù e dello Sport e la sindaca di Boujdour, i lavori sono iniziati con l’intervento del Rappresentante del Fronte Polisario (l’organizzazione fondata nel maggio 1973 come movimento di liberazione nazionale del Sahara Occidentale) all’ONU, Sidi Omar, Coordinatore della Missione delle Nazioni Unite per il Referendum nel Sahara Occidentale (Minurso). Il summit ha avuto momenti forti, come la visita al Museo della Resistenza, ma anche momenti toccanti, come gli interventi di attivisti palestinesi e del Rojava. Una solidarietà intersezionale che si estende dai campi profughi Saharawi alla Palestina, al Kurdistan, a Timor Est, alla Colombia e oltre.

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Numerosi gli interventi che si sono susseguiti nei tre giorni: da Damir Vujnovac, fotografo, a Pedro Pinto Leite, giurista internazionale e segretario IPJET, da Najla Mohammed Lamin, saharawi impegnata sui diritti delle donne, a Karem Schamberger, attivista per il Rojava e molti altri. Tra gli altri l’intervento di Mahfud Beshri, attivista Saharawi per i diritti umani e per il clima nei campi profughi. Beshri è anche co-fondatore del team di coordinamento della piattaforma “Il Sahara Occidentale non è in vendita”, lanciata nel 2021 dalla società civile Saharawi per fare campagna contro le multinazionali coinvolte nel saccheggio delle risorse naturali del territorio e il rispetto del diritto internazionale. Nel suo intervento ha sottolineato come il muro marocchino che separa il Sahara Occidentale dai campi profughi e si estende per 2700 km, abbia avuto e continui ad avere un impatto devastante sulla vita del popolo Sahrawi. Oltre al suo impatto sociale e psicologico nel separare le famiglie tra aree occupate, aree liberate e campi profughi, il muro colpisce anche l’economia dei Saharawi, tradizionalmente basata sul bestiame, perché ostacola la loro libertà di movimento. Il popolo Saharawi vive di fatto in una grande prigione sotto l’occupazione marocchina, con violazioni sistematiche dei diritti umani ignorate dalla comunità internazionale. Beshri ha inoltre evidenziato l’impatto negativo che il muro, nel corso degli anni, ha avuto sull’ambiente: ha alterato la superficie del terreno rendendola più vulnerabile. Si tratta inoltre di una barriera che impedisce il flusso delle acque tra i due lati del confine.

Sanna e Benjamin davanti al plastico del muro al Museo della Resistenza (foto di Renato Viviani)

Altra presenza di spicco al summit è quella di Greta Thunberg, arrivata ai campi dopo una settimana di viaggio fatto in treno, autobus, auto, traghetto e poi di nuovo in auto per attraversare l’Algeria. La giovane attivista ha espresso subito la sua impressione: la determinazione dei Saharawi nel lottare per i propri diritti, incluso il fondamentale diritto all’autodeterminazione, nonostante questi siano stati sistematicamente privati, rubati e negati. Ha evidenziando come questo dei Saharawi sia uno tra gli esempi più chiari di ingiustizia climatica, legata strettamente all’estrazione e al saccheggio delle risorse naturali da parte del Marocco, un’azione che si intreccia con l’occupazione stessa. Ha sottolineato che, come attivisti per il clima, è fondamentale preoccuparsi e parlare di questioni come quelle del Sahara Occidentale, poiché il conflitto e l’occupazione sono parte integrante delle ingiustizie sociali e climatiche.

Greta Thunberg al Summit (foto di Renato Viviani)

Sullo stesso tema, si è espresso Tommaso Marconi, studente di ecologia politica a Barcellona e attivista internazionale. Ha parlato di quanto il Sahara Occidentale rappresenti un esempio emblematico: due terzi del territorio sono stati occupati dall’esercito marocchino dal 1975, e ora il Marocco utilizza la transizione verde come principale strumento per giustificare e proseguire l’occupazione. La strategia marocchina mira a rafforzare le relazioni economiche ed energetiche con i paesi africani, in particolare con la Nigeria, offrendo in cambio il riconoscimento della sua occupazione illegale. L’occupazione marocchina non è solo una questione geopolitica, ma entra e modella le possibilità della vita quotidiana nelle case Saharawi, ad esempio attraverso le frequenti interruzioni di corrente.

Durante la tre giorni si è dato anche un workshop sulla resistenza non violenta e sulle idee pratiche per campagne di lotta, sia all’interno di un territorio occupato, sia fuori. Questo workshop è stato condotto da Marcela Agudelo Diaz, professoressa alla Universidad Externado de Colombia, e Stellan Vinthagen, professore di sociologia e titolare della cattedra di studio dell’azione diretta non violenta e della resistenza civile presso l’Università del Massachusetts. Durante lo workshop, Stellan ha riflettuto sulle sfide attuali delle occupazioni prolungate, come quelle in Palestina, Sahara Occidentale, West Papua, Kashmir o Tibet, notando come oggi sembri più difficile porre fine a queste situazioni rispetto al passato, quando, nell’allora mondo bipolare, molte dittature sono cadute. Per Stellan, lo sviluppo di una strategia efficace per un Sahara Occidentale libero, giusto e democratico deve partire da un’analisi approfondita delle risorse e dei poteri che sostengono la colonizzazione marocchina, nonché di quelli che supportano la resistenza Saharawi. Ha sottolineato l’importanza della Resistenza Nonviolenta nel selezionare gli aspetti deboli della colonizzazione marocchina da indebolire e nel rafforzare i punti forti del movimento Saharawi. Ha evidenziato come il successo dipenda dalla mobilitazione di nuove risorse e competenze, dall’impegno condiviso, e dalla partecipazione attiva di tutti, ognuno con un ruolo ben definito nel lungo cammino verso la libertà.

Solidarietà tra Saharawi e Kurdi (foto di Renato Viviani)

Il summit si è concluso con una suggestiva e spettacolare passeggiata nel deserto. Tra alte dune di sabbia, è stata allestita una grande haima, la tenda tradizionale del popolo saharawi. Qui abbiamo atteso il tramonto, sorseggiando tè, accompagnati da canti e musica. La haima è un simbolo potente di resistenza e identità Saharawi. Significativo è che nei territori sotto occupazione marocchina una legge ne vieta la costruzione e tutte quelle esistenti sono state distrutte.

*In copertina i partecipanti davanti al Museo della Resistenza (foto di Renato Viviani)





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