I guadagni esportati nei “paradisi fiscali” sottraggono 10 miliardi l’anno allo Stato

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Non è il caso di arrivare fino ai lontani Caraibi, per evitare di pagare le tasse quando i soldi in tasca sono tanti. Già, perché i micro-Stati che aiutano i ricchi italiani a “rubare” al fisco, cioè a tutti noi, sono a pochissime ore di aereo: non uno, bensì quattro staterelli in cima alla classifica dei paradisi fiscali nel mondo sono in Europa, cioè il continente che più “ruba” al suo stesso erario.

Il World inequality lab, cioè il laboratorio sulla disuguaglianza nel mondo, ha completato una ricerca che l’Associazione artigiani e piccoli imprese di Mestre (nota con l’acronimo Cgia) ha preso come base per un proprio focus sulle possibilità di evadere o eludere il fisco italiano grazie proprio ai paradisi fiscali, cioè gli Stati che campano soprattutto delle ridotte, ma non poche, tasse versate dai ricconi con la bandiera tricolore. E ha stilato una classifica, il Laboratorio mondiale sulla disuguaglianza, dei primi cinque Stati che fanno incetta di tasse appunto ridotte generate da fatturati realizzati nei vari Paesi europei.

E allora, leggiamo chi c’è in questa cinquina dell’evasione fiscale: il Principato di Monaco, il Granducato del Lussemburgo (Paese fondatore del primo nucleo dell’Unione europea, assieme a Olanda e Belgio, il famoso Benelux da cui tutto è iniziato), e poi il Liechtenstein e le isole Channel, che sono situate nel Canale della Manica. Le Channel Islands non fanno parte del Regno Unito, ma dipendono comunque dalla Corona britannica. Solo al quinto posto della classifica dei Paradisi fiscali del mondo c’è uno Stato che non fa parte dell’Unione europea: sono le isole Bermuda. Tutti posti con pochissimi abitanti, tutti luoghi in cui il reddito pro capite è spaventosamente alto.

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Si lascia l’Italia e ci si trasferisce in particolare a Montecarlo e in Lussemburgo. Almeno sulla carta, considerato che poi quegli italiani li ritroviamo qui in Italia. Sono persone che hanno trasferito la residenza perché lì non pagano tasse sul reddito, e nemmeno sugli immobili di proprietà, infatti ci sono i più ricchi: industriali, sportivi di rilevanza mondiale e star dello spettacolo. Per quanto riguarda il Lussemburgo, l’offerta è allettante: sei banche italiane, una cinquantina di fondi d’investimento, diverse assicurazioni e molte multinazionali, italiane e straniere, che operano nel territorio del nostro Paese, ma pagano le tasse (poche) a quegli staterelli.

E l’Italia perde gettito. La Cgia di Mestre ha stimato che il nostro fisco non incassi circa 10 miliardi di euro all’anno che invece sarebbero dovuto, e che è una cifra di tutto rispetto: tutti di super-ricchi con la residenza all’estero, oltre che manovre al limite del lecito delle multinazionali e dei grandi gruppi industriali del Belpaese. Loro pagano poche tasse all’estero e impoveriscono la “loro” Italia. La stessa Cgia fa alcuni esempi: quei ricconi evasori utilizzano le nostre infrastrutture come porti, aeroporti, strade e ferrovie e anche quelle sociali: giustizia, sanità, scuola e università. Poi sfruttano le infrastrutture materiali come le reti informatiche, e a offrire loro tutto questo sono gli italiani che pagano le tasse.

Se non dovesse bastare, c’è pure un’aggravante. Spesso queste holding si insediano in Italia sfruttando agevolazioni e incentivi pubblici, e quando sono in difficoltà attingono a piene mani dall’Inps per gli ammortizzatori sociali: molti più soldi di quanti ne versano. Insomma, sono i dracula delle casse pubbliche del nostro Paese.

Quelle tasse pagate (in misura minima) nei Paradisi fiscali ovviamente sono sottratte al nostro fisco, e finisce così che le diseguaglianze aumentano, la povertà cresce e i cittadini devono pagare di più per utilizzare servizi spesso insoddisfacenti.

La Cgia cita uno studio di Mediobanca secondo il quale nel 2022 le società controllate dalle prime 25 multinazionali del web presenti in Italia hanno fatturato 9,3 miliardi di euro. Ma all’erario hanno versato la bazzecola di 206 milioni in imposte. E le multinazionali presenti in Italia attraverso società controllate sono 18.434.

Per combattere questo “incasso e non pago” (le tasse), nel 2024 in Italia è arrivata la Global minimum tax, ma secondo gli studi il gettito della sola applicazione dell’aliquota del 15 per cento sulle multinazionali non sarà significativo. Ecco i numeri: quest’anno ci si aspetta un incasso per l’erario di 381,3 milioni di euro, l’anno prossimo quasi 428 milioni, che diventano 432,5 nel 2027.

Peraltro, a pesare sullo scenario delle entrate fiscali italiane è che la metà del fatturato italiano è prodotto dalle multinazionali. Se si esamina la questione dal lato degli addetti, a fronte di un totale di 17,6 milioni nel nostro Paese, gli occupati nelle multinazionali italiane e straniere sono 3,5 milioni: il venti per cento, dunque. Il sistema produttivo è accreditato di 4.322 miliardi di euro, mentre la quota riconducibile alle big company è di 1.975.

Il problema più grave sono gli elusori fiscali, cioè quelli che scappano con i soldi all’estero aggirando il fisco, quindi versando zero euro. E poi ci sono gli evasori, che le tasse le pagano ma non tutte, anzi: spesso in piccola parte rispetto a quanto dovrebbero versare. Quel che avanza lo spendono in Italia, il che è comunque meglio che esportare quelle cifre all’estero, perché così non c’è nemmeno un rientro.

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Ma che cos’è un Paradiso fiscale, tecnicamente? I requisiti li ha fissati l’Ocse (l’Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico): sostanziale mancanza di imposte sui redditi per le imprese costituite nel loro territorio, assenza di norme che obblighino le società a svolgere un’attività effettiva d’impresa. Poi c’è poca trasparenza del sistema legislativo e amministrativo. Mancano infine le informazioni fiscali tra i “Paradisi” per garantire la potestà impositiva. E così la guerra all’evasione e all’elusione è persa in partenza.

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