Peppone e l’ingrediente segreto di Fratelli La Bufala: la gratitudine

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«Ho sempre pensato che la gente non scelga un posto solo perché si mangia bene, ma perché ci si sente bene»

L’11 gennaio si celebra la Giornata mondiale del Grazie, un invito a riflettere sull’importanza di una parola tanto semplice quanto potente: “grazie”. Questo piccolo gesto di riconoscenza può trasformare relazioni, rafforzare legami e farci apprezzare ciò che abbiamo. Lo sa bene Giuseppe Ferrante, conosciuto come Peppone, che ha costruito il successo della sua pizzeria a Reggio Calabria su un profondo senso di gratitudine. Gratitudine verso la sua squadra, che considera il motore del suo locale, verso la sua famiglia, verso i clienti che ogni giorno scelgono il suo locale e verso la vita stessa, che gli ha permesso di trasformare una passione in una storia di successo.



La storia di Peppone è, infatti, una testimonianza viva del potere della gratitudine. Nato e cresciuto a Napoli, ha iniziato la sua carriera nella pizzeria di famiglia, una pizzeria di quartiere dove già a 11 anni ha imparato il mestiere. Quando ha scelto di lasciare la sua città per crescere professionalmente, ha portato con sé non solo la maestria della tradizione pizzaiola napoletana, ma anche un profondo senso di riconoscenza verso chiunque abbia contribuito al suo cammino. La gratitudine di Peppone non si esprime solo nei confronti delle persone che hanno creduto in lui, ma anche attraverso il lavoro quotidiano.

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Per lui, “grazie” significa prendersi cura della qualità dei prodotti che offre, conoscere chi li produce e rispettare le storie e le tradizioni di questo territorio. Significa anche mettere al centro i suoi collaboratori, garantendo loro non solo una crescita professionale, ma anche rispetto per il loro tempo e la loro vita privata.


«Senza la mia squadra, non sarei qui oggi». Cresciuto ad acqua e farina, Peppone sviluppa fin da piccolo una forte passione per la cucina. «Ho iniziato nella pizzeria di famiglia. Vivevo in un quartiere un po’ particolare di Napoli, Fuorigrotta, vicino allo stadio San Paolo. Mio padre, per tenermi lontano dalla strada, mi portava con sé a lavorare in pizzeria». Una pizzeria di quartiere, dove si faceva tutto. Peppone passa dal lavare i piatti a preparare crocchè e poi arancini, frittatine, portare le pizze al tavolo, ma anche pulire i bagni.

«Questa gavetta è stata la mia forza, perché sono partito dal basso e conosco tutte le problematiche che possono sorgere in un ristorante, in ogni mansione.» In quella pizzeria, Peppone ci lavora ogni giorno, senza fare distinzione tra sabati, domeniche o festività. «Poi mio padre, nello stesso modo in cui cercò di portarmi in pizzeria, tentò anche di farmi allontanare, perché toglievo tempo alla scuola. Sono figlio unico e per me voleva una strada diversa,» racconta. Il suo percorso era però già tracciato.

«Sognavo di diventare poliziotto, vinsi il concorso, ma per un problema fisico non mi presero. Poi vinsi un altro concorso come capotreno nelle Ferrovie dello Stato, ma rifiutai il posto fisso perché avevo capito che la mia strada era la pizzeria.» Una scelta che causò tensioni familiari, portandolo alla decisione di lasciare Napoli. «Mia madre, mi ha sempre appoggiato. Tagliare quel cordone ombelicale è stata una decisione durissima, ma sapevo che per crescere, non sarei potuto rimanere nella pizzeria di famiglia». La capitale gli apre nuove porte, facendo un po’ di spazio in più ai suoi sogni. È a Roma, che avviene l’incontro con Geppi Marotta, fondatore della catena “Fratelli La Bufala”.

Peppone e l’inizio del progetto Fratelli La Bufala

«Era il 1998, avevo 18 anni e stavo facendo esperienza in una pizzeria del centro, frequentata da personaggi dello spettacolo. Geppi Marotta veniva spesso in quel locale e mi parlò del progetto “Fratelli La Bufala”. Mi appassionai subito a lui come persona e lasciai Roma per seguirlo in questa avventura». L’intuizione di Geppi Marotta si rivelò vincente: fu il primo imprenditore a creare una catena di pizzerie, portando la pizza napoletana nel mondo. «Per me è stato come un padre, mi ha insegnato molto. Purtroppo, non c’è più, ma gli sarò sempre grato». Negli anni, la gratitudine di Peppone viene ripagata e il suo talento lo porta a viaggiare per il mondo.


«Ho iniziato come dipendente, ma poco dopo Geppi mi affidò l’avviamento dei locali. Facevo lo start-up, insegnavo il nostro metodo ai pizzaioli e poi partivo per un’altra città. Così per una decina d’anni, viaggiando da Dubai a Miami, da New York a Shanghai». L’animo imprenditoriale non tarda a farsi strada. «Ad ogni apertura, Geppi mi chiedeva: ‘Vuoi un bonus o preferisci una piccola quota, in uno dei locali?’ E io sceglievo sempre la quota. È così che è iniziata la mia carriera imprenditoriale». Nonostante il successo, lo spirito di Peppone è rimasto invariato: in pizzeria si presenta con la divisa bianca, come i suoi collaboratori, pronto a dare una mano dove serve, anche a lavare i piatti, mantenendo quell’umiltà che lo ha sempre contraddistinto. L’incontro con Reggio Calabria avviene nel 2010, inizialmente come un ripiego.

L’avventura di Peppone con Fratelli La Bufala a Reggio Calabria ha inizio

«Dovevo aprire un locale a Firenze, ma nel frattempo un’altra persona aveva trovato un locale a Reggio Calabria. Marotta mi propose Reggio Calabria. Non conoscevo la città e accettai per gratitudine, ma dentro di me speravo che l’esperienza durasse poco. Siamo stati, penso dopo McDonald’s, il primo franchising a sbarcare qui nel Sud Italia». La scelta di Reggio Calabria fu priva di entusiasmo, ma una volta arrivato fu amore a prima vista. «Questa città me la sono tatuata sulla pelle – cosa che non ho fatto neanche per Napoli. Pensa che oggi a Napoli torno volentieri, guai a chi me la tocca, ma dopo tre giorni voglio tornare a Reggio. Pensavo di rimanere il tempo di avviare il locale, poi ho conosciuto Anna e non me ne sono più andato».

Quando parla di sua moglie, gli occhi brillano un po’ di più. Un’unione forte e duratura nata all’interno delle mura del locale. «Anna era una mia collaboratrice, ma da subito si è creato un feeling speciale. È stata la cosa più bella che mi sia capitata e qui dentro siamo cresciuti assieme». Ascoltando Peppone, sembra che a Reggio Calabria non manchi nulla: bellezza, cibo genuino, calore umano, forza delle relazioni. Tuttavia, la sua integrazione nella città non è stata immediata. «Quando aprii il locale, molti mi guardavano con diffidenza. Dicevano: ‘Non fare il napoletano’, inteso come imbroglione. Il calabrese, però, è particolare: se dimostri di essere una persona sincera e leale, ti accoglie con il cuore».

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Oggi, infatti, Peppone è considerato più reggino di molti reggini, per strada lo chiamano il Sindaco e la sua pizzeria supera in successo tutte le altre della catena Fratelli La Bufala, incluse quelle di Dubai, Milano e Roma.

Alla domanda se nel suo locale si mangi la vera pizza napoletana, lui risponde con orgoglio: «Qui si mangia la pizza di Peppone». Dal 2020, durante la pandemia, ha acquisito le quote societarie del locale, pur mantenendo il nome del marchio. «Ho mantenuto il nome Fratelli La Bufala perché tutto ciò che ho realizzato è grazie a questo marchio. Non ho mai guardato ai soldi, le cose sono venute da sole, forse perché sono rimasto sempre fedele alle mie idee e ai miei valori». Un merito però se lo riconosce, quello di essere un leader più che un capo e di aver puntato sulle persone.

«Ho sempre pensato che la gente non scelga un posto solo perché si mangia bene, ma perché ci si sente bene e qui avviene questo. All’inizio ho fatto molti sacrifici per formare i ragazzi a modo mio ma se hanno un problema durante la notte chiamano me. Qualcosa vorrà dire». Sorge spontanea la domanda se qualcosa non sia andato come desiderava. Ed è proprio in quel momento che i suoi occhi si inumidiscono, cala il silenzio, e traspare un’evidente commozione.


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«All’inizio, questo lavoro mi ha portato via molto tempo. Mio padre era malato, ma io ero sempre qui. Mi sono sposato a quarant’anni, non avevo vita privata né sociale. Forse il sacrificio più grande l’ha fatto la mia famiglia, non io, perché per me questo è divertimento. Durante i loro compleanni mi capitava di dire: ‘Non posso venire’, perché ero magari dall’altra parte del mondo». Questa consapevolezza ha spinto Peppone ad adottare il suo “Modello Svizzera” con i collaboratori: «Faccio fare qualche turno in meno ai dipendenti per dar loro più tempo libero. Se hanno un evento importante cambiano turno». Una scelta che ha portato la sua pizzeria a contare fino a 52 dipendenti il sabato. Ma, come ha ribadito spesso, il vero motore del suo successo è stato il team: «Senza di loro non sarei andato da nessuna parte».





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