L’Italia fa molta fatica a creare i nuovi posti negli asili previsti dal PNRR

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Mercoledì l’Ufficio parlamentare di bilancio (UPB), l’organismo indipendente che vigila sulla finanza pubblica e sulla politica economica del governo, ha pubblicato uno studio sullo stato di attuazione di uno degli obiettivi più rilevanti fissati dal Piano nazionale di ripresa e resilienza (PNRR): quello sull’aumento dei posti negli asili nido e nelle scuole materne.

La ricerca dell’UPB, molto scrupolosa e affidabile, mostra grossi ritardi del governo e delle amministrazioni locali nell’attuazione del progetto, che rischiano di essere confermati nei prossimi due anni. I ritardi riguardano sia quanti soldi sono stati spesi rispetto ai fondi stanziati, sia lo stato di avanzamento dei lavori. L’UPB ha fatto alcune simulazioni e ipotizzato vari scenari (ci torniamo): in quello più verosimile l’Italia creerebbe circa 133mila nuovi posti negli asili nido e nelle scuole materne, cioè 17.400 in meno rispetto agli obiettivi indicati nel PNRR.

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Il PNRR è il piano con cui l’Italia intende spendere i soldi stanziati dall’Unione Europea per uscire dalla crisi dovuta alla pandemia, che sono molti (quasi 200 miliardi) ma devono rispettare tante scadenze e obiettivi intermedi, se non li si vuole perdere. Quello degli asili è un tema già discusso da tempo e importante per molte persone, perché il potenziamento dei servizi per l’infanzia ha grosse ricadute sulla vita di chi ha figli, soprattutto giovani e donne lavoratrici. Ormai da tempo poi ha acquisito anche una certa rilevanza politica, perché intorno alle scelte del governo di Giorgia Meloni su questi progetti si sono sviluppate diverse polemiche politiche.

Se la previsione dell’Ufficio parlamentare di bilancio dovesse verificarsi, le conseguenze sarebbero gravi: da una parte la rete nazionale degli asili non verrebbe potenziata come era stato preventivato, dall’altra il mancato raggiungimento dell’obiettivo del PNRR potrebbe far perdere all’Italia i fondi europei previsti, compromettendo parzialmente la realizzazione del Piano.

– Leggi anche: L’attuazione del PNRR procede bene ma non benissimo

Le difficoltà sulla creazione di nuovi posti nei nidi e nelle materne sono note da tempo, al punto che il governo di Meloni, nel novembre del 2023, aveva concordato con la Commissione Europea di ridimensionare gli obiettivi e prolungare i tempi di realizzazione dei progetti: non più 264.480 nuovi posti da realizzare entro dicembre del 2025, ma 150.480 nuovi posti entro giugno del 2026. Già quella era stata una scelta non indolore, perché aveva comportato una contestuale riduzione dei fondi del PNRR a disposizione dell’Italia per questo obiettivo: da circa 4,6 a circa 3,2 miliardi, quindi 1,4 miliardi in meno, che l’Italia aveva dovuto coprire in gran parte con fondi nazionali.

Ora però anche questo obiettivo più modesto appare molto improbabile. Lo dimostra anzitutto lo stato di avanzamento della spesa, cioè il contatore dei soldi effettivamente utilizzati per aprire e portare avanti i cantieri, un parametro che è di solito piuttosto indicativo. Secondo il programma definito dal governo, entro il 2024 avrebbero dovuto essere spesi 1,7 miliardi di euro. «Al 9 dicembre 2024 – si legge nel report dell’UPB – ne risultano effettivamente utilizzati circa la metà», cioè 816,7 milioni. Dunque finora è stato speso poco più di un quarto (il 25,2 per cento) dei 3,24 miliardi di euro previsti nel PNRR: vuol dire dunque che il 75 per cento, cioè i restanti 2,4 miliardi, andrebbe speso entro giugno 2026. Sembra improbabile perché significherebbe procedere a un ritmo enormemente più rapido rispetto a quello seguito finora.

Un flash mob di +Europa in piazza Montecitorio per chiedere che i fondi del PNRR per gli asili nido non vengano perduti, il 5 maggio 2023 (Roberto Monaldo/LaPresse)

Questa lentezza nella spesa riflette evidentemente l’affanno nel realizzare le opere. Dei 3.199 progetti che risultano finanziati, la stragrande maggioranza, cioè 2.240, sono in fase di esecuzione, cioè in uno stato di avanzamento che si potrebbe definire intermedio. Solo 88 sono già conclusi, mentre ce ne sono 81 in fase di progettazione, dunque in più evidente ritardo. È sulla base di questi e altri dati che l’UPB ha svolto le sue simulazioni, per provare a capire con una certa approssimazione quale sarà verosimilmente il numero di nuovi posti in asili nido e materne che potrebbero essere davvero realizzati entro il 2026.

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Sono comunque proiezioni, vanno considerate come stime orientative e non assolutamente esatte. L’incertezza è legata, oltre alle incognite sul prosieguo dei lavori, anche e soprattutto alla parziale affidabilità dei dati a disposizione. Le pubbliche amministrazioni coinvolte nell’attuazione del PNRR devono infatti aggiornare costantemente lo stato dei propri lavori sulla piattaforma ReGis, un portale telematico gestito dal ministero dell’Economia: ma è un sistema piuttosto macchinoso e che, nonostante i vari tentativi del governo di perfezionarlo, rende complicato l’inserimento dei dati, che dunque sono spesso poco aggiornati o viziati da errori più o meno evidenti.

L’UPB ha dunque realizzato vari scenari: in quello più favorevole, che appare però poco realistico, verrebbero creati circa 500 posti in meno rispetto all’obiettivo previsto dei 150.480 nuovi posti nei nidi; in quello peggiore, la distanza rispetto all’obiettivo sarebbe di oltre 26mila posti. Lo stato di avanzamento dei lavori attuale e i ritmi di spesa finora seguiti rendono più probabile lo scenario per cui alla fine i posti mancanti rispetto all’obiettivo possano essere 17.400.

La presidente dell’UPB Lilia Cavallari in occasione della presentazione del Rapporto sulla politica di bilancio del 2024 alla Camera dei deputati, il 19 giugno 2024 (Mauro Scrobogna/LaPresse)

Al di là di come andrà, però, l’UPB ha evidenziato anche ciò che finora non è andato nel progetto, soprattutto sulla partecipazione dei comuni più piccoli e meno popolati. L’attuazione del PNRR sta facendo emergere, per quel che riguarda l’aumento dei posti negli asili, una dinamica poco virtuosa: se da una parte si può dire che ci siano benefici generali per il Sud per la riduzione dei divari tra le regioni (il 54,2 per cento delle risorse previste è destinata alle regioni meridionali), dall’altra c’è un aumento delle disuguaglianze all’interno delle regioni stesse.

Fin dall’inizio è apparso chiaro come i comuni più piccoli, e spesso quelli montani o dell’entroterra, abbiano dimostrato minore capacità e anche minore interesse a ottenere i finanziamenti per realizzare nuovi posti: un po’ perché non prevedono molte nuove nascite, un po’ perché ritengono meno oneroso dare dei contributi alle famiglie per gli asili privati piuttosto che incaricarsi di realizzare e gestire asili pubblici. In particolare, se si considerano i comuni con meno di 500 abitanti, il 98 per cento di essi si è del tutto disinteressata al progetto nonostante quasi nessuno avesse un asilo.

Consapevole di ciò, il governo ha anche modificato le regole e i parametri di accesso ai fondi del PNRR. All’inizio, infatti, erano le regioni a stilare delle graduatorie a cui i vari comuni potevano accedere presentando domanda: ma un po’ dovunque questi bandi finivano per premiare i comuni più grandi e più ricchi, mentre le aree meno attrezzate e con meno strutture per i bambini restavano indietro. Si è così deciso, in una seconda fase, di individuare a livello centrale i comuni che avevano maggiori carenze e dunque maggior bisogno di nuovi posti, ma anche in questo modo il problema si è risolto solo in parte.

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