Non è vero che mancano i fondi per realizzare interventi strutturali di riduzione dei consumi energetici e quindi delle bollette. Il problema è che il nostro paese non sa spenderli
Davvero il governo ha fatto tutto quanto possibile per ridurre le bollette? Non è facile rispondere, perché tante sono le questioni che si incrociano, e non basta nemmeno fare i conti di quanto il Decreto approvato il 28 febbraio mette a disposizione delle imprese e delle famiglie meno abbienti. Di sicuro però sappiamo che questo intervento è a tempo, durerà alcuni mesi e bisognerà sperare che nulla di nuovo accada sui mercati e gli scenari di guerra mondiali.
Per questo è importante guardare a cosa si sta facendo per ridurre il vero problema, che è la dipendenza del nostro paese dal gas che vale oltre 60 miliardi di metri cubi ogni anno e che ci lascia in balia degli eventi.
Poi certo, bisognerà intervenire sull’ormai famoso sistema che ha sede ad Amsterdam di generazione del prezzo di mercato e anche garantire la sicurezza degli approvvigionamenti, come fatto dopo la crisi dell’invasione dell’Ucraina e lo stop alle importazioni dalla Russia, con ingenti investimenti in nuovi rigassificatori e stoccaggi.
Qualcuno per il gas usa la metafora della droga: diversificare e ampliare gli spacciatori può aiutare a ridurre il prezzo ma non interviene sulla dipendenza. E non mette a riparo dalle periodiche crisi. Ma dove si possono trovare le risorse per investire in efficienza energetica e rinnovabili per ridurre in modo strutturale i consumi di gas?
La risposta la troviamo in un recente studio elaborato da Ecco, il think tank per il clima, che ha approfondito un argomento che incontra sporadiche attenzioni da parte della politica e dei media: il sistema europeo per lo scambio di quote di emissione di gas serra, meglio conosciuto come ETS.
Questo meccanismo, in vigore oramai da diversi anni, ha introdotto un prezzo sulle emissioni di questi gas con l’obiettivo di redistribuire le risorse finanziarie, per cui Il costo pagato dalle imprese per emettere CO2 va a costituire la base di finanziamento delle politiche di abbattimento delle emissioni. In Italia viene spesso citato per l’impatto che ha sui bilanci delle imprese, come esempio negativo delle politiche europee. Ma nessuno fino ad ora si era occupato di andare a vedere come il nostro paese ha gestito le risorse generate e i risultati fanno riflettere.
Lo spreco delle risorse
Non è vero che mancano i fondi per realizzare interventi strutturali di riduzione dei consumi energetici e quindi delle bollette. Il problema è che il nostro paese non sa spenderli, non ha neanche organizzato un sistema di monitoraggio delle risorse che il sistema ETS mette a disposizione. Dall’analisi di Ecco delle rendicontazioni presentate alla Commissione Ue emerge che le aste ETS hanno generato proventi per 15,6 miliardi di euro.
E, incredibile, l’Italia ha speso solo il 9 per cento di questi soldi per interventi legati alla lotta ai cambiamenti climatici. Le uniche cose certe sono che il 50 per cento delle entrate va al fondo di ammortamento dei titoli di stato. Sul resto le informazioni sono poche e persino per i tre miliardi e 600 milioni di euro utilizzati per misure emergenziali per la riduzione dei costi delle bollette tra il 2021 e il 2022 non è possibile ricostruire il quadro effettivo della spesa dalle rendicontazioni.
È importante parlarne, perché queste risorse sono a disposizione per investimenti per le imprese e per il clima, e dunque si deve chiederne conto al governo visto che siamo ancora in tempo per spenderle e tutti sappiamo quanto ne ha bisogno una economia in stagnazione come quella italiana. Non solo, nei prossimi anni queste risorse aumenteranno. Tra il 2025 e il 2030, si stimano proventi tra i 27 e i 33 miliardi di euro.
Vogliamo lasciarli fermi e lamentarci dell’Europa o organizzare un sistema capace di supportare le imprese ad abbandonare l’utilizzo dei combustibili fossili, emancipandosi dalla volatilità dei prezzi di queste fonti che ne mina la competitività?
La domanda vale in particolare per il presidente di Confindustria, Emanuele Orfini, che potrebbe battersi per far arrivare alle imprese queste risorse certe piuttosto che continuare in richieste senza speranza come l’abolizione del sistema ETS o l’accensione di mini centrali nucleari in ogni azienda.
Aiutare le famiglie
Questa distrazione nazionale rispetto alle politiche europee sul clima deve finire anche perché ora si apre uno scenario che riguarderà anche le famiglie. A partire dal 2027 il meccanismo di pricing del carbonio sarà applicato anche ai fornitori di carburanti e combustibili fossili per i settori dei trasporti, degli edifici e delle imprese medio piccole con il passaggio al cosiddetto ETS 2.
I costi della CO2 verranno, di fatto, trasferiti dai fornitori di energia da fonti fossili ai consumatori finali per spingerli a scelte di efficienza energetica e di utilizzo di fonti rinnovabili nelle case e nella mobilità. E i proventi delle aste, che in Italia sono stimati pari a 1,2 miliardi di euro all’anno, dovranno andare proprio a interventi che supportano famiglie e imprese in questa direzione attraverso il nuovo Fondo sociale per il clima.
È evidente l’importanza di non sprecare queste risorse e che siano indirizzate a chi ne ha più bisogno, proprio perché il rischio è che l’impatto della tassazione delle emissioni porti a un aumento delle bollette per chi è in difficoltà. Nessuno ne parla, ma entro giugno il governo dovrà presentare un piano a Bruxelles in cui indicare come intende utilizzare questi soldi, con quali interventi di contrasto alla povertà energetica.
Di sicuro da ora in avanti nessuno potrà più dire che è colpa dell’Europa se cresce la spesa per le bollette delle famiglie più povere, perché Bruxelles finanzia proprio interventi strutturali di abbattimento dei consumi energetici e delle emissioni di gas nelle abitazioni.
Con quelle risorse si può infatti mettere mano alla riqualificazione degli alloggi di edilizia sociale, superare i problemi di accesso alle detrazioni fiscali che incontrano gli incapienti e molto altro anche nei trasporti. E per una presidente del Consiglio che rivendica il proprio approccio pragmatico alla questione climatica sarebbe un errore imperdonabile sprecare queste opportunità.
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