Treviso, Future Farming svela alle imprese la biofabbrica per gli ecomateriali

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di
Gianni Favero

A Ca’ Tron presentazione con 600 ospiti. Bagnoli: «Rivoluzione più rilevante di Internet»

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«Molti settori verranno spazzati via, distrutti, e sono quelli che hanno a che fare con la produzione. Qui stiamo creando una rivoluzione che promette di essere molto più importante di quella di Internet». Ha pochi dubbi Carlo Bagnoli, professore di Innovazione strategica all’università Ca’ Foscari di Venezia, per quanto riguarda l’impatto sul sistema economico di ciò che uscirà da Future Farming Initiative, società che presiede, nata dal progetto concepito dallo stesso ateneo e concretizzato con una partecipazione al 50% di Zero, azienda di Pordenone attiva nelle serre verticali.
I due partner hanno investito 10 milioni di euro ciascuno, quelli di Ca’ Foscari arrivati dai fondi del Pnrr, per ricavare a Bagaggiolo di Roncade (Treviso), in un’area non lontana dal Campus di H-Farm, un laboratorio da 3.500 metri quadrati, collegato con una struttura analoga a Pordenone, nel quale già si stanno calibrando le invenzioni che, come da auspici, sovvertiranno il mondo della manifattura. I settori interessati vanno dall’agricoltura, alla farmaceutica, alla cosmetica, dai materiali avanzati per la manifattura alla chimica.

Vegetali manipolati per produrre materiali innovativi

Ma qual è il cuore dell’innovazione annunciata che ha richiamato, ieri, nell’evento di presentazione, oltre 600 partecipanti, in gran parte dalle imprese e dall’accademia? Per sommi capi la sfida è di riuscire a manipolare organismi vegetali, fino a livelli molecolari se non atomici, per indurli a produrre gli elementi necessari a realizzare materiali alternativi a quelli tradizionalmente impiegati (si pensi a tutta la gamma delle plastiche, ad esempio) i quali, avendo origine «bio», non ricadranno sull’ecosistema.
Un esempio che Bagnoli porta, in ambito stavolta agricolo, sono i fertilizzanti azotati, fin qui prodotti con un metodo a base di ammoniaca inventato nel 1910. «L’ammoniaca consuma dal 3% al 5% di tutto il gas del pianeta, dall’1% al 2% dell’energia elettrica e immette l’1% dell’anidride carbonica. E il 50% dei fertilizzanti spruzzati sulle piante finisce in falda. Però ora sono stati creati organismi che permettono di trattenere l’azoto senza usare l’ammoniaca, settore, quest’ultimo, che vale 80 miliardi ma che ora è destinato a spegnersi».




















































L’acceleratore di imprese

Il business di Future Farming Initiative, che partirà in concreto il prossimo anno, sarà articolato su due filoni. Da una parte c’è il trasferimento di tecnologia, ossia lo studio e la creazione di metodi per ottenere prodotti su richiesta delle singole aziende clienti. Dall’altra si agisce attraverso la nascita di startup in cui siano sviluppate proprietà intellettuali interessanti che giacciono inutilizzate in molte università, tutto questo sfruttando un acceleratore d’imprese chiamato Venisia.
C’è però una terza linea di sviluppo che ha come teatro uno stabilimento dismesso a Figline Valdarno, vicino a Firenze. Lì la belga Bekaert produceva rivestimenti per pneumatici fino al 2018, quando trasferì gli impianti all’estero licenziando 320 addetti. Qui, evidenzia Daniele Modesto, amministratore delegato di Zero, «sta per nascere un nuovo polo industriale di 120 mila metri quadrati che unisce produzione di energia da fonti rinnovabili, idrogeno verde, serre verticali e allevamenti ittici in un ecosistema circolare. In tutto 150 delle persone licenziate da Bekaert sono state riassunte».

E nel territorio veneto? Un input suggestivo giunge dal fatto che si stanno mettendo a punto sistemi per convertire le autoclavi per il prosecco per ottenere la «fermentazione di precisione», cioè con proteine purificate generate con microrganismi geneticamente modificati. L’argomento potrebbe far sobbalzare sulla sedia i puristi della Docg «eroica» ma i tempi cambiano. Esattamente 20 anni fa, a poca distanza da Future Farming Innovative, quando la tenuta di Ca’ Tron era di proprietà di Fondazione Cassamarca, si installarono serre ad altissimo contenimento per lo studio degli Ogm, incaricando l’istituto per le biotecnologie triestino Icgeb. Senza grande seguito: una serie di incursioni notturne di no-global armati di bombolette spray fecero rapidamente declinare il progetto.

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